Cassazione Civile, Sez. Lav., 03 agosto 2017, n. 19435 - Folgorazione mortale di un apprendista minorenne. Responsabilità del caposquadra


 

 

Presidente: AMOROSO GIOVANNI Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 03/08/2017

 

 

 

Fatto

 


Il giudice del lavoro di Pistoia con sentenza in data 8 ottobre - 14 dicembre 2009 accolse la domanda di risarcimento danni avanzata dagli stretti congiunti di G.E. in relazione al decesso di costui per infortunio sul lavoro avvenuto il 17 dicembre 2002, mentre come apprendista alle dipendenze della subappaltatrice ITET s.a.s. di M.C. stava eseguendo un allacciamento di impianto telefonico con l'operaio L.R..
La domanda, dichiarata improponibile nei confronti della S.p.a. P., veniva rigettata nei riguardi di ENEL S.p.a., mentre veniva accolta nei confronti di ITET s.a.s. di M.C., di quest'ultima in proprio, di M.M., di L.R. e di TELECOM Italia S.p.a., condannati quindi tra loro in solido al pagamento della somma di euro 325.000,oo ciascuno a favore di G.F. e di C.F., nonché della somma di 200.000,oo ciascuna a favore diG.A. e G.E., oltre accessori, nonché al pagamento delle spese di lite.
La sentenza veniva separatamente impugnata da L.R., nonché dai familiari del deceduto e da TELECOM ITALIA. Gli appellati ITET s.a.s., M.C. e M.M. restavano contumaci, mentre ENEL DISTRIBUZIONE S.p.a. si costituiva in giudizio per resistere agli interposti gravami.
La Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia n. 361/2009, con sentenza n.778 in data 9-22 giugno 2011, riuniti i distinti procedimenti, rideterminava gli importi liquidati a titolo di risarcimento danni in ragione delle somme all'uopo precisate per ciascun attore (in valuta da ottobre 2009: euro 279.000,oo ciascuno a G.F. e C.F., euro 129.000,oo ciascuno a G.E. e G.A.), oltre interessi legali dal 17-12-2002 al sei agosto 2010, da calcolarsi sul capitale devalutato al 17-12-2002 e quindi annualmente rivalutato. Estendeva, inoltre, la condanna solidale emessa in primo grado nei confronti di ENEL DISTRIBUZIONE S.p.a. e visto l'art. 2055 c.c. determinava le singole colpe nelle seguenti misure: 30% a carico di TELECOM ITALIA, 30% a carico di ENEL Distribuzione, 15% a carico di ITES s.a.s. e di M.C. in proprio (alla quale peraltro per il fatto reato in questione era stata applicata pena detentiva ex art. 444 c.p.p. con sentenza del Tribunale di Pistoia in data tre novembre 2005); 15% a carico di M.M. e 10% a carico di L.R., rigettando nel resto le impugnazioni.
Condannava, poi, ENEL Distruzione S.p.a. a rimborsare a TELECOM ITALIA la metà delle spese per il doppio grado del giudizio, dichiarando compensata la residua quota, liquidando l'intero in 10.000,oo euro, oltre accessori. Dichiara, infine, compensate (per intero) le spese di secondo grado tra le altre parti.
Per quanto interessa ancora in questa sede, la Corte fiorentina riteneva di non poter escludere il concorso di colpa, pur residuale, a carico di L.R., il quale di fatto nell'occasione fungeva da caposquadra, in quanto all'epoca egli era operaio qualificato con esperienza maturata fin dal 1970 nel settore della installazione e manutenzione di linee telefoniche anche in grandi imprese.
Non c'era dubbio che al L.R. fosse affidata la guida, la sorveglianza e la formazione di G.E., il quale era stato assunto come apprendista ed era ancora minorenne nel dicembre dell'anno 2002. Né il L.R. poteva sottrarsi alla sua responsabilità facendo valere il fatto di essere stato assunto con un contratto a termine da poche settimane, trattandosi di aspetto giuridico irrilevante nella serie causale in esame. Nondimeno, il collegio teneva conto delle verosimili allegazioni di L.R., circa il fatto che essendo stato da poco assunto nessuno gli aveva fornito adeguate informazioni (aspetto implicitamente condiviso anche dalla sentenza penale nei confronti di M.C., sia pure nelle forme dell'articolo 444 c.p.p.). In definitiva, il collegio non poteva negare che nella situazione data la lunga esperienza e la prudenza del L.R. restavano l'ultimo possibile importante baluardo a tutela della vita di G.E. quando si misero all'opera la mattina del 17 dicembre 2002. La percentuale di colpa a carico del predetto veniva fissata in ragione del 10% residuo, considerato che la posizione del caposquadra L.R. si inseriva in una paradigmatica tragica sequenza di altrui e prevalenti negligenze e precarietà, nella quale facevano spicco l'appalto, il fallimento dell'appaltatrice, il subappalto ed il contratto a termine e l'apprendista adibito infine al compito più rischioso.
D'altro canto, la Corte distrettuale rigettava l'appello dei familiari superstiti nella parte in cui lamentavano che il Tribunale non aveva posto a carico del L.R. uno specifico obbligo risarcitorio per essersi allontanato dal luogo dell'incidente. Infatti, le prove acquisite dimostravano che il L.R. chiamò i soccorsi e che soltanto dopo che erano presenti altre persone sul posto e dopo che era stato allertato il 118 egli si allontanò sconvolto per avvertire i responsabili della ITET, ma per poi presentarsi spontaneamente ai Carabinieri intorno alle 13. Di conseguenza, nessun rimprovero poteva essergli mosso ai fini risarcitori prospettati dagli appellanti.
Avverso l'anzidetta pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione L.R. con atto di cui è stata chiesta la notifica fin dal 13 gennaio 2012, con un unico motivo variamente articolato (violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 2055 del codice civile, nonché dei principi e delle norme che attengono alla sicurezza dei lavoratori e tutelano le condizioni di lavoro, specificamente del decreto legislativo 626/1994, artt. 3, 4, 5, 6, 18, 19, 21, 22 e 23, nonché del d.P.R. 27-04-1955, artt. 4, 8 e 10, ed ancora del d.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 18; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - art. 360 comma primo, numeri 3 e 5, c.p.c.), cui ha resistito Telecom Italia S.p.A. mediante controricorso, del quale è stata chiesta la notifica il 15 marzo 2012.
Le altre parti sono rimaste intimate.
 

 

Diritto

 


Con riferimento al complesso motivo di ricorso, il L.R. ha evidenziato che, trattandosi di una società di persone, non sarebbe applicabile la delega di cui al dl.vo n. 626/1994, laddove poi dagli atti era documentato che M.M. risultava come responsabile dei servizi di prevenzione e protezione con l'indicazione delle caratteristiche significative per la sicurezza, costituiti da rischio elettrico, rischio rumore, rischio caduta dall'alto e rischio movimentazione manuale dei carichi. Di conseguenza, esso L.R. non era ricompreso tra i soggetti preposti alla sicurezza, né risultava essere stata conferita una formale delega al riguardo e neanche di essere stato addestrato per assumere la responsabilità.
Quindi, la sentenza impugnata aveva erroneamente riconosciuto la responsabilità del ricorrente sul presupposto di una sua qualifica come caposquadra di fatto, in contrasto con le disposizioni di legge in tema di sicurezza del lavoro, che escludono l'assunzione di responsabilità per un soggetto privo di una espressa e formale delega in merito e di uno specifico addestramento per assolvere compiti della sicurezza sul lavoro. Egli non solo era privo dell'addestramento richiesto per assolvere al compito della sicurezza dei dipendenti, ma non era stato nemmeno informato sui rischi relativi al lavoro da eseguire il 17 dicembre 2002, tant'è che nel buono di lavoro consegnato dalla ITET le sole istruzioni fornite dal responsabile della sicurezza consistevano nella indicazione dei numeri corrispondenti alle colonne dei fili da installare per attivare la linea, in base alle indicazioni fornite dalla Telecom, dichiarando che si trattava di un intervento semplice.
Le anzidette considerazioni vedevano così estraneo alla fattispecie anche il dato normativo di cui all'articolo 2055 c.c., applicato dall'impugnata sentenza per graduare la responsabilità del L.R..
Inoltre, vi era un evidente vizio di motivazione, laddove si faceva riferimento alla esperienza maturata nel settore dell'installazione e manutenzione di via telefoniche ed il fatto di aver notato la presenza di fili elettrici. Infatti, secondo il ricorrente, l'incidente che aveva causato il decesso era dipeso dall'impiego, da parte del G.E., di una scala di alluminio allungabile, estendendola per tutta la sua lunghezza di metri lineari 6,50 nonostante che il lavoro da eseguire sul palo Telecom si trovasse ad un'altezza di 5,47 mi., così urtando il cavo elettrico, posto ad un'altezza di metri 7,10 dalla base del palo, rimanendo il ragazzo così folgorato (giusta il rapporto dei Carabinieri in data 21 dicembre 2002). Tale dinamica del sinistro non aveva perciò alcun collegamento logico con il fatto che il L.R. avesse maturato una lunga esperienza lavorativa nel settore dell'installazione e della manutenzione delle linee telefoniche, , dalle quali non passava sicuramente elettricità. Inoltre, la presenza di cavi elettrici al di sopra di quelli telefonici, notata dal L.R., non poteva perciò non essere anche notata dal G.E.. In sostanza, l'esperienza maturata nei precedenti lavori svolti nel settore della telefonia e la circostanza di aver notato la presenza di cavi elettrici in prossimità della linea telefonica non costituivano fatti che potessero essere legati da alcun rapporto causale con l'evento, che aveva causato la morte dell'apprendista. Del resto, come stabilito dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 626/1994, anche ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e ove tale cura non sia stata approntata non può certo addossarsi la relativa responsabilità ad altri lavoratori, come una sorta di responsabilità oggettiva, peraltro estranea all'ordinamento. In sostanza, i lavoratori comandati a svolgere la propria attività insieme ad un apprendista, anch'esso tenuto rispetto del citato art. 5, non assumono solo per questo la responsabilità del mancato rispetto da parte di quest'ultimo di quella normale prudenza che ogni persona deve adottare nello svolgimento di qualsiasi attività umana.
Le anzidette doglianze appaiono inconferenti ed infondate, di modo che vanno comunque disattese.
Ed invero i fatti di cui è causa risultano motivatamente accertati dalla Corte di merito (cfr. in part. pag. tre della sentenza impugnata, segnatamente alla condotta mantenuta dall'operaio L.R. e dall'apprendista G.E., il quale appoggiò ad un palo in legno una scala di alluminio allungata fino a metri 6,50, che nello sbattere ripetutamente sul palo gli trasmise una folgorazione mortale, derivata da una linea ENEL di media tensione a 15.000 volts allocata poco al di sopra dei cavi telefonici per cui stavano operando il L.R. e il G.E. in occasione del sinistro verificatosi alle 10.30 circa del 17 dicembre 2002). Inoltre, i giudici dell'appello ritenevano (cfr. pag. 6 della sentenza n. 778/11) di non poter escludere il concorso di colpa, pur residuale, a carico di L.R., il quale di fatto fungeva da caposquadra e risultava essere operaio qualificato con esperienza maturata sin dal 1970 nel settore dell'installazione e della manutenzione di linee telefoniche anche in grandi imprese. Infatti, secondo la Corte territoriale, non vi era dubbio che la L.R. fosse affidata la guida, la sorveglianza e la formazione di G.E., che era stato assunto come apprendista ed era ancora minorenne nel dicembre 2002. Di conseguenza, a prescindere da specifiche qualifiche o da formali incarichi nell'ambito delle procedure fissate dal dLvo n. 626/1994, spettava al L.R. di adottare tempestivamente almeno i minimi accorgimenti suggeriti dalla prudenza pratica acquisita, tanto più che lo stesso L.R. aveva ammesso di aver notato la vicinanza dei fili elettrici al momento di mettersi al lavoro la mattina del 17 dicembre 2002. In particolare, l'esperienza posseduta e la consapevolezza di dover tutelare un ragazzo non ancora diciottenne dovevano quanto meno renderlo avvertito della situazione di pericolo data dalla pioggia e dall'umidità nell'avvicinarsi ad una linea elettrica e senza dire dell'utilizzo di una scala metallica.
Orbene, le anzidette argomentazioni risultano logiche e ragionevoli, nonché del tutto corrette sotto il profilo giuridico.
Invero, le pur altrui accertate responsabilità, peraltro ormai coperte da giudicato per difetto di rituali impugnazioni in proposito da parte degli interessati, non escludono il nesso di causalità tra l'evento letale verificatosi e la condotta sostanzialmente omissiva, ma pur connotata da colposa imprudenza, osservata dal caposquadra di fatto, cui erano (peraltro giocoforza, non risultando la presenza sul posto, nell'occorso, di altri operatori, all'infuori dell'esperto e qualificato L.R. e del giovane apprendista) affidate la guida, la sorveglianza e la formazione del minorenne G.E.. Ed a fronte di tali precisi accertamenti e valutazioni dei giudici di merito le doglianze del pur variamente articolato motivo di ricorso non censurano specificamente e con pertinenti argomentazioni in diritto, consentite nell'ambito dei rigorosi limiti fissati dall'art. 360 c.p.c., gli anzidetti apprezzamenti, limitandosi piuttosto a criticare questi ultimi in punto di fatto (perciò inammissibilmente in questa sede di legittimità) ed a confutarli con giustificazioni di carattere formale, fondate sulla normativa antinfortunistica (legittimamente ed espressamente, però superata da altre considerazioni dei giudicanti), non cogliendo quindi la vera essenza della ratio decidendi sottesa all'impugnata pronuncia.
D'altro canto, va ricordato che in tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell'evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell'art. 1294 c.c. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni, patrimoniali e non, da risarcire [Cass. lav. n. 8372 del 09/04/2014: <<...E sempre motivi di chiarezza espositiva consigliano ancora di osservare - avendo rilevanza ai fini decisori - come la giurisprudenza di legittimità ha statuito che quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti diversi intercorsi rispettivamente fra ciascuno di essi ed il danneggiato, tali soggetti debbano essere considerati corresponsabili in solido non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 c.c. dettata per la responsabilità extracontrattuale - come pure è stato sostenuto in dottrina - ma soprattutto perché sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un evento dannoso è imputabile a più persone - come è accaduto nel caso di specie - al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente in base ai principi che regolano il nesso di causalità, soltanto il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento, e cioè che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in maniera efficiente, alla determinazione dello stesso (vedi in tali sensi Cass. n. 23918 del 9 novembre 2006, Cass. n. 18939 del 10 settembre 2007 cui adde Cass. n. 7618 del 30 marzo 2010 ed in termini sostanzialmente analoghi, più di recente, Cass. n. 7404 del giorno 11 maggio 2012).
Vero è, poi, che la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048, secondo comma, cod. civ. a carico dei precettori e dei maestri trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito dell'allievo, di modo che essa non è applicabile in ordine all'azione di risarcimento del danno che l'allievo abbia, con la sua condotta, procurato a se stesso. Tuttavia, qualora con la sentenza oggetto di ricorso per cassazione il giudice di merito, pur ritenendo erroneamente estensibile la suddetta presunzione di responsabilità all'azione da ultimo richiamata, abbia comunque accertato, procedendo alla loro descrizione e qualificazione, i fatti comportanti l’affermazione in concreto della responsabilità di parte ricorrente per difetto di vigilanza sullo svolgimento di un'attività pericolosa produttiva del danno subito dal soggetto affidato, la S.C. può procedere - ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc .civ. - alla correzione della motivazione della sentenza medesima, il cui dispositivo risulti conforme al diritto [cfr. in tal sensi Cass. III  civ. n. 10030 del 17/01 -29/04/2006: <<... Ritiene infatti la Corte che sebbene debba condividersi la censura relativa alla non applicabilità della presunzione di responsabilità di cui all'articolo 2048 del codice civile (perché tale presunzione trova applicazione secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite limitatamente ai danni provocati a terzi dal fatto illecito dell'allievo, Cassazione Sezioni Unite civili n. 9346 del 21 giugno 2002), tale censura deve ritenersi non risolutiva in quanto la Corte di appello ha accertato la sussistenza di tutti gli elementi per l'affermazione della responsabilità dell'amministrazione scolastica senza dover ricorrere a tale presunzione. ..., la motivazione della decisione impugnata prende in considerazione tutti gli elementi per affermare la responsabilità dell'amministrazione scolastica a prescindere dall'applicazione della presunzione di cui all'articolo 2048 del codice civile. Infatti nella motivazione della sentenza della corte triestina si legge che la pericolosità dell'oggetto affidato ai bambini per l'uso didattico imponeva una sorveglianza stretta affinché gli alunni adoperassero in maniera strettamente corretta i punteruoli. ... Questa ricostruzione del fatto appare del tutto logica e coerente e di per sé esaustiva e avrebbe dovuto portare ad affermare la responsabilità dell'amministrazione scolastica (come in effetti è avvenuto) senza alcun riferimento però alla norma di cui all'articolo 2048 del codice civile. La responsabilità dell'amministrazione discende infatti dall'applicazione della norma generale di cui all'articolo 1218 del codice civile, con riferimento, per quanto riguarda la pericolosità dell'esercitazione, con riferimento alla norma di cui all'articolo 2050 del codice civile in quanto tale attività, come la stessa sentenza di appello ha accertato, comportava una situazione di oggettiva pericolosità in cui la produzione del danno poteva essere evitata solo con un rafforzamento della normale vigilanza cui il personale scolastico è tenuto nei confronti degli allievi in rapporto inversamente proporzionale alla loro età. ...>>.
In senso analogo, v. la citata sentenza di Cass. sez. un. civ. n. 9346 in data 8 febbraio / 27 giugno 2002, che in motivazione così inoltre puntualizzava: << Per completezza d'esame (la questione non ha infatti formato oggetto del presente giudizio nelle fasi di merito) ..., nel caso di danno arrecato dall'allievo a se stesso, appare più corretto ricondurre la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non già nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, con conseguente onere per il danneggiato di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., bensì nell'ambito della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c. Quanto all'istituto scolastico, l'accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell'allievo determina infatti l'instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale, nell'ambito delle obbligazioni assunte dall'istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso>>. V. anche Cass. III civ. n. 8067 del 31/03/2007: nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, sia che si invochi la presunzione di responsabilità posta dal secondo comma dell'art. 2048 cod. civ., sia che si configuri la responsabilità come di natura contrattuale, la ripartizione dell'onere della prova non muta, poiché il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 cod. civ. impone che, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile all'obbligato.
Cfr. ancora Cass. III civ. n. 10268 del 20/05/2015, secondo cui ai fini dell'applicazione dell'art. 2050 cod. civ., la valutazione in concreto se un'attività, non espressamente qualificata pericolosa da una disposizione di legge, possa essere considerata tale per la sua natura o la spiccata potenzialità offensiva dei mezzi adoperati, implica un accertamento di fatto secondo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell'esercizio dell'attività, rimesso in via esclusiva al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità ove correttamente e logicamente motivata].
Nella specie, dunque, tenuto conto di quanto complessivamente accertato in punto di fatto dai giudici di merito (affidamento del minorenne apprendista al caposquadra di fatto L.R., operaio esperto e qualificato in materia di posa in opera di cavi telefonici, con conseguenti obblighi di guida, sorveglianza e formazione, e quindi pure di adottare i minimi accorgimenti i tema di sicurezza, indipendentemente dalle specifiche previsioni dettate in materia dalla normativa antinfortunistica; situazione di indubbio pericolo costituita dal dover operare ad una certa altezza dal suolo ed in prossimità, pure notata dallo stesso caposquadra, di cavi che conducevano energia elettrica di media tensione, e dalla umidità del punto di lavorazione, dovuta alla pioggia caduta, con impiego altresì di una scala metallica), non è possibile escludere il nesso causale tra la condotta ascritta dal ricorrente e l'infortunio occorso all'infradiciottenne, folgorato dalla scarica elettrica.
In tale contesto, dunque, premesso che la Corte di Appello non ha comunque ritenuto (almeno espressamente) la corresponsabilità del L.R. in ordine all'accaduto sulla presunzione di cui all'art. 2048 c.c., d'altro canto in relazione all'anzidetta acclarata motivata dinamica (incensurabile anche ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c.), nessuna prova liberatoria ex art. 1218 c.c. risulta fornita o comunque allegata dal L.R. riguardo all'anzidetto esercizio di attività indubbiamente pericolosa, rilevante perciò anche ai sensi dell'art. 2050 del medesimo codice (cfr. peraltro anche Cass. IV sez. pen. n. 8230 del l°/3 - 11/10/1979 sulla possibilità di ipotizzare il caposquadra di fatto, per cui anche se la legge non prevede la figura del preposto di fatto, cioè la figura di un operaio che in un gruppo, pure ristretto a due persone, agisca come caposquadra e ne esplichi in concreto le mansioni, ove ciò sul piano pratico avvenga, non è esclusa la responsabilità di questo soggetto nel caso in cui, in seguito agli ordini che egli abbia impartito, si verifichi un evento colposo.
Parimenti, secondo Cass. IV pen. n. 48 del 14/01 - 18/02/1970, la qualifica e le responsabilità del ’preposto’ non competono soltanto ai soggetti forniti di titoli professionali o di formali investiture, ma a chiunque si trovi in una posizione di supremazia sia pure embrionale, tale cioè da porlo in condizione di dirigere l’attività lavorativa di altri operai soggetti ai suoi ordini; preposto può essere dunque chi, in una formazione per quanto piccola di lavoratori, anche se composta soltanto di due uomini, esplica le mansioni di caposquadra, fuori della immediata direzione di altra persona a lui soprastante. Conforme Cass. III pen. n. 2642 del 26/02 - 05/04/1986.
Cass. VI pen. n. 4481 del 21/01 - 29/03/1977: il caposquadra è un preposto che è tenuto a seguire minuto per minuto l’attività lavorativa allorché questa sia pericolosa. In tal caso è tenuto a controllare l'esecuzione del lavoro compiuto da altri e ad avvertire costoro o terzi dell’insorgenza di un improvviso pericolo.
Cfr. poi Cass. IV pen. n. 8622 del 04/12/2009 - 03/03/2010, secondo cui in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l’evento lesivo non può essere desunto soltanto dall'omessa previsione del rischio nel documento, di cui all'art. 4, comma secondo, del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro), dovendolo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'emissione all'evento che si è concretizzato).
Quanto, poi, ai limiti dell'impugnazione consentita dal codice di rito mediante il ricorso per cassazione, deve qui ricordarsi il principio (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011 e n. 27162 del 23/12/2009), secondo cui il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (peraltro secondo il testo - nella specie ratione temporis qui applicabile con riferimento alla sentenza de qua, risalente al 9/22 giugno 2011- anteriore alla più restrittiva formulazione introdotta dal art. 54, co. 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012, n. 134) sussiste soltanto se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. inoltre Cass. lav. n. 23455 del 05/11/2009: ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice dei merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale. In senso conforme v. anche Cass. civ. Sez. 6 - L, ordinanza n. 9808 del 4/5/2011, principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis cod. proc. civ.).
Va, inoltre, ricordata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la "ratio" di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto (così da ultimo Cass. lav. n. 798 del 13/01/2017). Nel caso di specie qui in esame, però, non risulta accertato alcun anomalo comportamento del giovane apprendista, tale da poter aver esclusivamente determinato l'infortunio di cui lo stesso rimase vittima.
Pertanto, sotto nessun profilo il motivo di ricorso, ancorché variante articolato, merita accoglimento.
Ed in particolare, correttamente la corresponsabilità in esame è stata ritenuta indipendentemente dalla regolare formale osservanza delle norme dettate dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro), operando la stessa in base ad elementari regole di prudenza e di cautela valutate alla luce di tutte le possibili specifiche circostanze del caso specifico, caratterizzato dalla descritta situazione pericolosa e dall'affidamento in concreto del minorenne apprendista alla guida del più esperto operaio, la cui condotta per l'effetto non può ritenersi immune da scriminanti giuridicamente apprezzabili.
Pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna del ricorrente, rimasto soccombente, al rimborso delle spese relative a questo giudizio, liquidate come da seguente dispositivo in favore della società controricorrente (nulla va invece disposto al riguardo per quanto concerne le altre parti, essendo queste rimaste intimate).
 

 

P.Q.M.

 


la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida , a favore della sola controricorrente TELECOM Italia S.p.a., nella misura di euro tremila/OO per compensi ed in euro duecento/oo per esborsi, oltre spese generali al 15%, I.v.a. e C.p.a. come per legge.