Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 29 agosto 2017, n. 39498 - Caduta dal tetto e responsabilità del coordinatore dei lavori in fase di progettazione ed esecuzione


 

Presidente: SAVANI PIERO Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 01/03/2017

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 28 novembre 2011 il Tribunale di Lecco condannò alla pena di giustizia F.N., nella sua veste di coordinatore dei lavori nella fase di progettazione e realizzazione nominato dalla impresa committente, in relazione a plurime contravvenzioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e al delitto di cui all'art. 590 cod. pen. (per avere per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e violazione degli artt. 10, 16 e 68 d.P.R. 164/1956, concorso a cagionare a G.C. lesioni gravissime conseguenti alla caduta dal tetto di un edificio in costruzione).
La Corte d'appello di Milano, investita dell'impugnazione del F.N. e degli altri imputati, con sentenza del 6 maggio 2013 dichiarò l'estinzione per prescrizione delle ipotesi contravvenzionali e ridusse la pena in relazione al reato di lesioni colpose ascritto al F.N., confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Tale sentenza è stata annullata da questa Corte Suprema con la sentenza n. 22033 del 2015, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, limitatamente alla posizione del solo F.N..
Con sentenza del 28 gennaio 2016 la Corte d'appello di Milano, pronunziandosi a seguito di tale annullamento con rinvio, ha parzialmente riformato la sentenza del 28 novembre 2011 del Tribunale di Lecco, dichiarando non doversi procedere nei confronti di F.N. anche in ordine al residuo reato di lesioni colpose ascrittogli per essere lo stesso estinto per prescrizione, e ha confermato le statuizioni civili a carico dell'appellante, condannandolo anche alla rifusione delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile INAIL.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il F.N., affidato a quattro motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato la violazione da parte della Corte territoriale dell'obbligo di uniformarsi al principio di diritto stabilito nella sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte Suprema.
Ha sottolineato in proposito che con tale sentenza il giudice del rinvio era stato espressamente investito del compito di verificare se la ricostruzione del comportamento illecito ascritto al F.N. fosse o meno stata preceduta dal un procedimento nel quale costui fosse stato messo in grado di difendersi dall'accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti in capo al coordinatore, onde esplicitare se la asimmetria tra l'imputazione e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti, ma la Corte d'appello non vi aveva provveduto, omettendo anche di verificare se nella fase antecedente al procedimento penale al F.N. fossero state impartite le prescrizioni contemplate dal d.lgs. n. 758 del 1994, costituente, tra l'altro, condizione di procedibilità dell'azione penale in relazione alle ipotesi contravvenzionali contemplate dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato violazione degli artt. 590 cod. pen e 10, 16 e 68 d.P.R. 164/1956, per avere la Corte d'appello affermato la applicabilità di tali disposizioni al ricorrente nella sua veste di coordinatore dei lavori, benché dette norme riguardino il datore di lavoro e la figura del coordinatore dei lavori non fosse contemplata da tali norme, in quanto introdotta nell'ordinamento per la prima volta dal d.lgs. n. 494 del 1996, censurando la conseguente e collegata affermazione secondo cui dalla contestazione della violazione di tali disposizioni potrebbero ricavarsi gli addebiti delle condotte colpose concretamente tenute dal ricorrente quale coordinatore dei lavori, essendo estranea tale figura agli obblighi stabiliti da tali disposizioni, concernenti il datore di lavoro.
2.3. Con un terzo motivo ha prospettato violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in relazione all'art. 604 cod. proc. pen., non essendo stata rilevata la difformità tra il fatto così come contestato e quello ritenuto in sentenza, a cagione della contestazione delle suddette violazioni a disposizioni antinfortunistiche e della, distonica, affermazione di responsabilità del ricorrente quale coordinatore dei lavori per avere violato dette disposizioni.
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato l'insufficienza e l'illogicità della motivazione, in ordine alla violazione da parte del ricorrente degli obblighi stabiliti dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 494 del 1996 nei confronti del coordinatore dei lavori (consistenti nell'assicurare il collegamento tra l'impresa appaltatrice e il committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, nell'adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, nel vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le lavorazioni), non essendo stata adeguatamente accertata la violazione da parte del F.N. di tali doveri e non avendone la sentenza impugnata dato atto adeguatamente, avendo, per contro, il F.N., provveduto ad adeguare il piano di sicurezza del cantiere alle esigenze emerse nel corso delle lavorazioni.
Ha, inoltre, censurato l'affermazione della Corte d'appello riguardo alla configurabilità del concorso del ricorrente nel reato proprio commesso dal datore di lavoro, mediante la violazione delle suddette disposizioni antinfortunistiche (applicabili solamente al datore di lavoro), difettando la prova di un legame psicologico tra le condotte di tali soggetti, da qualificare pertanto come cause colpose indipendenti; ha anche prospettato l'efficacia interruttiva, della relazione causale tra la propria condotta e l'evento, nelle disposizioni impartite dal direttore dei lavori, l'Architetto M.B., che avrebbero avuto efficacia causale autonoma ed esclusiva nella genesi dell'evento.
 

 

Diritto

 

 

 

1. Il ricorso non è fondato.
2. Giova premettere che dalla sentenza n. 22033 del 2015 di questa Corte, di annullamento con rinvio della precedente sentenza della Corte d'appello di Milano, si rileva, in punto di fatto, che il 5 settembre 2007 G.C. era precipitato al suolo dal tetto di una villetta in costruzione presso il cantiere in Robbiate della S.r.l. Il Dosso, facente capo ai fratelli G. e C. B., che vedeva nella DMF Costruzioni S.r.l. il soggetto al quale la proprietaria committente aveva appaltato i lavori di edificazione di sei villette.
Per rispondere delle lesioni riportate dal G.C., socio della G.C. S.n.c, alla quale la DMF Costruzioni aveva subappaltato i lavori di copertura dei tetti, erano stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Lecco F.N. , G.B.,  D'A.M., C.B. e C.A..
All'esito del giudizio di primo grado il Tribunale aveva accertato che il G.C. aveva terminato prima della pausa estiva i lavori di copertura della villetta teatro del sinistro, e pertanto il ponteggio che era stato collocato in corrispondenza di tale villetta era stato smontato, per essere installato presso un diverso manufatto, cosicché quando, alla ripresa dei lavori, nel mese di settembre, al G.C. era stato richiesto di riallineare le tegole non perfettamente collocate, questi si era portato sul tetto e durante gli spostamenti era scivolato ed era caduto nel vuoto, stante la mancanza di metà del ponteggio nella zona in cui doveva essere sistemata la copertura.
Ad avviso del Tribunale di tale fatto doveva rispondere innanzitutto il F.N., quale coordinatore per la progettazione e l'esecuzione nominato dalla committente, perché non aveva eseguito alcuna concreta azione di coordinamento. Nell'esaminare il piano di sicurezza e di coordinamento il Tribunale ravvisava incongruenze definite "sorprendenti", come quella di prevedere la realizzazione di una sola villetta, laddove nella realtà ne erano in costruzione ben sei.
Nell'esaminare il precedente ricorso per cassazione proposto da F.N., nei confronti della sentenza del 6 maggio 2013 della Corte d'appello di Milano, di conferma della condanna per il reato di lesioni colpose, era stata rilevata la sussistenza del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente riguardo alla discrepanza tra la contestazione di colpa, consistente, tra l'altro, nella violazione degli artt. 10, 16 e 68 del d.P.R. n. 164 del 1956, e la violazione degli obblighi posti a carico del coordinatore per l'esecuzione dei lavori dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, non oggetto di formale contestazione, ma nonostante ciò posta a base della affermazione di responsabilità dello stesso F.N. da parte del Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte d'appello.
Al riguardo è stato sottolineato come la Corte d'appello, in presenza di una specifica doglianza sul punto da parte del F.N., avrebbe dovuto verificare se la ricostruzione del suo comportamento trasgressivo fosse stata preceduta da un procedimento nel quale questi fosse stato messo in condizioni di difendersi dall'accusa di esser venuto meno agli obblighi specificatamente posti in capo al coordinatore, in modo da esplicitare se la indubbia asimmetria tra la contestazione formalizzata con il decreto che dispone il giudizio e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti.
In difetto di tale verifica è stato disposto il rinvio per nuovo esame sul punto.
3. Va dunque ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione così come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; conf., ex plurimis, Sez. 1, n. 6170 del 11/03/1997, Sgranfetto, Rv. 207934; Sez. 5, n. 7581 del 05/05/1999, Graci, Rv. 213776; Sez. 6, n. 34051 del 20/02/2003, Ciobanu, Rv. 226796; Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423).
Tale orientamento è stato sviluppato chiarendo che è configurabile la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito (Sez. 3, n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245; Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756, che ha escluso la violazione della correlazione fra imputazione e sentenza nel caso di un imputato accusato del delitto di abuso d'ufficio, commesso per procurare a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale, e condannato per peculato), e precisando che può sussistere violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto descritto e quello accertato non si rinviene un nucleo comune identificato dalla condotta, e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato è impossibilitato a difendersi (Sez. 4, n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727; Sez. 6, n. 81 del 06/11/2008, Zecca, Rv. 242368; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Domizi, Rv. 254888). 
E' stato, poi, ulteriormente precisato come, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419; Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052, nella quale è stato chiarito che non è configurabile la violazione deN'art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l'imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione).
L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" va, infatti, coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345).
Ne consegue che la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254648), tenendo anche conto dei possibili sviluppi, interpretativi e sul piano della qualificazione giuridica, della ipotesi d'accusa originaria, che siamo in questa insiti ab origine.
Tali consolidati criteri ermeneutici sono stati ritenuti compatibili con la regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell'art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo sul "processo equo", la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (cfr., al riguardo, Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; conf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, Ferrari, Rv. 254521), purché la diversa qualificazione giuridica avvenga "a sorpresa", determinando conseguenze negative per l'imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell'imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254649; conf. Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Cavallari, Rv. 258941; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438).
4. Nella vicenda in esame la Corte d'appello, investita nel giudizio di rinvio del compito di verificare se la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale, che aveva ravvisato la responsabilità del F.N. per la violazione degli artt. 4 e 5 del D.lgs. 494/96, non richiamati nella imputazione, fosse stata preceduta da un procedimento nel quale l'imputato fosse stato messo in condizione di difendersi dall'accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, ha ritenuto che nel corso del giudizio il F.N. avesse avuto piena consapevolezza della portata della contestazione a suo carico, tenendo conto degli elementi probatori acquisiti in contraddittorio.
In proposito la Corte d'appello ha, anzitutto, sottolineato come l'imputazione facesse riferimento all'incarico del F.N. di coordinatore dei lavori in fase di progettazione e realizzazione, dunque a una specifica figura introdotta da d.lgs. n. 494 del 1996, incaricata essenzialmente dell'approntamento del piano di sicurezza e di coordinamento dell'intero cantiere (art. 4) e della verifica dell'adempimento da parte delle imprese in esso operanti delle norme e di sicurezza e coordinamento (art. 5).
La Corte territoriale, pur dando atto della estraneità del coordinatore ai precetti contenuti negli artt. 10, 16 e 68 del d.P.R. 164 del 1956, in quanto rivolti ai datori di lavoro, ha tuttavia sottolineato la rilevanza, sul piano della specificazione delle concrete condotte colpose addebitate all'imputato quale coordinatore dei lavori, delle condotte descritte in tali imputazioni, e in particolare delle omissioni delle cautele di sicurezza alle quali è stata ricondotta la verificazione dell'evento (e cioè la caduta del G.C. dal tetto), nell'ambito delle quali è stato sottolineato il rilievo della omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di protezione dalla cadute dall'alto, risultate inadeguate.
Nel giudizio erano, infatti, emerse le incongruenze del piano di sicurezza e coordinamento dei lavori, che descriveva la realizzazione di una sola villetta benché dovessero esserne edificate sei, e con esso anche dei piani operativi per la sicurezza redatti dalle singole imprese appaltatrici operanti nel cantiere, con un inadeguato coordinamento delle varie fasi di esecuzione dei lavori, ascrivibile al F.N., al quale ciò era stato contestato dai tecnici della ASL nel corso degli accertamenti svolti dopo la verificazione dell'infortunio. Ciò era stato confermato da uno di essi nel corso del giudizio ed anche dal G.C., che aveva riferito che il ponteggio di protezione era stato rimosso e spostato presso altre palazzine in costruzione, quando la copertura di quella a cui stava lavorando non era ancora del tutto terminata, ed egli, ritornato sul tetto per ultimare in un punto la posa delle tegole su richiesta della committenza, non se ne era accorto ed era perciò caduto.
Sulla base di tale complesso di elementi la Corte territoriale ha quindi ritenuto che l'imputato fosse stato ampiamente messo in condizione di svolgere pienamente le proprie difese, in relazione alle risultanze probatorie portate alla sua conoscenza, che avevano formato oggetto di sostanziale contestazione.
5. Tali considerazioni, con le quali, peraltro, il ricorrente ha omesso un autentico confronto critico, risultano coerenti con il consolidato e uniforme orientamento interpretativo ricordato, in quanto le condotte poste a fondamento della affermazione di responsabilità dell'imputato, e cioè le gravi carenze e inadeguatezze del piano di sicurezza e coordinamento dei lavori e l'omessa vigilanza sulla sua adeguatezza in relazione alle specifiche lavorazioni da eseguire (tra cui la ripresa della tegole sul tetto da parte del G.C.), cui era tenuto quale coordinatore dei lavori in fase di progettazione ed esecuzione, sono state oggetto di contestazione all'imputato anteriormente all'inizio del procedimento penale, erano incluse nella complessiva contestazione dei fatti quale emergente da tutte le imputazioni, lette unitariamente e in modo coordinato tra loro, e ampiamente discusse nel corso del giudizio, con la conseguenza che la condotta in questione risulta essere stata sufficientemente esposta all'imputato nella contestazione e ampiamente discussa nel giudizio, con la conseguente insussistenza di lesioni o pregiudizi alle sue prerogative difensive.
Ne consegue l'insussistenza sia della denunciata inottemperanza a quanto indicato nella sentenza di annullamento con rinvio, avendo la Corte territoriale ampiamente e positivamente verificato che la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale era stata preceduta da un procedimento nel quale l'imputato era stato messo in condizione di difendersi dall'accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori; sia della violazione degli arti. 10, 16 e 68 d.P.R. n. 164 del 1956, i cui precetti non sono stati considerati nella valutazione della condotta dell'imputato, esaminata con riferimento alle condotte descritte nei capi di imputazione relativi alle contravvenzioni, condotte ritenute allo stesso ascrivibili non quale datore di lavoro ma come coordinatore dei lavori, così come descritte in dette imputazioni.
Ciò determina l'irrilevanza anche dell'inosservanza delle forme del procedimento amministrativo di contestazione di cui agli artt. 20 e 21 d.lgs. 758/1994, relativo alle disposizioni antinfortunistiche, nella specie non oggetto di esame né di contestazione all'imputato, dunque privo di rilievo in relazione al reato di cui all'art. 590 cod. pen. contestato all'imputato, per la cui procedibilità non è necessario l'espletamento preventivo di tale procedimento.
6. Non sussiste neppure il vizio della motivazione in ordine alla efficienza causale della condotta del ricorrente, avendo la Corte territoriale ampiamente indicato la rilevanza diretta delle omissioni dell'imputato nella verificazione dell'evento, conseguente alla inadeguatezza e alle incongruenze del progetto dei lavori e del piano di sicurezza, aventi efficacia diretta nella produzione dell'evento, in combinazione con la disposizione impartita al G.C. di riprendere le lavorazioni sul tetto nonostante lo smantellamento dei ponteggi, cui, però, l'imputato non era estraneo, posto che la sua veste di coordinatore dei lavori gli imponeva di vigilare anche su tali disposizioni, sicché correttamente è stata esclusa la presenza di fattori causali concorrenti aventi efficienza esclusiva della verificazione dell'evento.
7. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere respinto, stante l'infondatezza di tutte le doglianze cui è stato affidato.
Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 1/3/2017