Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 ottobre 2017, n. 23410 - Caduta da una passerella priva di balaustra durante le prove di una trasmissione televisiva.


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: LORITO MATILDE Data pubblicazione: 06/10/2017

 

 

 

Fatto

 


D.C., giornalista, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la RAI Radio Televisione Italiana s.p.a per conseguirne la condanna, ai sensi dell'art.2051 c.c. o dell'art.2043 c.c., al risarcimento dei danni subiti all'esito dell'infortunio occorsogli in data 28/6/2003 allorquando, nel corso delle prove di una trasmissione televisiva, mentre camminava su di una passerella di materiale trasparente priva di balaustra, era caduto da un'altezza di circa m.1,50.
Resisteva al ricorso la Rai s.p.a. ed interveniva volontariamente la Casagit - Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani che chiedeva la condanna della società al pagamento degli importi da essa versati in favore dell'assistito oltre all'ulteriore importo per spese mediche future.
Il giudice adito rigettava le domande proposte dal D.C. e dalla Casagit, con pronuncia che veniva confermata dalla Corte distrettuale che, con sentenza depositata in data 20/2/2013, rigettava l'appello principale proposto dalla Cassa di Assistenza Integrativa e quello incidentale proposto dal giornalista.
A fondamento del decisum, la Corte osservava, in estrema sintesi, che il primo giudice aveva inquadrato la domanda nella sfera della responsabilità aquiliana ai sensi degli artt.2043-2051 c.c. e tale statuizione non era stata oggetto di specifica censura, non potendosi interpretare in tal senso, il vago riferimento contenuto in entrambi gli atti di gravame, all'art.2087 c.c..
Nell'ottica descritta, scrutinando la fattispecie sotto il profilo dei dettami di cui all'art. 2051 c.c., osservava che la responsabilità per i danni da cose in custodia, di natura oggettiva, non era ravvisabile nella specie, risultando esclusa dal fatto estraneo al dinamismo intrinseco della cosa, del tutto eccezionale, e per ciò stesso imprevedibile (cd. fortuito incidentale), ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima.
Dalla espletata attività istruttoria non era emersa infatti alcuna anomalia intrinseca della struttura né un difetto attinente al funzionamento della passerella; era emerso altresì che il D.C. aveva avuto modo di verificare lo stato dei luoghi e le condizioni di illuminazione in cui svolgere l'intervista e che aveva liberamente scelto di svolgerla secondo modalità imprudenti, camminando all'indietro, in modo tale da non avere alcuna visuale della passerella sulla quale transitava. Escludeva, infine, la Corte di merito, la sussistenza di alcuna responsabilità della società ai sensi dell'art.2043 c.c. per aver posto in essere una situazione di insidia o trabocchetto.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la Casagit affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la Rai s.p.a. che ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art.378 c.p.c..
D.C. non ha svolto attività difensiva.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo si deduce violazione dell'art.112 c.p.c. in relazione all'art.360 comma primo n.4 c.p.c..
Ci si duole che la Corte distrettuale abbia omesso ogni pronuncia in ordine al motivo di appello con il quale era stata censurata la decisione del giudice di prima istanza per avere escluso l'applicabilità alla fattispecie, dei dettami di cui all'art.2087 c.c.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt.2043, 2051 e 2087 c.c. ex art.360 comma primo n.3 c.p.c..
Si critica la sentenza impugnata per avere disapplicato i dettami di cui all'art.2087 c.c. tralasciando di considerare che l'infortunio era occorso al dipendente durante lo svolgimento della attività lavorativa ed in condizioni di fatto che si ponevano in aperta violazione delle normative in materia di sicurezza sul lavoro, segnatamente dell'art.23 d.p.r. 27/4/1955 n.547 secondo cui tutti i ponti sospesi devono essere provvisti di parapetto normale completo di ferro al piede.
3. I motivi possono essere congiuntamente esaminati, stante la connessione che li connota.
Entrambi vertono, invero, in ordine alla erronea disapplicazione da parte dei giudici del gravame, del disposto di cui all'art.2087 c.c.: il primo, sotto il profilo dell'error in procedendo; il secondo sotto il profilo del vizio dell'error in judicando.
Orbene dette critiche, prima ancora che infondate - avuto riguardo in particolare, al denunciato vizio di omessa pronuncia, posto che il giudice del gravame ha espressamente escluso l'impugnazione della sentenza di primo grado per omessa applicazione dell'art.2087 c.c. - presentano profili di inammissibilità. 
4. La ricorrente non riproduce il tenore dell'atto introduttivo del giudizio, nè dell'atto di appello, non consentendo a questa Corte di verificare ex actis, la idoneità della censura ad inficiare la statuizione del giudice del gravame secondo cui l'inquadramento della fattispecie disposto dal primo giudice sulla scorta della disciplina invocata dall'attore ai sensi degli artt.2051-2043 c.c., non era stato oggetto di specifica impugnazione da parte appellante, restando quindi, intangibile per effetto del giudicato.
Osserva la Corte che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n.3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell'oggetto dell'impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 18/5/2006 n.11653, Cass. 12/06/2008 n.15808, Cass. 2/8/2016 n.16103). Ciò, anche quando la Corte sia giudice del fatto processuale, giacché, come affermato dalle sezioni unite di questa Corte, neanche in queste ipotesi viene meno l'onere per la parte ricorrente, di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come corollario del requisito della specificità dei motivi di impugnazione, tradotto nelle disposizioni di cui agli artt.366 comma 1 n.6 c.p.c. e 369 comma 2 n.4 c.p.c. (vedi Cass. S.U. 22/5/2012 n.8077).
Nello specifico la ricorrente ha omesso di riprodurre il tenore degli atti del giudizio coessenziali alla verifica della fondatezza della censura in conformità ai principi enunciati, onde i motivi non si sottraggono ad un giudizio di inammissibilità.
5. Con la terza censura è denunciata falsa applicazione degli artt.2051 e 2040 c.c. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c..
In via di subordine rispetto alle precedenti critiche, si deduce che, ove ritenuto corretto l'inquadramento della fattispecie nell'ambito della responsabilità aquilana, l'applicazione dell'art.2051 c.p.c. e l'esonero da responsabilità per il titolare di cosa in custodia, avrebbe postulato un'indagine approfondita sulla natura della cosa e delle modalità che normalmente ne caratterizzano la funzione, non esplicate dal giudice dell'impugnazione.
6. Il motivo presenta profili di inammissibilità giacché, per il tramite del vizio di violazione di legge, tende a pervenire ad una rivisitazione degli approdi ai quali è addivenuta la Corte di merito all'esito dello scrutinio del quadro probatorio di riferimento, non consentita nella presente sede di legittimità.
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione che nella specie, non è oggetto di denuncia (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n.195).
7. Nella fattispecie qui scrutinata la Corte di merito, con motivazione non rispondente ai requisiti della assoluta omissione o della mera apparenza, ha ritenuto che il sinistro si fosse verificato per colpa esclusiva del D.C., il quale, ponendo in essere una condotta assolutamente imprudente, aveva liberamente scelto le modalità di svolgimento dell'intervista, in movimento, su di una passerella sospesa e camminando all'indietro.
Si tratta di accertamento in fatto in ordine alla causazione dell'evento, congruamente motivato e conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte secondo cui in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiono - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili; ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell'evento dannoso ad un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente (vedi ex plurimis, Cass. 14/4/2010 n.8885, Cass. 22/10/2013 n.23915).
In tema di illecito aquiliano perché rilevi il nesso di causalità tra una condotta e l'evento lesivo deve ricorrere, secondo la combinazione dei principi della "condicio sine qua non" e della causalità efficiente, la duplice condizione che si tratti di una condotta antecedente necessaria dell'evento e che la stessa non sia poi neutralizzata dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento stesso (vedi Cass. cit. n. 23915 del 2013).
In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va disatteso.
Consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. nella misura in dispositivo liquidata.
Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese nei confronti di D.C. il quale non ha svolto attività difensiva.
Infine si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della R.A.I. s.p.a. che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma il 4 aprile 2017.