Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 novembre 2017, n. 27666 - Ricorso di un medico per inadeguate condizioni di lavoro nell'Azienda Ospedaliera: art. 2087 c.c.


Presidente: MACIOCE LUIGI Relatore: TRICOMI IRENE Data pubblicazione: 21/11/2017

 

 

Rilevato
1. che la Corte d'Appello di Trieste con la sentenza n. 248/12, depositata il 1° settembre 2012, pronunciando sull'Impugnazione proposta da A.DM. nel confronti di Centro Azienda Ospedaliero Universitaria "Ospedali riuniti di Trieste", avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Trieste, rigettava l'appello;
2. che la Corte d'Appello espone nella sentenza che la lavoratrice aveva adito il Tribunale esponendo di essere un medico chirurgo in possesso di specializzazione in medicina interna e cardiologia, di aver lavorato con contratti a termine alle dipendenze dell'Azienda Ospedaliera di Trieste dal 1998 al marzo 2001 come dirigente medico di I livello in medicina interna presso il servizio di pronto soccorso, di avere stipulato contratto di lavoro a tempo indeterminato con l'Azienda stessa essendo risultata vincitrice di un concorso per un posto di ruolo presso il Pronto soccorso dell'Ospedale Maggiore di Trieste.
Da quando era stata assunta a tempo indeterminato aveva operato con orari di lavoro superiori a quelli tabellari e con servizio di notte ininterrotto e senza riposi compensativi adeguati e con esposizione a rischi per la sua stessa incolumità essendo i locali di lavoro accessibili al pubblico senza barriere di sorta ed in ogni orario in una situazione di grave carenza di organico, sicché si trovava più volte di notte ad essere l'unico medico in servizio. Vane erano state le proteste sollevate, cosi che nel mese di ottobre 2002 aveva cominciato a lamentare sintomi di malattia. Era poi accaduto che dal febbraio 2003 al maggio 2004 la A.DM. aveva accettato altro incarico, a tempo determinato, presso il centro diabetologico e poi, in tempo, aveva richiesto il trasferimento per mobilità ad un reparto diverso del Pronto soccorso, ma senza esito.
La ricorrente allora si era posta in aspettativa senza assegni e senza maturazione dell'anzianità di servizio per sei mesi dal giugno 2004, e aveva poi prolungato detto periodo per altri sei mesi. Era seguito poi un periodo di malattia dal maggio 2005 all'aprile 2006 e poi un periodo di astensione obbligatoria per gravidanza a rischio, altro periodo di astensione obbligatoria per maternità e di astensione facoltativa post partum sino a tutto il marzo 2008.
Notava la ricorrente di aver contratto malattia per le illegittime condizioni di lavoro subite presso il pronto soccorso dell'Ospedale Maggiore di Trieste, di esser stata pregiudicata nel corso della carriera dal fatto di avere dovuto chiedere un periodo di aspettativa non retribuita, di non avere visto accogliere la domanda di trasferimento ad altro reparto.
Poiché nelle more del giudizio alla A.DM. veniva assegnato altro incarico di suo gradimento rinunciava alla domanda correlata al mancato trasferimento;
3. che il Tribunale rigettava la domanda;
4. che la Corte d'Appello, rilevava che l'appellante deduceva di aver subito un danno alla salute derivato dalle condizioni di lavoro nel periodo in cui aveva lavorato presso l'Ospedale Maggiore di Trieste dal marzo 2001 al febbraio 2003 come dirigente medico con contratto a tempo indeterminato, ed agiva ex art. 2087 cod. civ.
Osservava, quindi: che le risultanze della prova per testi avevano in rilievo che la suddivisione dei turni era paritaria, come era paritetica la fruizione di ferie e riposi; che vi era stata una valutazione negativa da parte delle autorità di Polizia in merito all'esigenza di conservare anche di notte un presidio, sussistendo la possibilità per il personale addetto alle volanti di intervenire sul posto in pochi minuti; che vi era la possibilità di ricorrere all'ausilio, anche di notte, dei medici specialisti in servizio presso altri reparti dell'Ospedale stesso; che sussisteva la presenza in loco di infermieri e barellieri che erano i primi a venire in contatto con l'utenza ed ad affrontare i casi più complessi in prima battuta; che era reperibile il superiore Q..
Negli anni interessati (2001/2003), rispetto al passato, non vi erano stati mutamenti o peggioramenti e nel turno notturno vi era un solo medico addetto al pronto soccorso; ciò rilevava perchè la A.DM. fino al 1999 aveva lavorato presso il pronto soccorso dell'Ospedale maggiore di Trieste e quindi era consapevole delle condizioni di lavoro ivi in essere quando aveva fatto domanda per un posto di ruolo, affrontando il relativo concorso.
Pertanto, la Corte d'Appello rigettava i primi due motivi di impugnazione basati su una diversa valutazione delle prove assunte. 
Affermava anche l'infondatezza del terzo e del quarto motivo di appello riferiti alle condizioni di salute della A.DM. e all'esigenza di svolgere CTU.
In relazione all'ultimo motivo di appello ed al danno ex art. 2043 cod. civ., assumeva la Corte d'Appello che non vi era prova, né allegazione di sorta in merito al danno subito dalla ricorrente a seguito della contestazione di addebito e della richiesta di indicare la sua assicurazione fatte da parte dell'azienda datrice di lavoro;
5. che per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre A.DM., prospettando due motivi di ricorso;
6. che resiste con controricorso l'Azienda, eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso; .
7. che entrambe le parti hanno depositato memoria. La ricorrente, tra l'altro, nella memoria, si duole del tono del controricorso.
 

 

Considerato
1. che preliminarmente, si osserva che la ricorrente, pur dolendosi nella memoria del tono del controricorso, a proprio avviso poco rispettoso della propria professionalità, non ha proposto istanza di cancellazione ex. art. 89 cod. proc. civ.;
2. che le eccezioni di inammissibilità del ricorso verranno vagliate nell'esame dei singoli motivi;
3. che con il primo motivo di ricorso, rubricato violazione/falsa applicazione di norme di diritto, sono articolate tre censure.
Con la prima si deduce la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. La Corte avrebbe travisato la domanda fatta valere dalla ricorrente - risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell'art. 2087 cod. civ. e dell'art. 2043 cod. civ. perpetrata dalla datrice di lavoro - identificandola in rivendicazioni dovute a disparità di trattamento, mentre si era prospettato inadempimento dell'Azienda a garantire idonee condizioni di sicurezza nell'ambiente di lavoro.
La seconda attiene alla violazione dell'art. 277 cod. proc. civ. La Corte d'Appello non si pronunciava sull'istanza istruttoria di esperimento di CTU medica, richiesta sin dal primo grado di giudizio.
Con la terza censura si deduce la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., atteso che la Corte d'Appello non avrebbe valutato le prove documentali messe a disposizione dalla ricorrente - tabulati da cui emergevano turni effettuati e giornate di malattia - che attestavano come la ricorrente avesse sostenuto turni in misura superiore a quanto previsto dal CCNL e a quanto sostenibile, con conseguente aumento dei giorni di riposo non goduti, con picco in corrispondenza dell'insorgere della malattia;
3. che il motivo non è fondato;
3.1. che nella specie non è ravvisabile il vizio di violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., atteso che la Corte d'Appello, dopo avere qualificato la domanda come proposta ex art. 2087 cod. civ. in relazione al danno alla salute subito in ragione delle condizioni di lavoro (pag. 9 della sentenza) e ex art. 2043 cod. civ. (pagg.13 e 14 della sentenza), ha preso in considerazione le condizioni di lavoro della ricorrente sotto una pluralità di profili, anche relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro, così vagliando in modo articolato e complessivo le stesse alla luce delle disposizioni invocate: sicurezza sul luogo di lavoro, presenza sul luogo di lavoro di altro personale barellieri ed infermieri, possibilità di avvalersi della collaborazione di altri medici specialisti, equa distribuzione dei turni di servizio e fruizione delle ferie;
3.2. che come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità l'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr., Cass., n. 2038 del 2013);
3.3. che la Corte d'Appello non ammetteva CTU, con espressa statuizione (pag. 12 della sentenza di appello, ove l'esame del terzo e del quarto motivo di appello è riferito anche alla prospettata esigenza di svolgere CTU), in ragione di articolata motivazione che ha preso in considerazione in modo circostanziato le prove per testi (testi Q., M.,N.,T.), i periodi di malattia limitati nel tempo nel periodo 2001/2003. In particolare la Corte d'Appello riferisce che il teste N. aveva esposto che nel corso del 2005, e dunque oltre due anni dai fatti per cui è causa, si era presentata da lui, medico del lavoro, la A.DM. senza esami clinici rilevanti ai fini di valutare il suo caso e di non avere anzi raccolto segnalazioni antecedenti della ricorrente riferite al disagio sul lavoro presso il Pronto soccorso. Il teste M. nel riferire di dolori addominali, mancamenti e malori di cui soffriva la A.DM., del fatto che un tanto si verifica sul lavoro e non, affermava di avere ricevuto lamentele dalla stessa non in merito alle condizioni di lavoro presso il Pronto soccorso, ma con riguardo al tipo di approccio alle problematiche mediche in essere in detto servizio, poco consono al tipo di studi e di preparazione della ricorrente.
Con riguardo alla terza censura si osserva che la Corte d'Appello ha preso in esame il carico di lavoro nel considerare la suddivisione dello stesso e nel rilevare come non fossero intervenute modifiche, in particolare con riguardo al turno notturno, rispetto al periodo in cui la ricorrente aveva prestato servizio presso il pronto soccorso, in ragione di contratti a termine, prima di esservi assegnata a domanda a seguito di concorso;
4. che con il secondo motivo di ricorso è prospettato omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono oggetto di discussione tra le parti. La Corte d'Appello non solo non avrebbe esaminato le prove offerte in giudizio, ma anche i fatti che da tali prove si desumono. La ricorrente lamentava l'illegittima imposizione di turni in eccesso e non la mancanza di equa distribuzione e tale questione non veniva affrontata dal giudice di secondo grado.
In secondo luogo, la Corte d'Appello ometteva di esaminare il fatto pacifico della malattia come attestata dai documenti (in particolare perizie dr. G., dott.ssa C.) prodotti in giudizio.
In terzo luogo la Corte d'Appello non aveva tenuto conto del fatto che nel corso del giudizio fosse intervenuta la destinazione ad altro posto, ai fini della liquidazione delle spese di giudizio;
4.1. che il motivo è inammissibile. 
4.2. che occorre rilevare che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.; in caso contrario, questo motivo di ricorso, come nella fattispecie in esame, si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., n. 9233 del 2006).
4.3. che inoltre, la ricorrente richiama documentazione - tabulati- che assume aver depositato nel giudizio di primo grado, ma rispetto ai quali non deduce la produzione nel giudizio di appello, e perizie mediche che assume aver prodotto in giudizio senza indicare tuttavia né la fase processuale né il luogo.
Tale deduzione, quindi, non soddisfa i requisiti di cui all'art. 366, n. 6, cod. proc. civ.;
5. che quanto alla censura relativa alle spese di giudizio, si osserva che la mancata riproduzione del capo della domanda che il giudice di secondo grado ha dichiarato rinunciato, in uno alle testuali ragioni della rinuncia, prospettata come adesione da parte dell'Azienda nella deduzione della ricorrente, non consente di effettuare il giudizio di rilevanza sulla censura in relazione alla sussistenza di ragioni che ai sensi della disciplina sulle spese di giudizio avrebbe dovuto far derogare al principio della soccombenza applicato dal giudice di appello;
6. che il ricorso deve essere rigettato e le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
 

 

PQM

 

 
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 %, e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 27 giugno 2017.