Categoria: Cassazione penale
Visite: 6582

Cassazione Penale, Sez. 7, 12 dicembre 2017, n. 55346 - Omissioni in materia di sicurezza. Ricorso inammissibile


Presidente: CAVALLO ALDO Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 16/11/2017

 

Fatto

 


Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha condannato C.C. alla pena di euro 3.000,00 di ammenda, in relazione ai reati di cui agli artt. 18, comma 1, lett. c), 55, comma 5, lett. c), e 80, comma 3, 87, comma 3, lett. d), d.lgs. n. 81 del 2008.
Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto appello, trasmesso a questa Corte dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., trattandosi di sentenza non appellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., prospettando l'insussistenza dell'elemento psicologico dei reati contestati, avendo chiamato il lavoratore che non era stato sottoposto a visita medica solamente per una collaborazione episodica e saltuaria, allo scopo di rispettare i termini di ultimazione della realizzazione di un impianto elettrico; la mancata predisposizione del quadro elettrico previsto dalle disposizioni in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro era, poi, riconducibile alla presenza di altra impresa nel medesimo cantiere, che egli aveva ritenuto avesse provveduto a predisporre il suddetto quadro elettrico.
 

 

Diritto

 


Il ricorso è affidato a censure non consentite nel giudizio di legittimità.
E' necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, dep. 24/03/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, dep. 30/09/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, dep. 25/03/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il ricorrente, peraltro omettendo di considerare la natura contravvenzionale dei reati, punibili anche a titolo di colpa, e dunque anche per mera negligenza, ripropone le tesi difensive già disattese dal Tribunale, in ordine alla occasionalità della collaborazione prestata dal lavoratore non sottoposto alla prescritta visita medica e all'affidamento sulla predisposizione del quadro elettrico (pur essendo incaricato di realizzare l'impianto elettrico) da parte di altra Impresa operante nel medesimo cantiere: si tratta di censure volte a conseguire una rivalutazione delle risultanze di fatto considerate ai fini della affermazione di responsabilità e della determinazione della pena, circa l'esistenza di un rapporto di lavoro e la consapevole inottemperanza all'obbligo di predisporre il quadro elettrico di sicurezza, non consentite nel giudizio di legittimità.
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso.
L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017