Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 15 dicembre 2017, n. 56106 - Caduta dal secondo piano e morte: responsabilità del committente


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 21/11/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Potenza, con sentenza n. 586 emessa all'udienza del 18 novembre 2016 e depositata in data 16 febbraio 2016, entro i 90 giorni di cui all'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., ha confermato la sentenza di condanna alla pena della reclusione di mesi 8 (pena sospesa) ed al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, a favore delle parti civili. All'imputato, quale committente di alcuni lavori edili, si contesta la violazione degli artt. 113, 81, 40, 589, commi 1 e 2, in relazione agli artt. 41, 36 quater comma 3, 35, 7, comma 3, del d.lgs. 626/1994, per aver cagionato in data 4 settembre 2006 la morte di G.A., omettendo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento tra le imprese incaricate dei lavori, ai fini e nell'ottica dell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione di rischi incidenti sull'attività lavorativa. Più precisamente in data 4 settembre 2006 G.A., dipendente della Tid.dec, impresa incaricata da V.B. per la tinteggiatura di un immobile, mentre era intento, senza alcun dispositivo di sicurezza individuale, a completare il ponteggio, lasciato senza protezioni verso l'esterno dalla diversa impresa, a cui ne era stata affidata la realizzazione, è caduto all'indietro dal secondo piano ed è deceduto. L'evento letale è stato ricondotto dai giudici di primo e di secondo grado anche alla colposa omissione di V.B., il quale avrebbe dovuto vigilare affinché la Tid.dec prendesse in consegna i lavori di tinteggiatura solo dopo la messa in sicurezza del ponteggio e avrebbe, dunque, dovuto impedire l'inizio dei lavori di tinteggiatura in presenza di una situazione di fatto pericolosa di agevole ed immediata percepibilità (incompleta esecuzione dell'allestimento del ponteggio da parte dell'altra impresa incaricata).
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2. Con il primo motivo ex art. 606 lett b si è dedotta l'inosservanza degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., 6 CEDU e 111 Cost., riferendosi la condanna a condotta diversa (non essersi assicurato che i lavori si svolgessero in assoluta sicurezza) da quella contestata nel capo di imputazione (non aver promosso la cooperazione ed il coordinamento tra le imprese incaricate dei lavori); con il secondo motivo ex art. 606 lett c cod.proc.pen. si è dedotta l'inosservanza dell'art. 589 cod.pen. in relazione alla ritenuta violazione del d.lgs. n. 494 del 1996, non potendo il committente svolgere un controllo continuo e capillare sull'andamento dei lavori e dovendo la sua responsabilità essere valutata in considerazione dei criteri seguiti nella scelta dell'appaltatore, del grado di ingerenza nell'esecuzione dei lavori nonché della percepibilità agevole ed immediata delle situazioni di pericolo;
con il terzo motivo ex art. 606 lett c cod.proc.pen. si è dedotta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla conoscenza, da parte del ricorrente, dei fatti che hanno originato l'infortunio.
 

 

Diritto

 

Il ricorso non merita accoglimento.
1. Il primo motivo è infondato, atteso che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, ud., dep. 19/08/2014, rv. 260161 che riguarda fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori). Nel caso di specie, l'omessa promozione della cooperazione e del coordinamento tra le imprese incaricate, strumentale alla realizzazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi incidenti sull'attività lavorativa, ricomprende, secondo una evidente relazione di continenza, l'omesso controllo delle condizioni di sicurezza del cantiere, profilo di colpa generica su cui, peraltro, come confermato dal contenuto dell'appello, l'imputato si è in concreto difeso, sostenendo di non avere tale obbligo, ma solo quello di verificare la professionalità ed idoneità tecnica dell'organizzazione di impresa e, comunque, di non essere stato messo a conoscenza del passaggio di consegne tra le due imprese (v. sez. 3, n. 15820 del 25/11/2014 Ud., dep. 16/04/2015, rv. 263405, secondo cui il principio di correlazione tra accusa e sentenza non è violato quando tra il fatto contestato e quello ritenuto dal giudice sussiste un rapporto di continenza, con la conseguenza che non è nulla la pronuncia con cui l'imputato, che sia stato tratto a giudizio per rispondere del reato di esecuzione dei lavori in assenza del permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, sia stato invece condannato per la totale difformità delle opere eseguite rispetto ai titoli abilitativi già rilasciati. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso sul presupposto che le difformità edilizie erano state precisamente individuate e contestate nel capo di imputazione).
2. Parimenti è infondato il secondo motivo, in quanto, come premesso dalla Corte di Appello, in tema di infortuni sul lavoro, al committente ed al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore (Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015 ud., dep. 02/04/2015, rv. 263014). Ciò si desume dall'art. 3 del d.lgs. n. 494 del 1996, ratione temporis vigente ed oggi confluito nel d.lgs. n. 81 del 2008, ai sensi del quale il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626 del 1994 ed, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, prevede nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro. Invero, il d.lgs. n. 494 del 1996, nel darne una definizione generale all'art. 2 e nel definirne gli obblighi all'art. 3, ha dato vita ad un'autonoma posizione di garanzia, riferita, appunto, al committente privato, il quale, dopo essere stato individuato come "soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata" (art. 2, lett. b), sciogliendosi qualunque legame con la figura del committente/datore di lavoro, è stato gravato, con riferimento tanto alla fase di progettazione dell'opera, quanto a quelle dell'esecuzione del progetto e dell'organizzazione delle operazioni di cantiere, dell'obbligo di attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 626 del 1994.
Invero, sebbene la Suprema Corte abbia precisato che il dovere di sicurezza gravante sul committente non esige un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo (tra le altre, Sez. 4, n. 27296 del 02/12/2016 ud., dep. 31/05/2017. rv. 270100), tale principio, invocato dal ricorrente, è stato correttamente applicato nel provvedimento impugnato in cui la responsabilità penale di V.B. è stata fondata sulla situazione di pericolo, immediatamente percepibile, anche da persona priva di particolari competenze tecniche, determinata dalla realizzazione, da parte dell'impresa incaricata di realizzare il ponteggio per l'imbiancatura, di una struttura di sei piani, priva di qualsiasi protezione laterale, messa a disposizione della diversa impresa incaricata della tinteggiatura. Alla luce di tale specifica situazione di pericolo, percepibile ictu oculi, il committente, in considerazione della sua posizione di garanzia, non avendo nominato un responsabile dei lavori in sua sostituzione, sarebbe dovuto intervenire, impedendo ad G.A. di salire sul ponteggio in assenza dell'adeguata messa in sicurezza.
3. Anche il terzo motivo è infondato, denunciando un vizio di motivazione su un aspetto irrilevante e, cioè, sulla conoscenza, da parte del ricorrente, del momento del passaggio delle consegne tra le due imprese, che doveva intervenire dopo il - e non prima del - completamento del ponteggio da parte della prima e su cui il ricorrente non ha adeguatamente vigilato, contribuendo ad ingenerare la situazione di pericolo. Invero, nel ricorso non è stata indicata alcuna prova circa l'intervenuto accordo tra le due imprese avente ad oggetto l'anticipazione di tale momento ed il completamento dell'impalcatura da parte dell'Impresa a cui era stata, invece, affidata la tinteggiatura dell'immobile, facendosi riferimento solo a testimonianze concernenti la mancata nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori e la mancata comunicazione al ricorrente del subentro di un'impresa all'altra.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso 21 novembre 2017.