Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 dicembre 2017, n. 30428 - Oneri di rendita INAIL: tasso specifico aziendale e infortuni 


 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 19/12/2017

 

Fatto

 


La Corte d'appello di Bari con la sentenza n. 1490/2011 ha respinto l'impugnazione di Tozzi Sud s.p.a., operante nel settore dell'industria, avverso la decisione di primo grado di rigetto dell'opposizione proposta dalla stessa società al provvedimento dell'INAIL di determinazione del tasso medio di tariffa per l'anno 2005, relativo alla posizione assicurativa n. 29147924.
La Corte ha ritenuto corretto l'operato dell'Inail che aveva considerato gli effettivi oneri di rendita sopportati dall'Istituto anche in riferimento all'infortunio sul lavoro occorso al dipendente F.R. nel 2003, respingendo la tesi dell'appellante fondata sulla circostanza che tale rendita non potesse essere contabilizzata in quanto erogata solo per pochi mesi (dall'infortunio dell'ottobre 2003 al decesso dell'infortunato avvenuto nella primavera del 2004 senza eredi).
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Tozzi Sud s.p.a. con tre motivi, resiste t'Inail con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo denuncia, sotto il duplice profilo della violazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ. e del vizio di motivazione, che la sentenza impugnata ha errato nel valutare l'oggetto della domanda giacché nella specie era stato contestato non il calcolo della riserva sinistri (ovvero della somma destinata a coprire oneri da sopportare ma non determinabili in via definitiva), ma il calcolo degli oneri di rendita relativi all'anno 2003, derivati dall'infortunio occorso a F.R., che dovevano essere quantificati con riferimento al modesto importo della rendita corrisposta all'infortunato, il quale nel 2004 era deceduto senza eredi e, quindi, senza onere di pagamento della rendita superstiti;
2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per aver violato il d.p.r. n. 1124/1965, il d.m. n. 10651/2000 e la circolare INAIL n. 9/2002 in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. sempre a causa della errata qualificazione della domanda.
3. Il terzo motivo, infine, denuncia la violazione degli artt. 329 e 342 cod. proc. civ. in quanto erroneamente la Corte d'appello di Bari aveva ritenuto che l'appello non avesse toccato la seconda ratio decidendi adottata dal primo giudice, relativa alla esistenza della prova documentale che il periodo di osservazione per la determinazione del tasso, apprezzata dal primo giudice, era stato correttamente riferito agli anni 2001,2002 e 2003.
4. i primi due motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto presuppongono la ricognizione della disciplina della determinazione del tasso medio di tariffa. L'importo di quanto dovuto all'INAIL è determinato, ai sensi dell'art. 41 t.u. n. 1124/1965, in base al tasso di premio stabilito dall'istituto, con riferimento sia ad una tariffa approvata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale in relazione al rischio medio nazionale presentato dalla lavorazione contemplata in ciascuna voce della tariffa, sia all'ammontare complessivo delle retribuzioni effettive (o di quelle convenzionali, o comunque da assumersi ai sensi di legge), corrisposte ai prestatori d'opera durante il periodo assicurativo.
5. Il sistema assicurativo obbligatorio contro gli infortuni e le malattie professionali è retto dal principio di equilibrio finanziario interno che si persegue, con metodo attuariale, mediante una necessaria relazione tra entità del contributo dovuto e grado di pericolosità dell'attività svolta, con riguardo anche alla singola lavorazione. Tale tasso è denominato nazionale perché esprime il rischio medio nazionale delle singole lavorazioni assicurate e traduce il rapporto tra il complesso degli oneri che la gestione dell'Istituto sostiene in un certo periodo quanto a ciascuna lavorazione. Nei riguardi della singola azienda, poi, il tasso nazionale è suscettibile di essere maggiorato o diminuito a seconda del concreto andamento dei sinistri verificatisi, in ragione del concorrente principio di coinvolgimento responsabile delle imprese attraverso la considerazione sia del rispetto delle regole di prevenzione, che dell'andamento infortunistico . che della entità forza lavoro impiegata in azienda .
6. Questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 1941/2002, in particolare, dopo aver ricordato che l'art. 39 d.P.R. n. 1124/1965 prevede che le tariffe dei premi dovuti all'Inail vengono determinata in modo da ricomprendere l'onere finanziario previsto, corrispondente agli infortuni del periodo di assicurazione, e che due sono pertanto i criteri fondamentali di determinazione: calcolo fondato su previsioni, ossia probabilistico, e perseguimento dell'equilibrio finanziario dell'Istituto, ha affermato che il successivo art. 40 affida a quest'ultimo di deliberare le tariffe ed al Ministero del lavoro e della previdenza sociale di approvarle. Per quanto ora di interesse, nel tempo si sono succeduti i decreti ministeriali 10 dicembre 1971, 14 novembre 1978, 18 giugno 1988 e 12 dicembre 2000, tutti aventi natura di norme di diritto ai sensi dell'art. 1, n. 2, delle preleggi e 360 n. 3 cod. proc. civ. (ex multis Cass. 23 gennaio 1995 n. 778) e ciascuno utile per interpretare il precedente, quanto alle sue disposizioni confermative e chiarificative.
L'art. 20 del d.m. del 1988 ha stabilito che il tasso specifico aziendale comprende "anche gli oneri per i casi di infortunio o di malattia professionale ancora da definire alla data di determinazione degli stessi tassi specifici aziendali". L'art. 14 del d.m. del 1971 aveva già definito il detto tasso come quello derivante dal rapporto oneri-mercedi nel triennio immediatamente precedente l'anno in cui è stata chiesta la riduzione del premio (da parte del datore di lavoro) o lo aumento (da parte dell'Inail).
7. Tra gli "oneri" sono compresi quelli "diretti", ossia le prestazioni economiche o sanitarie da erogare, e quelli "presunti", che si traducono nella riserva sinistri, ossia nella somma destinata a coprire oneri non determinabili attualmente in via definitiva. Il tasso aziendale non si riferisce all’andamento infortunistico della singola impresa bensì al rapporto tra l'andamento infortunistico in ciascuna categoria di lavorazione ed il numero dei lavoratori assicurati nelle singole imprese, nonché le loro retribuzioni.
In tal modo gli oneri presunti vengono distribuiti secondo un criterio di probabilità basato su gruppi di imprese, in modo che il rischio venga ripartito secondo il criterio mutualistico, proprio dell'assicurazione.
Il criterio probabilistico, inoltre, sottostà a tutta la tecnica assicurativa e deve governare anche la determinazione dei tassi specifici (I' assenza di infortuni o di malattie nella singola azienda non influisce sulla probabilità di sinistri futuri).
8. Per tal motivo il d.m. 10561 del 2000, dopo aver previsto all'art. 22 che il tasso specifico aziendale è quello risultante dal rapporto fra oneri e retribuzioni relativo ai primi tre anni del quadriennio precedente l'anno di decorrenza del provvedimento di oscillazione o del minor periodo, purché non inferiore a un anno, nella ipotesi di attività iniziata da meno di quattro anni, chiarisce nel comma 3, che gli oneri presunti debbono essere calcolati a stima su base nazionale e attribuiti alle singole posizioni assicurative con criterio statistico attuariale. In altri termini, l'aumento del tasso medio nazionale viene applicato laddove l'azienda dimostri un andamento infortunistico (determinato dal rapporto tra gli oneri e le retribuzioni) più oneroso rispetto alla media nazionale, mentre la riduzione del tasso medio nazionale viene applicata alle aziende con andamento infortunistico meno oneroso rispetto alla media nazionale. La misura dell'aumento o della riduzione è, quindi, una variabile del rapporto che dipende sia dall'entità dello scarto tra i valori aziendali e quelli nazionali, che dalla dimensione aziendale.
9. Tutte queste considerazioni, già svolte dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza 11 giugno 2001 n. 7853, ribadite con numerose altre successive sentenze, tra le quali 1941/2002, SS.UU.26020/2008, 7668/2010), inducono a ritenere, anche nella presente fattispecie, che non si possa diminuire il premio dovuto dalla odierna ricorrente, né da una singola impresa, in base ad un fatto concernente il singolo lavoratore assicurato, anche se avvenuto prima del formale atto di determinazione del premio da parte dell'assicuratore ma sempre all'interno del triennio di osservazione previsto dall'art. 22 del d.m. del 2000.
Deve, infatti, ritenersi irrilevante, ai fini del rispetto del sistema di calcolo previsto dalla legge ed appena descritto, che all'avvenuto riconoscimento della rendita durante il triennio di osservazione - richiesto dall'art. 22 del d.m. n. 10651/2000 per il calcolo della tariffa- segua la cessazione della sua erogazione per decesso dell'infortunato, seppure ciò accada prima del formale provvedimento di variazione. Il sistema è, infatti, rigido per le finalità di cui si è parlato e non consente deroghe o interpretazioni adeguatrici.
Significativamente, dunque, la giurisprudenza di questa Corte sopra citata ha sintetizzato la ratio della normativa in esame nell' affermazione che se si ammettesse la possibilità di ridurre il tasso aziendale per l'assenza di infortuni si realizzerebbe l'effetto vietato di ridurre il premio a mero corrispettivo dell'indennizzo, obliterando sia la funzione mutualistica dell'assicurazione sia il criterio probabilistico di calcolo del premio.
10. Quanto, poi, al terzo motivo, teso a censurare il vizio di inammissibilità dell'appello, riscontrato dalla sentenza impugnata, perché non idoneo ad incrinare una delle due ragioni addotte dal primo giudice a sostegno della motivazione, lo stesso va dichiarato inammissibile in quanto non riproduce, neanche nelle parti più significative, la motivazione del primo giudice dalla quale la sentenza impugnata ha tratto argomenti per ritenere sussistente la doppia motivazione. In altri termini, la ricorrente si limita a riprodurre la pagina sei del proprio ricorso in appello e sostiene che quanto ivi contenuto sia stato idoneo ad impedire il passaggio in giudicato di tutte le ragioni addotte dal primo giudice per rigettare la domanda; invece, avrebbe dovuto, riportandone la motivazione, mettere in evidenza che il tribunale non aveva adottato una doppia motivazione - come affermato dalla Corte d'appello- ma solo una argomentazione complessa così da rendere possibile, in questa sede, la verifica della correttezza della pronuncia impugnata.
11. La Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un "error in procedendo", è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile "ex officio", è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per rispetto del principio di specificità, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale ( in tal senso vd. Cass. 2771/2017; 1170/2004).
12. Il ricorso, in definitiva, va respinto. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 settembre 2017.