Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 gennaio 2018, n. 99 - Giudice di pace infettato dal batterio della tubercolosi contratta nell'ambiente di lavoro. Nessun risarcimento dal Ministero della Giustizia


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: TORRICE AMELIA Data pubblicazione: 04/01/2018

 

 

 

FattoDiritto

 


1. La Corte di Appello di Genova, adita in via principale da M.M.B. ed in via incidentale dall'Inail, con la sentenza n. 594 in data 20.7.2012, ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta da M.M.B., giudice pace, volta alla condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni alla salute, morale ed esistenziale, conseguiti all'infezione provocata dal batterio della tubercolosi contratta nell' ambiente di lavoro ed alla condanna dell'Inail alla liquidazione della rendita ovvero al pagamento della somma spettante in capitale e in accoglimento dell'appello incidentale ha posto a carico del M.M.B. le spese relative alla CTU espletata nel giudizio di primo grado.
2. In relazione alla domanda risarcitoria proposta nei confronti del Ministero, la Corte territoriale ha ritenuto che l'art. 2087 c.c., non trovava applicazione nella fattispecie dedotta in giudizio perchè non sussisteva tra il Ministero ed il M.M.B. un rapporto di pubblico impiego, in quanto quest'ultimo aveva lavorato nella qualità di magistrato onorario; solo nell'atto di appello quest'ultimo aveva fatto riferimento alla responsabilità ex art. 2043 c.c. e al solo fine di invocare una interpretazione estensiva dell'art. 2087 c.c. , ai sensi dell'art. 32 della Costituzione e degli artt. 1175 e 1375 c.c.
3. In relazione alle domande formulate nei confronti dell'Inail la Corte territoriale ha ritenuto che i giudici di pace non rientrano tra i soggetti obbligatoriamente assicurati dall' Inail ai sensi degli artt. 1 e 4 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e del D. Lgs. n. 38 del 2000 e tanto sia dal punto di vista oggettivo (lavorazioni protette) sia sotto il profilo soggettivo difettando i requisiti della subordinazione e della parasubordinazione; la non configurabilità di un rapporto di pubblico impiego escludeva l'applicabilità dell'art. 127 del D.P.R. n. 1124 del 1965.
4. La peculiarità della disciplina relativa ai giudici di pace, coerente con specificità del rapporto di servizio onorario, escludeva la configurabilità della violazione del principio costituzionale di parità di trattamento.
5. Infine, quanto all'appello incidentale proposto dall' Inail, la Corte territoriale ha ritenuto le spese relative alla CTU espletata nel giudizio di primo grado dovevano essere poste a carico del M.M.B. M.M.B. in applicazione del principio di soccombenza.
6. Avverso questa sentenza M.M.B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati da successiva memoria, al quale hanno resistito con controricorso il Ministero della Giustizia e l'Inail.
 

 

Sintesi dei motivi di ricorso
7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 2087 c.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. Assume che, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, l'art. 2087 c.c. troverebbe applicazione anche nei confronti dei giudici di pace, perchè essi non potrebbero ritenersi soggetti estranei all'ambiente di lavoro. Sostiene, inoltre, che l'adozione dei provvedimenti a tutela del lavoratore hanno contenuto immediatamente precettivo in quanto trovano fondamento nell'alt. 32 della Costituzione.
8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. per erronea qualificazione dell'azione risarcitoria. Deduce che il tenore del ricorso di primo grado (pg. 10) e dell'atto di appello (pg. 22), al pari delle conclusioni formulate nel giudizio di primo grado, evidenziavano che la responsabilità del Ministero era stata fondata "alla stregua dell'oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. Sent. n. 8422/97 e n. 4468/95) sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute, articolo 32 Costituzione, sia per il principio di correttezza e buona fede, nell'attuazione del rapporto obbligatorio, artt. 1175 e 1375 c.c. , cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, sia, infine, pur se nell'ambito della generica responsabilità extracontrattuale o aquiliana ex art. 2043 c.c. in tema di "neminem ledere". Assume, invocando la pronuncia di questa Corte n. 398 del 1994 che la qualificazione giuridica del rapporto sul quale la domanda è fondata è esclusivo compito del giudice, il quale ha "l'obbligo di definire il rapporto prescindendo dalla denominazione con il solo limite di non alterare il "petitum" e la "causa petendi".
9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 c. 1 del T.U n. 81 del 2008 per non avere la Corte territoriale ricompreso la figura del funzionario onorario ovvero del magistrato onorario nell'ambito della definizione "lavoratore" e per avere escluso che detta norma sia in contrasto con gli artt. 2,3, 4, 32, 35 della Costituzione "per evidente disparità di trattamento".
10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 4 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e 5 del D.Lgs. n. 38 del 2000 per erronea valutazione della eccezione di illegittimità costituzionale, formulata con riguardo agli artt. 2, 3, 4, 32 e 35 della Costituzione nella parte in cui le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 1124 del 1965 e nel D. Lgs. n. 38 del 2000 non prevedono tra le persone che debbano godere della assicurazione Inail la figura del funzionario onorario nonostante la indiscutibile figura di lavoratore che assume il magistrato onorario. Ripropone, poi, la questione di legittimità costituzionale.
11. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sulla domanda di nullità e/o di rinnovazione della CTU , dedotta quale motivo di appello da esso ricorrente e di avere, poi, nondimeno condannato esso ricorrente al pagamento delle spese della CTU espletata nel giudizio di primo grado in accoglimento dell'appello incidentale proposto dall' Inail.
12. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 134 c.p.c. e 111 Costituzione per avere omesso la Corte territoriale omesso di pronunciare sulle istanze istruttorie formulate nell'atto di appello.
 

 

Esame dei motivi
13. Il primo motivo e infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha, u- da tempo, chiarito che nei confronti dei giudici di pace si instaura un rapporto di servizio non coincidente con quello di pubblico impiego.
14. In particolare, è stato osservato che la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (cfr. al riguardo, la Legge Istitutrice 21 novembre 1991, n. 374, art. 1, comma 2, che parla di "magistrato onorario") ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego pubblico (cfr. per l’enunciazione di tali concetti e come espressione di un indirizzo risalente nel tempo, Cass. Sez. Un. 27/1975, 5129/1982, 2033/1985, 363/1992, 1556/1994) e i due rapporti si distinguono (Cass. SSUU 11272/1998), in base ai seguenti elementi: 1) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale; 2) l’inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario; 3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell'esercizio di funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest'ultima potendo essere individuata unicamente nell'atto di conferimento dell'incarico e nella natura di tale incarico; 4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti; 5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell'incarico) quanto al funzionario onorario.
15. I principi innanzi richiamati sono stati ribaditi nelle decisioni di questa Corte n. 17862/2016, n. 22569/2015, n. 9155/2005, che hanno escluso l'inquadrabilità della figura giuridica del giudice di pace in quella della parasubordinazione, delineata dall'alt. 409 c.p.c., n. 3).
16. Gli approdi delle decisioni innanzi richiamate risultano ribaditi nella recente sentenza n. 13721 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno richiamato tra le altre, la sentenza della sezione lavoro di questa Corte n. 17862 del 2016 che ha osservato che la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte il giudice di pace (art. 1, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374) ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l'impiego pubblico.
17. Le Sezioni Unite, inoltre, hanno precisato che l'art. 54 Cost., costituendo l'unica fonte della disciplina costituzionale dell'attribuzione di funzioni pubbliche al cittadino al di fuori del rapporto di pubblico impiego, esclude qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni e trattamento economico per tale esercizio, che è, invece, proprio di quel rapporto; mentre il termine «affidamento», lungi dal configurarsi come un richiamo a quel connotato, vale, invece, a generalizzare il contenuto della norma, al fine di ricomprendere tutti i casi in cui sia affidata al cittadino, in qualunque modo,- una funzione pubblica, imponendogli che essa sia assolta con disciplina ed onore.
18. Ed hanno affermato anche che l'esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticità tra esercizio delle funzioni di giudice di pace e trattamento economico per tale esercizio e la consequenziale natura indennitaria dell'erogazione erariale per l'esercizio di una funzione pubblica portano il rapporto col Ministero della giustizia al di fuori dal rapporto di lavoro e, dunque, al di fuori del perimetro assistenziale e previdenziale approntato dall'art. 38 Cost.
19. Hanno evidenziato che di ciò v'è indiretto riscontro nel contenuto della legge 28 aprile 2016, n. 57 (Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace), che all'art. 2, comma 13, lett. f), indica come principio direttivo, per il futuro, quello di «individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell'incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l'acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull'indennità», secondo la tecnica non inconsueta della traslazione degli oneri previdenziali a carico del beneficiario (cfr. ad es. legge finanziaria 2006, art. 1, comma 208).
20. I principi innanzi richiamati, ai quali il Collegio ritiene di dare continuità, escludono che nella fattispecie in esame possa trovare applicazione l'art. 2087 c.c., diversamente da quanto opina il ricorrente perchè detta disposizione trova applicazione soltanto nell'ambito dei rapporti di lavoro subordinato (Cass. 24538/2015, 27368/2014, 17896/2013, 7128/2013, 8522/2004, 9614/2001).
21. Il secondo motivo è inammissibile.
22. Va osservato che la Corte territoriale ha rilevato che l'allegazione e l'impostazione dei fatti posta a base della domanda risarcitoria ponevano in evidenza la rappresentazione di una chiara responsabilità contrattuale, e che il riferimento all'art. 2043 c.c., contenuto solo nell'atto di appello, era stato effettuato al solo fine di invocare la lettura estensiva dell'alt. 2087 c.c., possibile, nella prospettiva, difensiva dell'appellante avuto riguardo ai principi di cui all'art. 32 della Costituzione ed agli artt. 1175 e 1375 c.c. La Corte territoriale ha, in conclusione, posto in evidenza come dalla rappresentazione dei fatti e delle difese emergesse esclusivamente l'inadempimento dell'obbligo contrattuale di diligenza da parte del Ministero con riguardo ai doveri imposti dall'art. 2087 c.c.
23. Ebbene, il ricorrente, a fronte di questa affermazione, in violazione degli artt. 366 n. 6 c.p.c. e 369 n. 4 c.p.c., ha riprodotto nel ricorso in termini eccessivamente sintetici il contenuto del ricorso di primo grado e dell'atto di appello, riportandone un passaggio ( cfr. punto 8 di questa sentenza) non idoneo da sé solo a far comprendere compiutamente le ragioni in fatto ed in diritto poste a fondamento della domanda risarcitoria azionata nei confronti del Ministero della Giustizia e a ricostruire l'intero "devolutum" nel giudizio di appello. Di questi atti processuali, non allegati al ricorso, non è specificata la sede di produzione processuale, non potendo ritenersi sufficiente il richiamo contenuto nell'indice del ricorso al "fascicolo di parte di secondo grado (r.g. 277/2010) contenente tutti gli atti e documenti ivi prodotti nonché il fascicolo di primo grado (r.g. 1454/2009), contenente tutti gli atti e documenti ivi prodotti". Risulta, dunque precluso, al Collegio l'esame delle censure formulate nei confronti della sentenza impugnata (Cass. SSUU 5698/2012, 22726/2011; Cass. 9888/2016, 15229/2015, 988/2015, 19157/2012, 15477/2012, 2281/2010).
24. Il terzo motivo è infondato perchè l'art. 2 c. 1 del D. Lgs. n. 81 del 2008 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza), nella parte in cui definisce la figura del "lavoratore", non solo non ha alcuna interferenza con la responsabilità ex art. 2087 c.c., configurabile per quanto innanzi osservato (cfr. punti da 13 a 20 di questa sentenza) solo nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, ma risulta comunque inapplicabile "ratione temporis" perchè la disposizione è entrata in vigore (15.5.2008) successivamente alla verificazione dei danni dedotti in giudizio.
25. Il quarto motivo, che addebita alla sentenza erronea valutazione dell'eccezione di incostituzionalità degli artt.  1 e 4 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e del D. Lgs. n. 38 del 2000 per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 32, 35 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che anche il funzionario onorario debba essere garantito dall'assicurazione Inail è inammissibile.
26. La violazione di precetti costituzionali non può essere direttamente prospettata a motivo di doglianza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. L'eventuale contrasto della decisione impugnata con i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell'applicazione di norme di legge, può, infatti, essere portato ad emersione con la formulazione dell'eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (ex multis Cass. SSUU 7929/2013; Cass. 14319/2016, 17862/2016, 3798/2014).
27. La questione di legittimità riproposta nel motivo in esame è da ritenersi manifestamente infondata per non essere in alcun modo equiparabile l'attività svolta dal giudice di pace a quella di un pubblico dipendente ovvero a quella svolta da un lavoratore parasubordinato, per le ragioni esaminate nei punti da 13 a 20 di questa sentenza.
28. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per l'intima connessione che correla le doglianze in essi formulate, sono infondati perchè la Corte territoriale ha spiegato in maniera chiara ed esaustiva che l'insussistenza di un rapporto di impiego pubblico esimeva dall'esame dei motivi di appello relativi agli eventuali profili di responsabilità datoriale dedotti dall'appellante e, quanto all'appello incidentale, che la soccombenza del ricorrente costituiva ragione per porre a carico del medesimo le spese relative alla CTU espletata nel giudizio di primo grado.
29. Sulla scorta delle conclusioni svolte il ricorso va rigettato.
30. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso
Condanna il ricorrente a rifondere al Ministero ed all'Inail le spese del giudizio di legittimità, liquidate, quanto al Ministero, in € 4.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito e, quanto all'Inail, in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie , oltre iva e C.P.A.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell'11 ottobre 2017