Le Aree Operative e Riservate delle FF.AA. e delle FF.PP. e la vigilanza sull’applicazione della legislazione in tema di Tutela della salute e sicurezza sul lavoro
 

di Balduino Simone*

La definizione di Area Operativa e Riservata e di altre «aventi analoghe esigenze», è apparsa nella legislazione con l’art. 10, del d.lgs. n. 242 del 1996, che riscriveva interamente l’art. 23, del d.lgs. n. 626 del 1994, prima disciplina organica dedicata alla Tutela della Salute ed alla Sicurezza sul Lavoro, che riservava la vigilanza sull’applicazione della legislazione dedicata:
- all’Unità Sanitaria Locale e, per quanto di specifica competenza, al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché;
- per le attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, la vigilanza poteva essere esercitata anche dall’Ispettorato del Lavoro che ne informava preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza della Unità Sanitaria Locale, competente per territorio.
Non erano previsti altri Organismi e non esistevano aree sottratte a tali competenze, ovunque ubicate e a qualsiasi funzione dedicate.
Riscrivendo l’art. 23, meno di due anni dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 626/1994, il legislatore introduceva, per la prima volta, il concetto di Aree Operative e Riservate.
Confrontando il nuovo art. 23 con quello precedente, appariva chiaramente che l’unica novità introdotta era rappresentata dal comma 4, in quanto i primi due, contenevano differenze minimali, e il comma 3 indicava i termini per la definizione dei lavori comportanti rischi particolari, per i quali vigeva la competenza dell’Ispettorato del Lavoro.
Il comma 4, invece, conteneva una novità rilevante. In particolare, la norma:
- confermava le competenze in tema di Salute e Sicurezza, già riconosciute agli Uffici di Sanità’ Aerea e Marittima ed alle Autorità marittime, Portuali ed Aeroportuali, per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale ed aeroportuale;
- affidava ai Servizi Sanitari e tecnici delle Forze armate e delle Forze di polizia, limitatamente alle aree riservate o operative e per quelle che presentano analoghe esigenze da individuarsi, anche per quel che riguarda le modalità di attuazione, con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della Sanità la competenza alla vigilanza, sottraendola a quella generale degli Unità Sanitaria Locale e nei casi di rischi particolari all’Ispettorato del Lavoro.
- consentiva all’Amministrazione della giustizia di “avvalersi dei servizi istituiti per le Forze armate e di polizia, anche mediante convenzione con i rispettivi ministeri, nonché dei servizi istituiti con riferimento alle strutture penitenziarie.”.
Le «Aree Operative o riservate e quelle che presentano analoghe esigenze» facevano così il loro ingresso nella legislazione, con la chiara ed unica finalità di sottrarre, all’Ufficio della ASL, competente in via generale, la vigilanza sulle stesse, individuate con decreto del Ministro competente.
La novità veniva accolta con “entusiasmo” dalle Forze Armate e dalle Forze di Polizia, perché vedevano scongiurato il pericolo di trovarsi nelle caserme funzionari ASL o dell’Ispettorato del Lavoro, a controllare locali ed attrezzature riservati o nei quali si riflettevano quelle «particolari esigenze connesse al servizio espletato» che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 626/1994, dovevano essere tenute presenti nell’applicare la normativa.
Il legislatore aveva rilevato questa criticità tra il riconoscere alle FF.AA. e alle FF.PP. «particolari esigenze connesse al servizio espletato», e sottoporle alla vigilanza, sull’applicazione della legge, all’Organo a competenza generale (Ufficio USL).
Questa criticità veniva corretta, sottraendo quelle aree operative o riservate, individuate secondo criteri e modalità definiti con decreto del Ministro competente alla competenza generale della Asl proprio in virtù del fatto che esse, riflettendo quelle «particolari esigenze connesse al servizio», richiedevano anche una vigilanza interna e non esterna, che ne conoscesse ragioni, finalità e modalità delle attività e dei servizi che esse ospitavano o consentivano.
Ottenuto il riconoscimento alla vigilanza interna, limitatamente alle aree operative e riservate, tutti si affrettarono, a dichiararne il più possibile, senza lasciar fuori nulla. Ne sono esempi illuminanti il d.m. n. 450 del 15 aprile 1997 per la Polizia di Stato e i Vigili del Fuoco e gli articoli 259 e 260 del d.P.R. n. 90/2019, per le Forze Armate.
Per la Polizia di Stato il d.m. n. 450 consentiva di definire aree operative o riservate:
a) gli edifici per i quali il Ministero della Difesa ha rilasciato la dichiarazione di “opera destinata alla difesa militare” ai sensi dell’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, o nei quali si svolge attività coperta da classifica di segretezza;
- i centri radio e telecomunicazioni e gli uffici cifra;
- le strutture ospitanti gli uffici di Gabinetto del Ministero e delle Prefetture;
- le sale operative della Protezione Civile;
- i locali in cui si trattano gli affari concernenti l’ordine e la sicurezza pubblica, si riuniscono i comitati relativi alla materia:
- quelli utilizzati dagli Uffici con compiti di contrasto della criminalità;
- dagli uffici che detengono o trattano atti sottratti all’accesso a norma dell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
- dagli Uffici ove vengono svolte attività di formazione o aggiornamento del personale da impiegare in attività istituzionali di carattere riservato;
b) le sedi delle Questure, dei Commissariati di Pubblica Sicurezza e delle altre strutture della Polizia di Stato;
- i mezzi e le istallazioni fisse o mobili utilizzate dalla Polizia di Stato per i suoi compiti operativi e addestrativi, ancorché collocati o impiegati in luoghi non pertinenti all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza;
- le sedi delle altre articolazioni centrali e periferiche del Dipartimento della Pubblica Sicurezza;
- i relativi mezzi ed installazioni;
c) i luoghi di lavoro, dove il personale, permanente e volontario, del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco svolge la propria attività di servizio, permane durante il servizio o si addestra (sedi operative ed addestrative) utilizzando impianti, mezzi e attrezzature finalizzati all’attuazione dei servizi di soccorso e di salvataggio, nonché quelle aree dove vengono svolte attività di analisi, ricerca, laboratorio e collaudi connessi al sevizio di soccorso e prevenzione.
d) gli immobili o comprensori di pertinenza dell’Amministrazione dell’Interno, ove sono ubicati uno o più luoghi di lavoro tra quelli sopra elencati, assumono unitariamente, identica classifica e sono assoggettati al medesimo regime di vigilanza.
Su tutte questa aree, «la vigilanza e la sorveglianza, vengono effettuata dal personale amministrativo, sanitario e tecnico dell’Amministrazione dell’Interno appositamente incaricato.».
La lettera del decreto ministeriale, in pratica, rendeva possibile sottrarre tutto alla Vigilanza dell’Ufficio della USL, perché tutti i locali, le aree, le sedi operative ed addestrative costituivano area operativa e riservata, e non poteva che essere così, essendo quello l’unico modo per sottrarsi al controllo, cosa certamente non ambita. L’unico adempimento previsto era l’obbligo di comunicazione «L’esatta ubicazione delle aree e dei locali di cui ai precedenti articoli e dei restanti ambienti ordinari di lavoro è portata a conoscenza dei competenti organi di vigilanza con apposite comunicazioni dei datori di lavoro centrali e periferici.».
La meta desiderata di sottrarsi alla vigilanza esterna, seppure conquistata con la forzatura di definire tutto area operativa o riservata, allineava il riconoscimento alla regolamentazione delle «particolari esigenze connesse al servizio», con la competenza alla vigilanza interna sull’applicazione della legislazione, dedicata alla salute e alla sicurezza sul lavoro.
Nella stesura del d.lgs. n. 81/2008 il legislatore prendeva atto di questa realtà, che era gradita a tutti, avendo profonde ragioni funzionali, e si preoccupava però di porre un limite a questa autonomia, regolamentare di vigilanza, aggiungendo al comma 2, dell’art. 3, la possibilità di definire, con decretazione del Ministro competente le «effettive particolari esigenze», ove chiaramente il termine «effettive» voleva porre un freno al pericolo di vedere allargata oltre il «giusto», le particolari esigenze.
La nuova scrittura del comma 2, dell’art. 3, del d.lgs. n. 81/2008, corrispondente al comma 2, dell’art 1 del D.Lgs 626, rappresentava, quindi, l’accoglimento delle esigenze operative ed organizzative delle Forze Armate e delle Forze di Polizia, sia nel disporre della regolamentazione, che nel provvedere alla Vigilanza .
In breve tempo ci si accorse però che tutti i luoghi e i mezzi, in disponibilità delle FF.AA. e delle FF.PP., erano stati definiti AREE OPERATIVE o RISERVATE, e la limitazione ad esse non aveva più RAGIONE DI ESISTERE.
Tale constatazione portava, con il decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, ad aggiungere all’art. 13, dedicato alla Vigilanza, il comma 1 bis. «Nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni
Le Forze Armate percorrevano la stessa strada, evidenziando anche una illuminante “disattenzione”, compiuta nel coordinare la normativa regolamentare con la legislazione generale.
Il d.P.R. n. 90 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”, vedeva la luce nel 2010, mentre l’anno precedente, col d.lgs. n. 106, il legislatore aveva soddisfatto interamente le esigenza di sottrarsi alla vigilanza esterna per tutti i luoghi in disponibilità e non solo per quelle Operative e Riservate.
Il nuovo Regolamento Militare, all’art. 260 “Istituzione dei Servizi di Vigilanza” per le Forze Armate, prevedeva: «Ai servizi di vigilanza istituiti nell’ambito dell’Amministrazione della difesa è attribuita, in via esclusiva, la competenza di vigilanza preventiva tecnico-amministrativa e di vigilanza ispettiva prevista dall’articolo 13, del decreto legislativo n. 81 del 2008, nonché ogni altra competenza in materia attribuita alle Azienda sanitaria locale dal citato decreto, a eccezione di quanto stabilito al comma 4.» (Il comma 4 prevede la competenza per i ricorsi, riconosciuta ad una Commissione nominata da Stato maggiore Esercito. n.d.a.)
Mentre l’art. 259 “Individuazione delle aree riservate, operative o che presentano analoghe esigenze” «1. Ai fini dell’attività di vigilanza di cui all’articolo 260, si intendono per aree riservate, operative o che presentano analoghe esigenze i mezzi, le infrastrutture e i luoghi destinati ai compiti istituzionali delle Forze armate, nonché le attività in essi espletate o comunque connesse, quali, fra l’altro:
a) l’impiego della forza militare e il relativo addestramento in territorio nazionale e all’estero;
b) la gestione delle informazioni, riguardanti la funzionalità dell’intera struttura militare e i mezzi, sistemi e apparecchiature per la elaborazione o la trasmissione di dati e informazioni sensibili o classificate, apparecchiature elettriche ed elettroniche di armamento ovvero sistemi di guerra elettronica;
c) le strutture e infrastrutture, i mezzi terrestri e navali e gli aeromobili in cui sono gestite o custodite le informazioni o ubicati i sistemi e apparecchiature di cui alla lettera b) ovvero trattate le materie di carattere militare o, comunque, concernenti l’efficienza dello strumento militare per le quali, nell’interesse della sicurezza nazionale, è ritenuta vietata la divulgazione di notizie, ai sensi delle vigenti norme unificate per la protezione e la tutela delle informazioni classificate e la tutela del segreto di Stato, di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 febbraio 2006, 8 aprile 2008 e 12 giugno 2009;
d) le strutture, aree e mezzi in uso, ancorché’ temporaneamente, all’Arma dei carabinieri per l’esercizio dei compiti concernenti l’ordine e la sicurezza pubblica ovvero di contrasto alla criminalità e quelle in uso al Corpo delle capitanerie di porto per l’esercizio dei compiti d’istituto;
e) i locali in cui sono detenuti o trattati atti e documenti comunque sottratti all’accesso, a norma dell’articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
f) le aree, infrastrutture e opere destinate alla difesa militare, come individuate all’articolo 233 del codice, nonché le aree, infrastrutture e installazioni addestrative speciali, quali i poligoni di tiro e le palestre addestrative;
g) l’impiego, la custodia e la manutenzione di equipaggiamenti speciali, armi, munizioni, sistemi d’arma, materiali di armamento, mezzi militari operativi, quali unità navali, aeromobili, mezzi armati e di trasporto e relativo supporto logistico
.
2. Gli immobili o le aree di pertinenza dell’Amministrazione della difesa, nonché le strutture e aree in uso, ancorché’ temporaneamente, all’Arma dei carabinieri per l’esercizio dei compiti concernenti l’ordine e la sicurezza pubblica ovvero di contrasto alla criminalità e quelle in uso al Corpo delle capitanerie di porto per l’esercizio dei compiti d’istituto, ove sono svolte le attività o ubicati uno o più luoghi di lavoro di cui al comma 1, assumono unitariamente identica classifica e sono assoggettati al medesimo regime di vigilanza
Seguendo lo stesso itinerario del d.m. n. 450, le FF.AA., con le due norme:
- individuavano le aree operative (art. 259);
- disciplinavano la competenza esclusiva alla vigilanza (art. 260),
Non si teneva conto però che il comma 1 bis dell’art. 13, del d.lgs. n. 81/2008, introdotto con il d.lgs. n. 109 del 2009, aveva sottratto tutti i luoghi delle FF.AA. alla competenza della ASL.
Una volta sottratto il tutto alla vigilanza ASL, perché tutto era area operativa e riservata, andava invece affrontato il tema di quale normativa di sicurezza fosse valida in queste aree, sottratte sì alla vigilanza esterna, ma non escluse dalla applicazione della legge.
Per queste aree infatti vanno sempre e comunque assolti gli obblighi di adozione delle Misure Generali di Sicurezza¹ destinate a disciplinare come gli operatori devono agire, sia quando agiscono per ragioni di servizio, sia quando lo fanno per formazione o per addestramento. L’area Operativa infatti, non è sottratta al principio dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008: «Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio.».
Questo onere è stato sottovalutato perché altrimenti si sarebbe proceduto, una volta ottenuta la competenza esclusiva, affidata ai Servizi sanitari e Tecnici interni, a dismettere molte delle aree prima definite Operative e Riservate, per poter utilizzare, per esse, le misure ordinarie disponibili e non dovere ricorrere a ridefinirle con atto interno.
Continuare a ritener aree operative i veicoli stradali, ad esempio, è inutile, dannoso e, a volte, molto responsabilizzante.
- Inutile, perché le aree operative sono ubicate all’interno de «i luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco..», che il comma 1 bis esclude dalla competenza ASL ed assegna in via esclusiva ai Servizi Sanitari e tecnici, istituiti presso le predette amministrazioni;
- dannoso, perché contribuisce a consolidare l’idea che le aree operative e riservate siano una sorta di aree liberate dall’obbligo di osservare la legislazione sulla Sicurezza sul Lavoro;
- molto responsabilizzante per i Datori di lavoro, perché elimina o riduce le responsabilità dei conducenti o dei costruttori dei veicoli secondo le norme ordinarie. Va ricordato, infatti, che gli obblighi della valutazione dei rischi e della predisposizione delle Misure di sicurezza, sono previsti anche per i veicoli, senza eccezione alcuna. E, lo sono ancora di più, in quanto aree operative.
Purtroppo, la possibilità di sottrarsi alla Vigilanza della ASL ricorrendo alla definizione di Area Operativa, Riservata o avente analoghe esigenze, portava a “credere” nella validità dell’equazione: “area operativa e riservata = non applicazione della legislazione”.
Solo così può comprendersi la ragione che portava a definire aree operative tutti i mezzi e non solo quelli speciali. che comprendono:
a) veicoli ordinari, che per l’impiego non subiscono modifiche alle caratteristiche costruttive e funzionali e, quindi, non sono rilevabili ragioni per le quali dovrebbero essere sottratti alle normative generali del Codice della Strada, relative alle caratteristiche costruttive e funzionali, all’equipaggiamento e alle regole di circolazione;
b) veicoli ordinari, che per l’impiego subiscono modifiche alle caratteristiche costruttive e funzionali o di equipaggiamento, tali da non identificare un veicolo diverso da quello originario. Anche per esse vale quanto detto per il punto a);
c) veicoli ordinari dotati di equipaggiamenti speciali tali da modificarne sostanzialmente le caratteristiche costruttive funzionali originarie;
d) veicoli speciali costruiti solo per le forze armate o per le forze di polizia, la cui circolazione sulle strade costituisce momento di puro trasferimento per l’impiego.
Di queste tipologie avrebbero dovuto costituire aree operative solo le ipotesi c) e d), per le quali si imponeva, e si impone ancora, l’adozione di linee guida per l’impiego, come condizione ineludibile di salvaguardia della sicurezza degli operatori e di efficienza funzionale.
Anche per i veicoli di cui alla tipologia b), caratterizzati da interventi non strutturali, se gli stessi modificano gli assetti originari, con equipaggiamenti aggiuntivi, che comportano modalità di guida adeguate alla realtà acquisita, si rendono necessarie ed utili linee guida operative, che informano sui rischi aggiuntivi, rispetto al veicolo originario.
I veicoli di cui al punto a), che non subiscono alcuna modificazione, né costruttiva, né di equipaggiamento e che vengono utilizzati per finalità che non comportano alcuna variante rispetto alla circolazione ordinaria, non si richiedono adempimenti aggiuntivi e vanno riferiti alla ordinaria disciplina della sicurezza stradale, che diventa anche sicurezza sul lavoro.
Il tema è di grande interesse e di estrema attualità, visto che la stragrande maggioranza degli infortuni sul lavoro delle forze di polizia si verificano nella guida di veicoli di servizio.
Le misure di sicurezza devono trovare riscontro in LINEE GUIDA ove siano indicati i fattori di rischio e le modalità per garantire la salute e la sicurezza del personale, come ad esempio, l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza.
La Vigilanza sull’applicazione della legge è una funzione amministrativa, non medica, né giudiziale. Essa è una funzione della P.A., finalizzata a verificare che la Stessa assicuri gli adempimenti finalizzati alla Tutela della Salute ed alla Sicurezza sul lavoro del proprio personale, quando questo opera all’interno delle sue strutture. Questa funzione di vigilanza sul proprio operato, è resa possibile solo perché la P.A. non è portatrice di interesse propri e deve, in ogni momento, orientare la propria attività ai principi dell’art. 1 della legge n. 241/1990 «L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario
Essa non è giudiziale, perché non sostituisce l’Autorità Giudiziaria quando rileva violazioni costituenti reato, né quella dell’Autorità Amministrativa, competente per irrogare le sanzioni amministrative.
La sua natura non è medica, nel senso che nel vigilare sull’applicazione della legge, non può seguire canoni medici, ove i livelli di discrezionalità sono molto più ampi, anche se la cultura medica recita un ruolo importante per riempire di contenuti precetti normativi.
Così, nel caso delle aree operative, se le linee guida non sono adottate ricorre una responsabilità grave del Datore di lavoro, non superabile da valutazioni discrezionali delle Vigilanza. Secondo la giurisprudenza costante, la responsabilità del Datore di lavoro è esclusa solo dal comportamento abnorme del lavoratore che ha disatteso le linee guida², ove per comportamento abnorme si intende quel comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si pone al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.
In assenza di linee guida non può esistere comportamento abnorme, perché contrario alle stesse e la responsabilità del datore di lavoro ricorre sempre e comunque, anche in assenza di infortuni, come indicato dagli articoli 28, comma 2, lett. a) e 55, comma 4, del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il caso più evidente di questa condizioni in cui versano le aree operative sono i mezzi delle FF.AA. e delle FF.PP., definiti tutti aree operative, e che comprendono situazioni molto diverse. Per alcuni di questi, veicoli speciali ovvero dotati di equipaggiamenti speciali, la mancata rilevazione di rischi specifici e delle conseguenti determinazioni delle misure di sicurezza nell’impiego, comportano responsabilità evidenti. Per essi vanno assicurati i seguenti adempimenti:
«1) La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o miscele chimiche, impiegati, nonché’ nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari… (art. 28, comma 1, d.lgs. n. 81/2008)
2) Il DVR deve contenere (art. 28, comma 2):
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a)…
.».
Questi obblighi, validi per tutti i luoghi e per i momenti operativi, sono validi anche per le AREE OPERATIVA O RISERVATE e per quelle aventi analoghe esigenze, ove il venir meno delle misure di sicurezza generali, come quelle del codice della strada per i veicoli stradali, rendono indispensabile la rilevazione dei rischi specifici e la definizione di modalità di impiego con le relative misure di sicurezza adottate.

I confini della Vigilanza dei Servizi Sanitari e Tecnici delle FF.AA. e delle FF.PP.
La vigilanza sull’applicazione della legislazione in tema di sicurezza sul lavoro, riconosciuta ai Servizi Sanitari e Tecnici delle FF.AA. e delle FF.PP. è una eccezione alla regola generale della competenza e, come tale, non è estensibile, per via analogica, ad altre aree, seppure rilevanti anche ai fini della sicurezza sul lavoro. Essa opera solo ed esclusivamente per l’applicazione del d.lgs. n. 81/2008 e non può essere invocata per le attività di:
- Gestione di rifiuti in genere e, ancor meno per quelli che hanno procedure speciali, come AMIANTO;
- Detenzione di Fonti Radiogene e Materiali radioattivi;
- Somministrazione di Alimenti e di bevande
Per queste aree vanno osservate le procedure speciali previste, sia per la tutela dell’ambiente, che per la sicurezza pubblica e per la tutela della salute.
In altre parole, le procedure previste da norme diverse dal d.lgs. n. 81/2008, per finalità di tutela e che si concretizzano in provvedimenti amministrativi preventivi o successivi, vanno assolte presso la ASL o presso gli altri Organismi deputati.
Il Servizio Sanitario e Tecnico non è un sostituto della ASL, o di altri Uffici per ogni attività di Vigilanza.

- Gestione di rifiuti e Amianto.
La materia è oggetto di disciplina del d.lgs. n. 252/2006, che prevede obblighi di registrazione e di comunicazione agli Organismi competenti, senza alcuna eccezione per le FF.AA. e le FF.PP. Nell’ambito di queste Strutture, ordinariamente sono presenti Rifiuti Pericolosi. Rifiuti Sanitari, Oli esausti, Rifiuti da Imballaggi, RAEE e per ogni tipologia vanno osservati gli Obblighi dei Registri di carico e scarico e la compilazione e spedizione annuale del MUD.

Amianto
Lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto, deve osservare le procedure previste, disciplinate dall’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dalle norme regolamentari precedenti, che prevedono provvedimenti di approvazione preventiva e di autorizzazione, analiticamente disciplinati dal d.m. 6 settembre 1994, di esclusiva competenza, del Dipartimento di Prevenzione Generale della ASL.
Il quadro delle fonti normative comprende:
- d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - Norme in materia ambientale
- d.m. 6 settembre 1994 - Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3 e dell’art, 12 comma 2 della legge 27-3-92, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto,
- d.P.R. 8 agosto1994 - Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle provincie autonome di Trento e Bolzano per l’adozione di piani di protezione, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto
- legge n. 257 del 27 marzo 1992 - Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.
- d.m. 29 luglio 2004 n. 248 - Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto.
- d.m. 13 marzo 2003 - Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica
- d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 - Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
Di queste fonti, acquista valenza primaria il d.m. 6 settembre 1994 che disciplina analiticamente gli adempimenti da osservare e che sono rivolti a tutelare l’ambiente e una molteplicità di altri valori, senza limitazione alcuna. «La presente normativa si applica a strutture edilizie ad uso civile, commerciale o industriale aperte al pubblico o comunque di utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può derivare una esposizione a fibre aerodisperse
Pertanto, nelle attività di smaltimento di amianto, anche se operata nell’ambito delle caserme o di altri luoghi nella disponibilità di FF.AA. o di FF.PP. vanno garantiti gli adempimenti preventivi di competenza dell’Ufficio di Prevenzione Generale delle ASL, che li esercita col contributo dell’ARPA, che assicura il supporto tecnico alle analisi e alle metodologie da impiegare.

- Detenzione di Fonti radiogene e Materiali Radioattivi
L’intero settore dei materiali radioattivi è sottratto alla disciplina ordinaria della legislazione della sicurezza sul lavoro.
Le stesse figure del Medico Compente e dell’Esperto Qualificato, trovano disciplina nel d.lgs. n. 230 e non nel d.lgs. n. 81/2008. Punti rilevanti della disciplina sono:
Per i Materiali Radioattivi, l’art. 61 del d.lgs. n. 230/1995, individua gli obblighi a carico del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti:
- provvedere affinché gli ambienti di lavoro in cui sussista un rischio da radiazioni vengano, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto di cui all’articolo 82, individuati, delimitati, segnalati, classificati in zone e che l’accesso ad essi sia adeguatamente regolamentato;
- provvedere affinché i lavoratori interessati siano classificati ai fini della radioprotezione nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto di cui all’articolo 82;
- predisporre norme interne di protezione e sicurezza adeguate al rischio di radiazioni e curare che copia di dette norme sia consultabile nei luoghi frequentati dai lavoratori, ed in particolare nelle zone controllate;
- fornire ai lavoratori, ove necessari, i mezzi di sorveglianza dosimetrica e di protezione, in relazione ai rischi cui sono esposti;
- rendere edotti i lavoratori, nell’ambito di un programma di formazione finalizzato alla radioprotezione, in relazione alle mansioni cui essi sono addetti, dei rischi specifici cui sono esposti, delle norme di protezione sanitaria, delle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza delle prescrizioni mediche, delle modalità di esecuzione del lavoro e delle norme interne di cui alla lettera c);
- provvedere affinché i singoli lavoratori osservino le norme interne di cui alla lettera c), usino i mezzi di cui alla lettera d) ed osservino le modalità di esecuzione del lavoro di cui alla lettera e);
- provvedere affinché siano indicate, mediante appositi contrassegni, le sorgenti di radiazioni ionizzanti, fatta eccezione per quelle non sigillate in corso di manipolazione;
- fornire al lavoratore i risultati relativi alla sorveglianza dosimetrica che lo riguardano direttamente
.
Inoltre, ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 230 del 1995:
«1. In base alle valutazioni relative all’entità del rischio, l’esperto qualificato indica, con apposita relazione scritta, al datore di lavoro:
a) l’individuazione e la classificazione delle zone ove sussiste rischio da radiazioni;
b) la classificazione dei lavoratori addetti, previa definizione da parte del datore di lavoro delle attività che questi debbono svolgere;
c) la frequenza delle valutazioni di cui all’articolo 79;
d) tutti i provvedimenti di cui ritenga necessaria l’adozione, al fine di assicurare la sorveglianza fisica, di cui all’articolo 75, dei lavoratori esposti e della popolazione;
e) la valutazione delle dosi ricevute e impegnate, per tutti i lavoratori esposti e per gli individui dei gruppi di riferimento, con la frequenza stabilita ai sensi della lettera c).
2. Il datore di lavoro provvede ai necessari adempimenti sulla base delle indicazioni di cui al comma 1;
- si assicura altresì che l’esperto qualificato trasmetta al medico addetto alla sorveglianza medica i risultati delle valutazioni di cui alla lettera e) del comma 1 relative ai lavoratori esposti, con la periodicità prevista all’articolo 79, comma 6.
3. Il datore di lavoro garantisce le condizioni per la collaborazione, nell’ambito delle rispettive competenze, tra l’esperto qualificato e il servizio di prevenzione e protezione di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. L’esperto qualificato è in particolare chiamato a partecipare alle riunioni periodiche di cui all’articolo 11 del decreto legislativo predetto
Per la detenzione, il trasporto e lo smaltimento di i rifiuti i radioattivi, sono fatte salve le disposizioni speciali della legge n. 1860/1962. Ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 230 «Gli impianti, stabilimenti, istituti, reparti, gabinetti medici, laboratori, adibiti ad attività comportanti, a qualsiasi titolo, la detenzione, l’utilizzazione, la manipolazione di materie radioattive, prodotti, apparecchiature in genere contenenti dette materie, il trattamento, il deposito e l’eventuale smaltimento nell’ambiente di rifiuti nonché l’utilizzazione di apparecchi generatori di radiazioni ionizzanti, debbono essere muniti di nulla osta preventivo secondo quanto stabilito nel presente capo. Le attività di cui al presente comma sono tutte di seguito indicate come impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti».
L’art. 97 riserva al Ministero della Sanità (ora della Salute la competenza esclusiva e senza eccezione la vigilanza per la tutela della popolazione
«Art. 97 - Attività disciplinate. Vigilanza
1. Le disposizioni del presente capo si applicano alle attività che comunque espongono la popolazione ai rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti.
2. La tutela sanitaria della popolazione spetta al Ministero della sanità che si avvale degli organi del servizio sanitario nazionale.
3. La vigilanza per la tutela sanitaria della popolazione si esercita su tutte le sorgenti di radiazioni ionizzanti al fine di prevenire, secondo i principi generali di cui all’articolo 2, esposizioni della popolazione e contaminazioni delle matrici ambientali, delle sostanze alimentari e delle bevande, ad uso sia umano che animale, o di altre matrici rilevanti.
4. La vigilanza di cui al comma 3 è esercitata attraverso gli organi del servizio sanitario nazionale competenti per territorio e attraverso l’ANPA, che riferisce direttamente ai Ministeri della sanità, dell’ambiente e della protezione civile, per quanto di competenza
.».

Detenzione di Fonti Radiogene
Ai sensi dell’art. 5 della legge 1860 del 1962, dedicata all’impiego pacifico dell’energia nucleare «Il trasporto delle materie fissili speciali in qualsiasi quantità e delle materie radioattive in quantità totale di radioattività o di peso che ecceda i valori determinati ai sensi dell’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185, deve essere effettuato da vettori terrestri, aerei e marittimi, autorizzati con decreto del Ministro per l’industria e il commercio, rispettivamente di concerto con il Ministro per i trasporti e l’aviazione civile e con il Ministro per la marina mercantile.
Possono essere effettuati senza autorizzazione singoli trasporti occasionali di materie radioattive in quantità totale di radioattività o di peso che non ecceda i valori che saranno determinati con decreto del Ministro per l’industria e il commercio, emanato con le forme dell’art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185. In tali casi, prima della esecuzione del trasporto, deve esserne data comunicazione al prefetto e al medico provinciale delle Province nelle quali ha inizio e termine il trasporto stesso, mediante apposita denunzia che preceda di almeno 48 ore l’inizio del trasporto
.» (ora ASL n.d.a.)

- Preparazione e Somministrazione di alimenti e di bevande.
Un’altra area, ove la vigilanza non fa capo al comma 1 bis, dell’art. 13, del d.lgs. n. 81, è quella relativa agli Alimenti. Illuminante, a tal proposito, è la riscrittura dell’art. 44 del d.P.R. n. 334 del 2000, effettuato con la legge n. 125 del 2017 dedicato alle attribuzioni dei medici della Polizia di Stato « e) svolgono attività di vigilanza in materia di manipolazione, preparazione e distribuzione di alimenti e bevande nelle mense e negli spacci dell’Amministrazione, ferme restando le attribuzioni riservate in materia ad altri soggetti dalla legislazione vigente».
Questa vigilanza non ha nulla a che vedere con quelle sull’applicazione della legge sulla sicurezza sul lavoro, anche se si riferisce ad un’area strettamente connessa con la Tutela della Salute, potenzialmente minacciata però non da pericoli correlati al lavoro, ma dagli alimenti. In questa area, la ASL quale Autorità Sanitaria, conserva le competenze alla ricezione dell’obbligo di notifica dell’esercizio di somministrazione di Alimenti e di Bevande di cui al d.lgs. n. 193 del 2007 e dei possibili provvedimenti a tutela della igiene e della sanità pubblica.

Conclusioni
Se si condivide l’idea che le aree operative e riservate non sono sottratte alla legislazione, come chiaramente indicato al comma 1, dell’art. 3, del d.lgs. n. 81/2008, inevitabilmente si arriverà alla determinazione che esse vanno dismesse perché, oltre ad essere inutili, dannose e responsabilizzanti possono indurre nella tentazione di ritenere che il Servizio Sanitario e Tecnico sia un Sostituto dell’Ufficio di Prevenzione Generale della ASL e, ogni volta che una legislazione prevede provvedimenti di quest’ultimo, ritenerli di competenza del primo.
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* Balduino Simone è Docente di Sicurezza sul Lavoro per gli Operatori della Sicurezza Pubblica, nei corsi integrativi di Sicurezza sul lavoro, presso il Dipartimento di Giurisprudenza- DiGiur dell'Università di Urbino Carlo Bo.

¹ "Nel caso che un dipendente della Pubblica Amministrazione abbia commesso un atto illecito e si accerti che ciò è avvenuto in quanto i superiori gerarchici del dipendente stesso hanno omesso di emanare le direttive opportune per prevenire la commissione, da parte dei lavoratori ad essi subordinati, di atti come quello predetto (vigilando poi sull’applicazione delle direttive medesime), vi è responsabilità diretta della P.A. per il comportamento omissivo di detti superiori, sussistendo sia la riferibilità di tale atto alla stessa P.A. (una volta assodato che nella fattispecie concreta la predetta emanazione rientrava tra i compiti di chi aveva funzioni dirigenziali nella struttura amministrativa in questione), sia l’esistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento omissivo di detti superiori e l’evento dannoso (una volta assodato che nella fattispecie concreta senza l’omissione in questione non vi sarebbe stato l’atto illecito del dipendente subordinato direttamente produttivo del danno) in base al principio secondo cui causa causae est causa causati." Cassazione Sezione III Civile n. 864/2008 dep. 17 gennaio 2008.
² La colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti (Cass. pen., sez. IV, 14 marzo 2014 n. 22247).