Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 gennaio 2018, n. 1390 - Infortunio durante i lavori di decespugliazione di un terreno: nessuna occasione di lavoro


 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 19/01/2018

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza depositata il 4.4.2012, la Corte d'appello dell'Aquila, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di M.D.I. volta a conseguire le prestazioni previdenziali asseritamente dovutegli in relazione all'infortunio occorsogli allorché, attendendo ai lavori di decespugliazione di un terreno sul quale avrebbe dovuto edificarsi un capannone, in previsione della consegna del materiale edile all'uopo necessario, aveva riportato gravi lesioni ad un piede dal motocoltivatore impiegato per il lavoro.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che, in specie, non poteva considerarsi raggiunta la prova che l'evento dannoso si fosse verificato in occasione di lavoro, dal momento che l'infortunio si era verificato durante l'esecuzione di attività che esulavano dal rapporto di collaborazione coordinata e continuativa pure intercorrente tra il figlio dell'infortunato, titolare di un'impresa edile, e l'infortunato medesimo, e il cui compimento, avuto riguardo a tutte le circostanze occorse nel caso, era piuttosto da riportarsi all'affectio familiaris.
Contro tale pronuncia ricorre M.D.I., deducendo un unico motivo di censura con cui si duole, sotto plurimi profili, dell'accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale. L'INAIL resiste con controricorso.
 

 

Diritto

 


Con l'unico motivo di censura, il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per avere la Corte di merito ritenuto che l'evento lesivo di cui egli era rimasto vittima non costituisse infortunio sul lavoro: a suo avviso, infatti, i giudici non avrebbero debitamente considerato che la natura autonoma dell'attività lavorativa dedotta nel contratto di collaborazione intercorso con il di lui figlio non contrastava con il fatto che l'attività di decespugliazione fosse stata svolta di domenica, che l'attività di decespugliazione doveva considerarsi prodromica rispetto a quella edile dedotta nel contratto e concernente la costruzione di un capannone, che la bonifica del terreno si era resa necessaria in considerazione dell'imminenza della consegna dei materiali per l'esecuzione dell'opera, che il ritardo nella comunicazione dell'infortunio era ascrivibile esclusivamente al fatto che il di lui figlio aveva ritenuto che ad avvisare l'INAIL avrebbero provveduto i medici addetti al nosocomio che gli avevano prestato i primi soccorsi, che a conferma dei fatti era stata richiesta l'audizione della persona che per prima lo aveva soccorso e che, in ogni caso, ben avrebbe potuto la Corte di merito disporre l'integrazione dell'istruzione probatoria svolta in primo grado, all'uopo avvalendosi dei propri poteri ufficiosi.
Il motivo è inammissibile.
E' sufficiente al riguardo ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la censura di vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. anche prima della modifica apportata dall'art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con I. n. 134/2012), è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, non già, invece, quando - come nella specie - vi sia semplicemente una difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest'ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. in tal senso da ult. Cass. n. 7916 del 2017).
Vale piuttosto la pena di aggiungere che il motivo di censura è altresì formulato in modo irrispettoso del canone di specificità del ricorso per cassazione, quale risulta fissato dall'art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c., non evincendosi dal tenore del ricorso né quale fosse il contenuto del contratto di collaborazione precorso tra l'odierno ricorrente e il di lui figlio, né quando dovesse avvenire la consegna del materiale per la costruzione del capannone (che la Corte territoriale ha peraltro accertato non essere più avvenuta), né quale fosse il tenore delle prove testimoniali assunte e che si era chiesto di assumere, né quando e come sarebbe stato sollecitato ai giudici d'appello l'esercizio dei poteri ufficiosi volti all'integrazione delle lacune istruttorie. 
Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3.10.2017.