Cassazione Civile, Sez. 3, 29 gennaio 2018, n. 2064 - Scoppio di una bombola a gas ad aria compressa. Risarcimento del danno


 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: FRASCA RAFFAELE Data pubblicazione: 29/01/2018

 

 

Rilevato che:
1. C.V. ha proposto ricorso per cassazione contro la S.p.A. Eurocap e contro la S.r.l. Maistrello (già F.M. e C. s.n.c.) e F.M., avverso la sentenza del 3 ottobre 2013, con la quale la Corte d'Appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Alessandria.
Quel Tribunale era stato investito dal C.V. nel maggio del 2000 di una domanda intesa ad ottenere in via solidale - nei confronti delle parti intimate, di G.R., sia in qualità di legale rappresentante della Eurocap, sia in proprio, di L.T., in proprio e quale amministratore della medesima società, dell'allora s.nc. F.M. e di F.M. e di PL.S., direttore di stabilimento - il risarcimento dei danni sofferti a causa dell'infortunio sul lavoro verificatosi il 9 ottobre 1989, allorquando una bombola di gas ad aria compressa che egli stava spostando presso la Eurocap, di cui era dipendente, era scoppiata colpendolo al volto.
Il tribunale, all'esito dell'istruzione, riteneva la responsabilità della Eurocap, escludeva quella dei convenuti G.R., L.T. e PL.S., riconosceva la responsabilità della s.n.c. F.M., ma non direttamente verso l'attore, bensì in manleva nei confronti della F.M.. Liquidava, inoltre, il danno, riconoscendolo esistente per il solo profilo non patrimoniale ed escludendolo per quello patrimoniale.
2. Sull'appello del C.V., che involgeva sia l'esattezza della liquidazione del danno non patrimoniale, conseguente all'invalidità permanente e temporanea, sia il mancato riconoscimento del danno patrimoniale, la sentenza qui impugnata (pronunciata nei confronti degli eredi di G.R., S.C. e P.R.), ha riformato la sentenza di primo grado solo parzialmente, riconoscendo una somma a titolo di danno ulteriore per danno non patrimoniale sia da invalidità permanente, sia da invalidità temporanea.
3. Al ricorso per cassazione hanno resistito con separati controricorsi la Eurocap da un lato e la F.M. e F.M. in proprio.
3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1, cod. proc. civ. e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre è stata depositata una memoria dal ricorrente.
 

 

Considerato che:
1. In via preliminare si deve rilevare che la memoria depositata a mezzo posta dal ricorrente è irrituale, in quanto il deposito è avvenuto a mezzo posta, modalità che non è prevista (Cass. n. 182 del 2011; n. 7704 del 2016).
Tanto esime dal dover prendere posizione sulla ritualità del deposito con essa di documenti, che nella specie - in disparte ogni questione sull'ammissibilità della loro produzione - sarebbe stato fatto senza il rispetto dell'onere di notificazione del relativo elenco, di cui all'art. 372, secondo comma, cod. proc. civ.
2. Il primo motivo deduce letteralmente: "Sul danno non patrimoniale relativo al solo danno biologico da invalidità permanente. Violazione degli artt. 99-100-101-112-113 c.p.c. in c.d. con l'art. 195 c. 3 c.p.c. per mancata osservanza del contraddittorio tecnico e conseguente violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.".
Il motivo, illustrato dalla pagina 22 sino alla pagina 34, si duole della liquidazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente, che la corte territoriale, all'esito delle risultanze della nuova c.t.u. espletata nel grado ha elevato dal 35% riconosciuto in primo grado, in forza della c.t.u. in esso espletata, al 38%.
2.1. L'illustrazione non contiene alcuna attività assertiva espressa e nemmeno chiaramente riconoscibile come tale quanto alla denunciata violazione delle norme, di cui agli artt. 99, 100, 101, 112 e 113 del codice di procedura civile. Lo si rileva non senza che si debba pure rimarcare che la relativa denuncia è fatta ai sensi del n. 3 anziché del n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ., che doveva essere evocato, trattandosi di norme processuali, e che non è dato comprendere che relazione si volesse ipotizzare con la questione posta dal motivo quanto all'art. 99, che concerne il principio della domanda, all'art. 100, che riguarda l'interesse ad agire, all'art. 112 che concerne l'omissione di esame di domande o eccezioni e non di emergenze istruttorie.
Peraltro, le stesse notazioni valgono per l'evocazione dell'art. 195, comma terzo, cod. proc. civ.: difetta qualsiasi attività assertiva descrittiva, per via espressa o implicita, ma chiaramente riconoscibile, del modo in cui detto paradigma normativo sarebbe stato violato.
2.2. La lettura dell'illustrazione, ferma l'assorbenza del rilievo svolto, evidenzia che - dopo un iniziale anodino rilievo che la sentenza impugnata, avendo dichiarato di condividere sul punto della individuazione del danno non patrimoniale da invalidità permanente la c.t.u. espletata in appello, presenterebbe gli stessi vizi di essa - si sostiene che la sentenza non avrebbe considerato che vi sarebbe stato un omesso contraddittorio tecnico da parte di quella c.t.u. <<per non avere [essa] replicato alle giuste osservazioni tecniche dei CC.TT.PP. dell'esponente>>. Prova ne sarebbe il fatto che la sentenza, alla pagina 11, evocherebbe la c.t.p. della Eurocap.
2.2.1. L'assunto è, tuttavia, palesemente non correlato alla motivazione della sentenza impugnata: essa, infatti, a pagina 9, nel riferire dello svolgimento del giudizio di appello, asserisce espressamente che i c.t.u. di appello <<lhanno valutato analiticamente le osservazioni effettuate, nel corso e all'esito delle operazioni peritali, dai nominati consulenti di parte>>, cosi riferendosi a tutti i consulenti di parte, compreso quello del C.V.. A pagina 10, nell'esordio della motivazione, la sentenza così si esprime: <<la Corte ritiene di fare proprie le considerazioni e conclusioni dei dott. F.e G., accuratamente motivate dal punto di vista tecnico, puntuali nel dare conto delle critiche rivolte dai consulenti di parte e nell'argomentare per superarle - cfr. l'elaborato tecnico, alle pagg. da 21 a 24 - e, congruenti con le emergenze probatorie di causa>>.
Il riferimento alle osservazioni B. è fatto successivamente solo per quanto attiene ad un argomento espressamente da quel c.t.p. prospettato.
Il motivo, dunque, muove da un assunto privo di fondamento e in ragione del tenore della sentenza avrebbe dovuto farsi carico dell'affermazione, da essa fatta in due punti, circa l'espressa ed analitica considerazione della c.t.p.
La censura risulta, dunque, inammissibile, perché non è parametrata all'effettiva motivazione della sentenza impugnata, che occorreva criticare sul punto (Cass., Sez. Un. n. 7074 del 2017, da ultimo).
2.2.2. Inoltre, nella illustrazione si omette anche di individuare, riproducendolo direttamente oppure riproducendolo indirettamente, con precisazione della parte del documento in cui l'indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza, il contenuto delle osservazioni dei c.t.p. (note critiche del 20 giugno 2012). Ancora: tali note critiche nemmeno vengono localizzate in questo giudizio di legittimità.
Tutte tali carenza evidenziano ulteriore profilo di inammissibilità per inosservanza dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., cioè del requisito della c.d. indicazione specifica dei documenti e degli atti su cui il ricorso si fonda (Cass., Sez. Un., nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010; per gli atti processuali: Cass., Sez. Un. n. 22726 del 2011, la quale ammette che l'onere di localizzazione, per gli atti processuali, possa essere assolto facendo riferimento alla loro presenza nel fascicolo d'ufficio del giudice a quo, riferimento che qui non è stato fatto).
2.3. L'illustrazione del motivo si dilunga, poi, ponendosi, evidentemente sul piano dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. a svolgere una serie di considerazioni tecniche che ineriscono, fino all'inizio della pagina 27, alla valutazione delle affermazioni e alle conclusioni della c.t.u., prospettando che sarebbero state preferibili quelle della c.t.p., e, quindi, successivamente, prospettando anche una serie di critiche di natura tecnica alla c.t.u. .
Ma, in tal modo, ci si pone del tutto al di fuori della logica assegnata dal nuovo n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. ai limiti del sindacato della Corte di Cassazione sulla ricostruzione della quaestio facti e, dunque anche alla ricostruzione della quaestio facti sulla base delle risultanze dell'espletamento di una c.t.u. Limiti che si basano sull'omissione dell'esame di un fatto principale o secondario da parte del giudice di merito, che deve essere chiaramente individuato ed indicato, mentre nella specie la struttura espositiva non si connota in alcun modo con una siffatta individuazione, se del caso fatta per il tramite di un riferimento all'emersione di fatti del genere dagli elaborati tecnici o da altre risultanze istruttorie. Detta struttura si sostanzia in una dissertazione di natura tecnica, che si spinge a criticare la sentenza impugnata per non avere fatto determinate valutazioni tecniche ed avere aderito a quelle della c.t.u. adesive alla c.t.u., sicché ci si pone su un piano che si colloca al di fuori del nuovo n. 5, dovendosi tenere conto che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevante> (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) e tanto comportando che una critica alla sentenza di merito per avere ritenuto condivisibili le valutazioni tecniche della c.t.u. non possa qualificarsi come idoneo motivo ai sensi del n. 5 se si risolva nella contrapposizione come più adeguata sotto il profilo tecnico della valutazione di una c.t.p., in quanto in tal modo si solleciterebbe la Corte di Cassazione ad effettuare un controllo estraneo a quel paradigma.
2.4. Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile per le plurime ragioni indicate.
3. Il secondo motivo deduce letteralmente: "Sulla riqualificazione del danno non patrimoniale da inabilità temporanea. Violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in c.d. art. 2697 ex art. 360 c.l. n. 3 c.p.c.".
Vi si sostiene, in modo del tutto assertorio, che la corte territoriale avrebbe errato nel valutare in giorni 250 i giorni di invalidità temporanea del ricorrente (aumentandone il numero rispetto ai 100 ritenuti dal primo giudice), anziché in giorni 467, come invece risultava aver fatto l'I.N.A.I.L.
Nessuna spiegazione è data, nel sostenere la violazione di legge, delle ragioni per le quali la valutazione avrebbe dovuto adagiarsi sul numero di giorni, ritenuto in sede amministrativa davanti all'I.N.A.I.L., sicché il motivo è inammissibile, perché assolutamente generico (Cass., Sez. Un. n. 7074 del 2017).
3.1. In ogni caso, nel merito il motivo sarebbe stato privo di fondamento in thesi, per l'assorbente ragione che, non solo la valutazione in sede amministrativa fatta dall'I.N.A.I.L. è ridiscutibile in sede di eventuale giudizio previdenziale, ma, inoltre, non è stabilito da alcuna norma un effetto di vincolo nel giudizio sul danno introdotto dal danneggiato contro i terzi responsabili.
4. Il terzo motivo deduce letteralmente: "Sulla riqualificazione del danno relativo alla perdita della capacità lavorativa specifica con riguardo alla perdita di chance e di progressione di carriera. Violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in c.d. art. 2697 e 2729 c.c. ex art. 360 c.l. n. 3 c.p.c.".
Il motivo concerne il punto della sentenza impugnata, in cui essa, rigettando l'appello, ha confermato l'avviso già espresso dal primo giudice circa la mancata dimostrazione dell'esistenza di un danno da perdita della capacità di lavoro specifica, adducendo, quanto al profilo di danno da perdita della possibilità di esercitare il mestiere di agente di commercio, per cui il ricorrente aveva frequentato un corso di formazione, che non era stato dimostrato che il C.V., ove avesse potuto svolgere quell'attività, avrebbe guadagnato più di quanto aveva continuato a guadagnare continuando a lavorare con le stesse mansioni eserciate al tempo dell'infortunio; e, quanto al profilo del danno da mancata progressione nella carriera, che non erano stati dedotti elementi specifici idonei a giustificarne l'esistenza.
4.1. Il motivo non denuncia la violazione delle norme degli art. 115 e 2697 cod. civ. nei sensi in cui è possibile farlo secondo Cass. Sez. Un. n. 16598 del 2016, che ha statuito, riprendendo Cass. n. 11892 del 2016, che: <<La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è - rubricato alla "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016).>>.
Il motivo non rispetta il ricordato principio di diritto, perché, sia quanto all'art. 2697 cod. civ., sia quanto all'art. 115 cod. proc. civ., al di là dell'assenza di un'espressa argomentazione evocativa di tali norme, non la deduce nei termini da esso indicati neppure implicitamente.
L'illustrazione si limita a sollecitare, invece, la valutazione di elementi che avrebbero, a dire del ricorrente, potuto giustificare una diversa conclusione ai fini della ricostruzione della quaestio facti, in funzione dell'apprezzamento della esistenza dei due profili di danno.
In tal modo, come del resto rivela l'espressa evocazione di una illogicità della motivazione, il motivo si risolve in un surrettizio tentativo di superare i limiti che al controllo sulla ricostruzione della quaestio facti pone il nuovo n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ.
L'evocazione dell'art. 2729 cod. civ. non è parimenti accompagnata da alcuna attività assertiva del come e del perché la sentenza di merito avrebbe violato quel paradigma, tanto che la norma risulta nominata solo nell'àmbito del richiamo ad un precedente di merito e tra l'altro senza alcuna argomentazione volta ad individuarne la violazione.
5. Con un quarto motivo si denuncia: "Sulle spese - Violazione degli artt. 91-92-99-100-112-113 e 115 c.p.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c.".
Vi si censura la compensazione delle spese del grado di appello per due terzi, adducendo che la motivazione della corte territoriale, là dove essa ha per un verso osservato che vi era soccombenza parziale del C.V., sia perché egli aveva postulato che il grado di invalidità fosse del 47% mentre esso era stato accertato al 38%, cioè in grado molto prossimo a quella accertato dal primo giudice, sia perché era stato escluso il danno patrimoniale, e, per altro verso, ha evidenziato che la società Eurocap, insieme alla F.M. avevano inutilmente offerto la somma di € 30.000,00 per comporre la lite a seguito dell'appello.
La critica a tale motivazione si risolve nell'assunto che essa sarebbe stata resa in violazione di legge, avrebbe frustrato <<il principio della domanda e di corrispondenza rispetto a quello di soccombenza, atteso che l'accoglimento sul punto, della domanda proposta dall'allora appellante, avrebbe dovuto non ammettere la decisione assunta da cassare sul punto o al più ammettere la decisione inversa in punto di spese, anche tenuto conto dell'estrema esiguità della invero formale somma offerta>>. 
5.1. L'assunto è incomprensibile.
Il regime dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., applicabile al giudizio in ragione della sua introduzione nel 2000 era imperniato sulla sussistenza o di una soccombenza reciproca o di giusti motivi.
La motivazione ha individuato una soccombenza reciproca, ravvisabile nel fatto che la "domanda" in appello era stata parzialmente accolta, ed ha anche addotto un "giusto motivo", ravvisabile nell'offerta di componimento. Entrambi i presupposti appaiono sussistenti, sicché il motivo è - al di là della incomprensibilità dell'argomentare e del fatto che non è dedotto ai sensi del n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. - del tutto privo di fondamento.
6. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.
 

 

P. Q. M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione a favore di ciascuna delle parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano sia a favore della Eurocap, sia, congiuntamente, a favore della F.M. s.r.l. e del F.M. in proprio, in euro duemilacinquecento, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione.