Cassazione Penale, Sez. 4, 08 febbraio 2018, n. 6150 - Morte di un operaio schiacciato dall'autocarro in discesa libera. Impianto frenante inefficace: responsabilità di un datore di lavoro e di un preposto


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 14/12/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 23/7/2013, il Tribunale di Isernia, ha ritenuto E.G. e B.S. responsabili del reato di omicidio colposo con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Agli imputati, nelle rispettive qualità di datore di lavoro del dipendente R.E. e di preposto alla sicurezza nel cantiere edile in cui era impiegato l'operaio, era contestato di avere cagionato per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché, per violazione delle norme di cui agli artt. 71, 87 , 19 e 56, d.lgs. 81/2008, la morte del predetto operaio per schiacciamento. Il dipendente, impiegato in lavori di ristrutturazione di un immobile in Venafro, conduceva in retromarcia un autocarro con un ingente carico di sacchi di sabbia all'interno di uno stretto vicolo, provvedendo a mettere in sosta l'autocarro con la cabina rivolta a valle, inserendo la retromarcia e ponendo sotto le ruote del mezzo dei pezzi di legno, i quali, avrebbero dovuto svolgere la funzione di cunei ferma ruote. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici, essendo quasi completamente inefficiente l'impianto frenante, assente la manutenzione praticata sul mezzo, insufficiente il sistema di ancoraggio sulla strada, che presentava una pendenza dell'11%, si determinava la discesa libera dell'autocarro a valle che, durante il tragitto, schiacciava contro una impalcatura l'operaio, disceso dal veicolo.
La Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ritenuto il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 40%, riduceva la pena inflitta agli imputati in quella di mesi dieci giorni venti di reclusione e confermava le statuizioni civili.
2. Gli imputati, con unico atto di impugnazione, hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, articolato in due distinti motivi, ciascuno dei quali si sviluppa in diversi sottoparagrafi.
Con il primo motivo, i ricorrenti, hanno dedotto vizio di inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché, vizio di motivazione, lamentando la mancata estromissione dal giudizio della parte civile costituita. All'uopo la difesa rappresentava che le parti civili sono state integralmente risarcite dalla compagnia assicuratrice con la quale era assicurata per la RCA, la società "Edil.Mo." alle cui dipendenze era impiegato il deceduto. Agli atti era stata acquisita ampia quietanza liberatoria con la quale la parte civile avrebbe rinunciato ad ogni pretesa risarcitoria. Per tale ragione, la Corte avrebbe errato nel rigettare la richiesta di estromissione della parte civile, non legittimata a permanere nel giudizio penale.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto la nullità della sentenza, per vizio di motivazione, sotto specie di mancanza, contraddittorietà ed illogicità del suo apparato argomentativo. Hanno anche dedotto vizio di violazione di legge, lamentando inosservanza ed erronea applicazione delle norme del codice della strada.
La difesa ha censurato il ragionamento del giudice e la ricostruzione operata in sentenza, affermando che, alla stregua delle emergenze processuali, si doveva ritenere provato il mancato azionamento del freno di stazionamento dell'autocarro ed il mancato posizionamento delle ruote verso il muro, da parte del conducente. Ciò, avrebbe determinato la precipitazione a valle dell'automezzo, con conseguente riferibilità, alla sola imprudenza del lavoratore, dell'evento mortale. Ricorrerebbe pertanto una ipotesi di anomala ed abnorme condotta del lavoratore, da sola sufficiente a cagionare l'evento mortale.
Sotto questo profilo, la Corte di appello, sarebbe incorsa in una valutazione illogica e contraddittoria delle prove emerse nel corso della istruttoria dibattimentale, non valorizzando adeguatamente i suddetti elementi.
Ulteriore profilo di doglianza riguarderebbe, secondo i ricorrenti, il mancato rispetto, da parte del lavoratore, del P.O.S., di cui egli era a conoscenza, che prevedeva precise misure di prevenzione in caso di stazionamento dell'autocarro, consistenti nell'attuare le operazioni di carico e scarico con l'ausilio di altro personale efficiente e qualificato. Il R.E., disattendendo tale disposizione, recatosi presso il cantiere, contrariamente alla prassi in uso, non attendeva l'uscita di uno dei colleghi che avrebbe dovuto provvedere ad apporre i cunei ferma ruote. L'infortunio, pertanto, era da attribuirsi, secondo la prospettazione difensiva, alla decisione autonoma ed imprevedibile dell'operaio, che scendeva dal mezzo senza nemmeno inserire il freno di stazionamento.
La sentenza impugnata, presenterebbe ulteriori profili di carenza, illogicità e contraddizione della motivazione nella parte in cui individua, tra le cause dell'infortunio, la presunta inidoneità del sistema frenante dell'autocarro. Tale circostanza, afferma la difesa, sarebbe smentita dall'avvenuta revisione dei veicolo effettuata nell'ottobre 2009, all'esito della quale il datore di lavoro provvide alla sostituzione degli pneumatici del veicolo. A sostegno di ciò, erano state prodotte nel dibattimento, le fatture riguardanti l'avvenuta revisione del veicolo, con esito positivo, risalente ad epoca di poco antecedente al sinistro.
Quanto alla vetustà del mezzo ed alla sua condizione di efficienza, la difesa ha evidenziato una rilevante contraddizione tra quanto accertato dal perito e quanto risulta affermato in sentenza.
Il perito ha dichiarato che lo stato manutentivo dell'automezzo era "non molto buono". La Corte d'appello avrebbe aggravato tale valutazione, affermando che tale stato era "pessimo". Ha messo altresì In rilievo che le considerazioni svolte dal giudice in sentenza, circa la "inefficienza del sistema frenante", non corrispondevano a quanto sostenuto dal perito, il quale aveva precisato, in dibattimento, che la capacità frenante della ruota destra era ancora efficiente. Ciò, aveva indotto il giudice di primo grado a ritenere che la guarnizione di attrito fosse "al limite dell'usura" e non del tutto usurata.
Per quanto attiene alla perdita di grasso dalla ruota posteriore sinistra, si deve ritenere che tale anomalia ebbe a verificarsi in epoca successiva all'ultimo controllo generale, effettuato sull'automezzo in data 22.5.2010. Ciò avrebbe dovuto escludere ogni profilo di colpa in capo agli appellanti. Inoltre, tale anomalia avrebbe dovuto essere opportunamente segnalata al datore di lavoro dal R.E., che era l'unico utilizzatore dell'automezzo. Sotto questo profilo il dipendente avrebbe disatteso le prescrizioni del P.O.S. che gli imponevano di "verificare lo stato di idoneità dei mezzi" ma anche, soprattutto, la disposizione di cui all'art.20, co.2, lett.e), del d.lgs. 81/2008, a mente del quale ogni lavoratore deve segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispostivi, nonché, qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui venga a conoscenza.
Decisamente da smentire, sarebbe, in base alla prospettazione difensiva, la considerazione del perito per cui la fuoriuscita di grasso dalla ruota sinistra avrebbe annullato l'effetto frenante anche della ruota destra. Tale supposizione sarebbe illogica e non suffragata da elementi tecnici, in quanto, dall'esame effettuato sul mezzo, in occasione del sopralluogo, si accertò che il freno della ruota del lato destro dell'asse posteriore, era in perfetta efficienza. Pertanto, se il R.E. avesse azionato il freno di stazionamento, prima di scendere dalla cabina, operazione che avrebbe dovuto compiere solo dopo che altri operai avessero provveduto ad apporre il cuneo fermaruote, il dispositivo avrebbe contribuito a mantenere il veicolo fermo.
Si soffermava infine, la difesa, sulle considerazioni svolte dai giudici di merito sul peso del furgone e sulle caratteristiche dei cunei ferma ruote, affermando che: non vi sarebbe alcuna prova agli atti che il peso dell'autocarro superasse i 35 quintali, limite oltre il quale è previsto l'obbligo della dotazione dei cunei ferma ruote; nessuna norma prevede che i cunei debbano essere in ferro; non è prescritto che i mezzi debbano essere dotati di tali strumenti ma solo che debbano essere utilizzati all'occorrenza; al loro posizionamento deve essere adibito personale qualificato e non l'autista del mezzo, per motivi di sicurezza.
 

 

Diritto

 


1. I motivi di doglianza proposti dai ricorrenti si appalesano infondati e, pertanto, i ricorsi devono essere rigettati.
2. In linea generale, i ricorrenti, non senza evocare in larga misura censure in fatto, hanno sostanzialmente ripercorso le medesime argomentazioni che avevano dedotto innanzi al giudice di appello, riassunte nella parte iniziale della sentenza impugnata.
In proposito si ritiene, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, che il giudice della sentenza impugnata abbia risposto adeguatamente a tutte le questioni sollevate dalla difesa in sede di appello, riproposte innanzi a questa Corte, principalmente incentrate sulla critica alle considerazioni svolte nella sentenza sullo stato di efficienza dell'automezzo e sulla valutazione della condotta della vittima dell'infortunio che, secondo la prospettazione difensiva, troverebbe il suo inquadramento nell'ambito dei comportamenti imprevedibili ed esorbitanti.
Le conclusioni a cui giunge la difesa, frutto di un ragionamento che si discosta dalla corretta ricostruzione fattuale e giuridica offerta dalla Corte di appello, non sono condivisibili.
Tralasciando l'eccezione di carattere processuale riguardante la mancata estromissione dal giudizio della parte civile e, venendo alle critiche mosse all'impianto motivazionale della sentenza, di cui al secondo motivo di ricorso, occorre osservare quanto segue.
3. La Corte territoriale è pervenuta, attraverso un'attenta ricostruzione del fatto, alla conclusione che il sistema frenante dell'autocarro non fosse completamente funzionante. Sotto questo profilo, che riveste carattere di centralità nella vicenda, ha evidenziato come la perdita di grasso dalla ruota posteriore sinistra, fosse indicativa della totale inefficienza del sistema di frenatura di quella ruota, mentre la ruota destra, per le sue condizioni di usura, fosse ai limite della sua funzionalità. Tali affermazioni si fondano sulle argomentazioni tratte dalla consulenza espletata dall'Ing. F., al cui contenuto la Corte territoriale ha aderito, valutando attendibile l'analisi degli aspetti tecnici rilevati dal consulente, peraltro riscontrati dall'esame obiettivo dell'autocarro. Il giudice ha poi evidenziato, che la non completa efficienza del sistema di frenatura era avvalorata dalla osservazione della traiettoria intrapresa dall'autocarro che, nel corso della sua discesa, aveva ruotato verso sinistra, "come attorno ad un perno, costituito dalla ruota posteriore destra, che aveva conservato una pur minima efficacia frenante" (così a pag. 4 della sentenza impugnata).
La considerazione della non completa efficienza del sistema frenante del veicolo, desunta da tali elementi, unitamente alla considerazione della pendenza della strada e del carico trasportato, ha indotto la Corte territoriale a ritenere che, quand'anche il R.E. avesse tirato il freno di stazionamento, lo slittamento dell'autocarro ed il conseguente sinistro mortale si sarebbero egualmente verificati.
Ebbene, l'analisi del ragionamento esposto dalla Corte territoriale in sentenza, non soffre dei lamentati vizi logici addotti dalla difesa, riconducibili, secondo la sua prospettazione, alla carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Non vi è carenza motivazionale poiché i giudici di merito, hanno descritto in maniera analitica lo svolgimento dei fatti, dando conto degli aspetti salienti della vicenda e sviluppando dagli elementi fattuali, le necessarie deduzioni sui temi che dovevano formare oggetto di valutazione, in relazione alla contestazione ed alle doglianze difensive proposte in appello. Sotto questo profilo, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la carenza motivazionale va desunta, più che dalla mancanza di parti espositive del discorso motivazionale, dalla assenza di singoli elementi esplicativi, i quali siano tali da costituire tappe indispensabili di un percorso logico-argomentativo, che deve necessariamente snodarsi tra i temi sui quali il giudice è tenuto a formulare la sua valutazione (così Sez. Sez. 5, n. 4893 del 16/03/2000, Rv. 215966).
Il ragionamento seguito, che poggia su basi argomentative fondate sulla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica e sulla considerazione dei dati di fatto emergenti dalla compiuta istruttoria è altresì immune da contraddizioni e vizi di logica. Invero, dalla sua analisi, non si rinvengono evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica o insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute.
Alla luce di tali considerazioni, l'apparato argomentativo della sentenza non può formare oggetto di censura da parte della Corte di legittimità.
Si è in proposito affermato che il sindacato di legittimità che la Corte di Cassazione è chiamato ad effettuare, alla luce della nuova formulazione dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., come novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, debba «essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi da! ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico» (così Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 Rv. 251516).
Per altro verso, il contenuto dell'impugnazione, con particolare riferimento a quanto dedotto dalla difesa nel paragrafo B) del secondo motivo di ricorso, non indica alcuna concreta argomentazione idonea a rendere manifesti gli asseriti difetti logici presenti nella motivazione della sentenza. In tale paragrafo, la difesa desume la Illogicità del costrutto argomentativo della sentenza, dalla circostanza che i giudici non hanno considerato che il lavoratore non aveva azionato il freno di stazionamento e non aveva rivolto la direzione delle ruote verso il muro.
L'assunto è errato, in quanto la Corte di appello non ha negato la esistenza di tali circostanze. Tuttavia, come si è detto in precedenza, ha sostenuto, sulla base di considerazioni immuni da censure, che esse abbiano avuto una marginale incidenza causale sull'evento mortale, attribuibile alla non completa efficienza del sistema frenante dell'autocarro, alla rilevante pendenza della strada ed al peso del carico che il mezzo trasportava.
4. Il tema della inefficienza del sistema frenante del veicolo, come risulta affrontato in sentenza, forma oggetto di critica, da parte della difesa, nel paragrafo E) del secondo motivo di ricorso. Ivi si evidenzia che i giudici di merito hanno travisato il senso della testimonianza e del contenuto della consulenza redatta dall'Ing. F-, affermando che il sistema frenante del veicolo fosse totalmente inefficiente. L'appunto è errato. Nella sentenza impugnata, i giudici di appello non affermano che il sistema frenante fosse totalmente inefficiente, come asserito dalla difesa, ma che fosse grandemente compromessa la sua funzionalità. Ciò, sulla base delle osservazioni tecniche del perito, il quale aveva evidenziato, come riportato in sentenza, che sulla ruota sinistra il sistema frenante fosse totalmente inefficiente e che sulla ruota destra vi fosse una rilevante problematica di usura del sistema frenante.
Oltre alla inesattezza della critica mossa dal difensore al contenuto delle affermazioni del giudice d'appello, deve rilevarsi, anche in questo caso, come il sindacato della Corte di Cassazione non possa esplicarsi su aspetti attinenti a valutazioni di merito della vicenda, ancor più se tali valutazioni traggano fondamento dalla cosiddetta "prova scientifica". Invero, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, questa Corte non può essere chiamata a stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito, ma solo a valutare la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (così ex multis Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, Rv. 262722).
Sotto questo profilo, come si è detto anche in precedenza, l'apprezzamento espresso dalla Corte territoriale con riferimento alle informazioni tecniche ricavate dalla consulenza e dalla testimonianza dell'Ing. F,, appaiono sorrette da una congrua e ragionevole motivazione la quale è certamente idonea a conferire validità all'apparato motivazionale della sentenza.
5. Nel paragrafo C) del secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della mancata rilevanza attribuita dai giudici di merito al comportamento anomalo del lavoratore. In proposito, occorre osservare come la Corte territoriale abbia fornito una precisa e congrua motivazione delle ragioni poste a fondamento della esclusione della ipotesi di una condotta abnorme del lavoratore, pur avendo riconosciuto un suo concorso di colpa nella causazione dell'evento. Invero, ha posto in rilievo che la condotta imprudente e negligente del lavoratore, non possa costituire un fattore di esonero della responsabilità per il datore di lavoro e per coloro che rivestano una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore, aggiungendo che il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo anche di evitare e ridurre al minimo rischi che possano derivare da errori o disattenzioni e imprudenze del lavoratore.
La motivazione è conforme ai principi espressi dalla Corte di legittimità che, in plurime pronunce, ha affermato che la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (così ex multis, Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Rv. 236721).
Pertanto, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e che sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate (così, Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Rv. 232420).
Deve poi aggiungersi, che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli, (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte d'appello ha fatto buon governo dei principi espressi dalla Corte di legittimità, escludendo che il comportamento tenuto dal R.E. potesse rientrare nell'ambito di condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, non essendosi questo realizzato in un contesto avulso dai compiti che gli erano stati assegnati e non potendosi sostenere che si trattasse di una condotta assolutamente eccentrica ed imprevedibile.
Il giudice d'appello, ulteriormente aderendo agli indirizzi costanti espressi in materia dalla Corte di legittimità, ha rammentato altresì, come sia preciso dovere dei soggetti che rivestano una posizione di garanzia, provvedere a munire il lavoratore dei più moderni strumenti che la tecnologia offre, per garantire la sicurezza sul lavoro (così, ex multis Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259229). Sul punto si è recentemente affermato che, sebbene tale principio non si traduca, per il datore di lavoro, in un obbligo di procedere alla immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, resta sempre fermo il dovere di assicurare che i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza. (così Sez. 4, n. 3616 del 14/01/2016, Rv. 265738).
Il che non è avvenuto nel caso in esame, avendo la Corte territoriale appurato, sulla base di valido ragionamento, che il veicolo messo a disposizione del lavoratore non era in condizione di garantire il necessario livello di sicurezza.
La negligente vigilanza sulle condizioni di efficienza dell'autocarro ha riguardato, secondo le corrette argomentazioni svolte dal giudice d'appello, parti visibili e raggiungibili del veicolo, essendosi peraltro manifestato il difetto del sistema frenante, attraverso la fuoriuscita di grasso dalla ruota sinistra.
A fronte di tali manchevolezze, non è sostenibile che la trasgressione dell'obbligo, da parte del lavoratore, di informare il datore di lavoro ed il preposto di situazioni di rischio, potesse avere l'effetto di esonerare questi ultimi da responsabilità.
Ed invero, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, che ha sottolineato, all'art. 20, la necessità che i lavoratori si prendano cura della propria sicurezza, indicando i comportamenti da adottare, il datore di lavoro rimane comunque titolare di un obbligo di protezione nei loro confronti, ove l’infortunio risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza (così, Sez. 4, n. 5005 del 14/12/2010, Rv. 249625).
Quanto al mancato rispetto del P.O.S. da parte del lavoratore, di cui si duole ulteriormente la difesa, è necessario rilevare come la Corte territoriale abbia condivisibilmente evidenziato una totale inadeguatezza di tale strumento e della prassi invalsa nello svolgimento dei lavori, secondo cui, il R.E., avrebbe dovuto attendere che i suoi colleghi collocassero i cunei ferma ruote sotto l'autocarro, prima di scendere dal mezzo. Ha sottolineato opportunamente il giudice, come tale modalità, al cospetto degli evidenziati vizi presenti sull'autocarro ed in mancanza di strumenti idonei al bloccaggio delle ruote, era da reputarsi del tutto difforme dai necessari e più elementari parametri di sicurezza.
6. Nel paragrafo D) del secondo motivo di ricorso, la difesa dedotto di avere dimostrato con ampia documentazione, la perfetta efficienza dell'autocarro messo a disposizione del lavoratore, lamentando una superficiale valutazione di tale aspetto da parte del giudice d'appello, suscettibile di riverberarsi sulla congruità della motivazione. Sul punto, la Corte territoriale ha rilevato che la sostituzione di alcune parti del veicolo, come la cabina di guida e gli pneumatici, non potesse avere alcuna rilevanza nell'ambito della vicenda in esame, non avendo rivestito tali aspetti alcuna incidenza causale sull'evento. Il che è perfettamente conforme alla linea di pensiero espressa dal giudice in sentenza, risultata immune da vizi logici, riguardante la ricostruzione del fatto.
Quanto all'argomentazione difensiva della recente revisione del veicolo, essa non è suscettibile di incidere sull'accertata inidoneità del sistema frenante, che, secondo le adeguate motivazioni espresse dalla Corte territoriale, emergeva in maniera evidente dalla consulenza dell'Ing. F..
Le ulteriori argomentazioni illustrate dalla difesa nel ricorso (paragrafo F del secondo motivo) riguardano l'aspetto della dotazione dei cunei fermaruote. Si è affermato che l'azienda non aveva obbligo di dotarsi di cunei fermaruote essendo necessario soltanto che essi venissero utilizzati all'occorrenza. Inoltre, la difesa ha affermato che nessuna norma o regolamento prevede che tali strumenti debbano essere necessariamente in ferro. Ha aggiunto, quindi, che il pezzo di trave rinvenuto per terra sul luogo dell'infortunio, era perfettamente idoneo a fungere da fermaruota. La prima proposizione difensiva sull'argomento introdotto, è smentita dallo stesso contenuto del piano operativo di sicurezza, riportato nello stesso ricorso, che prevedeva, in caso di stazionamento degli automezzi, in una zona non pianeggiante, l'utilizzo dei cunei fermaruote. Ebbene, se nel piano operativo era previsto che gli operari, in caso di stazionamento del mezzo, in zona non pianeggiante, dovessero adoperare tali strumenti, risulta piuttosto evidente che l'azienda dovesse dotarsi di cunei fermaruote, non potendo pretendersi che il lavoratore, sul luogo di lavoro, andasse alla ricerca dell'oggetto più idoneo a fare le veci del cuneo fermaruote. Anche tale profilo, pertanto, deve essere ritenuto infondato.
7. In ordine al primo motivo di doglianza, il ricorso non rispetta il principio di autosufficienza. Invero, non risulta allegato al ricorso l'atto dì transazione a cui si riferisce la difesa, il quale è soltanto parzialmente trascritto in ricorso.
Ad ogni modo, come argomentato dalla Corte d'appello, può affermarsi che la transazione in oggetto non rivesta un carattere integralmente satisfattivo dei danni patiti dalla costituita parte civile, riferendosi unicamente ai danni derivanti da responsabilità civile da circolazione stradale, per la quale la società "Edl.Mo" era assicurata in via obbligatoria. Pertanto, è corretta la motivazione resa dal giudice di appello di rigetto della richiesta di estromissione della parte civile dal giudizio avanzata dagli imputati in sede di appello.
8. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte civile R.R., liquidate in euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte civile R.R., liquidate in euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.
In Roma, così deciso il 14 dicembre 2017