Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 febbraio 2018, n. 4084 - Patologie contratte a causa del contatto con escrementi di topo avvenuto durante lo svolgimento dell'attività lavorativa a scuola. Risarcimento del danno


 


Presidente Napoletano – Relatore Torrice

 

 

FattoDiritto

 



1. Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta da Pa. Ri. nei confronti del Ministero dell' Istruzione, Università e Ricerca , della Provincia di Roma, e dell'Istituto Scolastico per il Lazio-Centro Servizi Amministrativi, aveva condannato la Provincia di Roma a pagare alla lavoratrice, a titolo di responsabilità ex art. 2087 c.c., la somma di Euro 363.568,00 (di cui Euro 175.712,00 per danno biologico, Euro 87.856,00 per danno morale) e, inoltre, la somma di Euro 2.341,63 in relazione alle patologie contratte a causa del contatto con escrementi di topo avvenuto durante lo svolgimento dell'attività lavorativa.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, adita in via principale dall'Amministrazione Provinciale di Roma e in via incidentale dalla Ri., in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato l'Amministrazione Provinciale di Roma ed il Ministero in via solidale, a pagare alla Ri. la somma di Euro 138.737, 83 oltre accessori, dalla data della sentenza, e della ulteriore somma di Euro 2.341,63.
3. La Corte territoriale ha ritenuto, quanto all'appello principale, che: la responsabilità ex art. 2087 c.c. gravava sulla Amministrazione Provinciale perchè, nella qualità di datrice di lavoro della Ri., era tenuta ad adottare tutte le misure e le cautele necessarie per tutelarne l'integrità psicofisica; dalla documentazione acquisita agli atti e dalla prova testimoniale emerso che la lavoratrice era venuta in contatto con gli escrementi dei topi presenti nella fotocopiatrice; nel periodo dedotto in giudizio la scuola era invasa da topi e che per potere utilizzare la fotocopiatrice era necessario procedere alla sua pulizia interna; la disinfestazione effettuata nel corso del tempo aveva sempre prodotto risultati non soddisfacenti; la Amministrazione Provinciale non aveva ottemperato all'onere di provare di avere adottato le misure necessarie a tutela della integrità psicofisica della lavoratrice; il CTU nominato nel giudizio di appello aveva accertato che il quadro patologico da cui la Ri. era risultata affetta (esiti di linfoadenite e di lesioni spleniche secondarie a stimolo di natura infettiva per contatto con escrementi ed urine di una colonia di ratti) era correlabile al contatto con gli escrementi di ratti ed aveva determinato un danno biologico pari al 30%; le conclusioni assunte dall'Ausiliare nominato nel giudizio di appello era condivisibili in quanto questi aveva precisato che la percentuale di invalidità individuata dall'Ausiliare del giudice di primo grado era stata effettuata anche con riferimento a patologie (esiti di isterectomia e salpingectomia bilaterale) preesistenti all'evento lesivo e rispetto a questi indipendenti.
4. La Corte territoriale ha ritenuto di applicare, ai fini della quantificazione del danno, le tabelle relative alla liquidazione del danno biologico in uso presso il Tribunale di Roma anno 2013, già utilizzate dal giudice di primo grado; ha tenuto conto della percentuale di invalidità permanente del 30%; ai fini della determinazione del valore del punto di invalidità ha considerato l'età anagrafica della lavoratrice al tempo di stabilizzazione dei postumi, accertata dalla competente Commissione Medica nel 2006.
5. La circostanza che la Ri., con decorrenza dal 1.1.2000, fosse passata alle dipendenze del Ministero ai sensi dell'art. 8 della L. n. 124 del 1999, rendeva applicabile la disposizione contenuta nell'art. 31 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con conseguente configurabilità in capo al Ministero, in via solidale con l'Amministrazione Provinciale, dell'obbligo risarcitorio.
6. Avverso questa sentenza Pa. Ri. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, al quale ha resistito con controricorso la Provincia di Roma, la quale ha anche proposto ricorso incidentale, affidato a tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca è rimasto intimato.
Sintesi dei motivi del ricorso principale
7. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c, violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 112 c.p.c. ( primo motivo) e degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. (secondo motivo) per avere la Corte territoriale violato il giudicato interno formatosi sul capo della sentenza di primo grado che aveva accertato un'invalidità pari al 42% nonostante l’ Amministrazione non avesse censurato detta statuizione (primo motivo) e per avere la Corte territoriale disatteso l'eccezione formulata da essa ricorrente principale in ordine alla novità della domanda, proposta in sede di note critiche alla CTU, di riduzione del grado di invalidità accertato dal giudice di primo grado (secondo motivo).
8. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c, violazione e falsa applicazione dell'art. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale aderito alle conclusioni assunte dal CTU nominato nel giudizio di appello omettendo di giustificare la ragione per la quale aveva ritenuto di condividere le conclusioni assunte dall'Ausiliare in ordine alla preesistenza ed autonomia rispetto al fatto lesivo della isterectomia e della salpingectomia bilaterale.
9. Con il quarto ed il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, violazione degli artt. 2043, 2056 c.c. e dell'art. 32 della Costituzione (quarto motivo) e, ai sensi dell'art. 360 e. 1 n. 4 c.p.c, violazione dell'art. 112 c.p.c. Sostiene che l’ invalidità temporanea costituisce una componente del danno biologico e addebita alla Corte territoriale di non aveva pronunciato sul motivo di appello incidentale con il quale era stata denunciata l'erroneità della statuizione del giudice di primo grado, che aveva escluso che fosse stata proposta domanda per il riconoscimento dell'invalidità temporanea.
10. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 e 1 n. 3 c.p.c, violazione degli art. 1226, 2056, c.c., degli artt. 3 e 32 della Costituzione, dell'art. 65 del R.D. n. 12 del 1941, per avere la Corte territoriale utilizzato le Tabelle del Tribunale di Roma e non quelle del Tribunale di Milano.
11. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 e 1 n. 3 c.p.c, violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c. per non avere la Corte territoriale tenuto conto della personalizzazione nella liquidazione del danno morale.
12. Sintesi dei motivi del ricorso incidentale
13. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 e 1 n. 3 c.p.c, violazione degli artt. 2051 e 2087 c.c., del D.Lgs. n. 626 del 1994, del D.M. n. 292 del 1996, del D.P.R. n. 471 del 1974 e dell'art. 112 c.p.c. Sostiene che unico responsabile dei danni subiti dalla Ri. avrebbe dovuto essere considerato il Preside del Liceo P. e per esso il Ministero della Pubblica Istruzione in quanto aveva gestito il rapporto di lavoro del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario degli istituti scolastici, fornito da essa Provincia agli istituti scolastici superiori. La ricorrente incidentale deduce, inoltre, che il Preside dell'Istituto scolastico era il custode dell'edificio scolastico e che non aveva provveduto alla derattizzazione nonostante i fondi messi a disposizione da essa Provincia.
14. Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 e 1 n. 3 e n. 5 c.p.c, violazione dell'art. 2087 c.c. (secondo motivo) e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (terzo motivo). Addebita alla Corte territoriale di avere male valutato la prova documentale e quella testimoniale in ordine alla sussistenza del fatto dannoso e del nesso di causalità, di avere acriticamente condiviso le conclusioni assunte dal CTU di primo grado, nonostante la loro erroneità e lacunosità anche in ordine alle pregresse patologie cardiologiche di cui la Ri. era portatrice, e di avere nominato nel giudizio di appello come CTU non un medico infettivologo ma un medico radiologo ed oncologo (secondo motivo). Deduce che il CTU nominato nel giudizio di appello non aveva motivato alcunché sulla colecistectomia, che il laparocele costituendo complicanza operatoria, avrebbe dovuto essere ascritta alla responsabilità del chirurgo della struttura medica nella quale era stato effettuato l'intervento chirurgico, che la splenectomia non era riconducibile in alcun modo al contatto con gli escrementi dei ratti ( terzo motivo)
Esame dei motivi.
15. L'esame del primo e del secondo del ricorso incidentale, è pregiudiziale rispetto ai motivi del ricorso principale ed agli ulteriori motivi del ricorso incidentale perchè le censure mettono in discussione la responsabilità della Amministrazione, la sussistenza dell'evento ed il nesso di causalità tra questo e i danni denunciati dalla lavoratrice.
16. Sono prive di pregio le censure formulate nel primo e nel secondo motivo nella parte in cui addebitano alla sentenza la violazione degli artt. 2087 e 20151 c.c. del D.Lgs. n. 626 del 1994 e del D.M. 22/1996.
17. La Corte territoriale ha attribuito alla Provincia le conseguenze dell'evento dannoso (infezione a seguito di contatto con gli escrementi di ratti) avendo rilevato, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, che la Provincia all'epoca dei fatti dedotti in giudizio era la datrice di lavoro della Ri. e , pertanto obbligata, ai sensi dell'art. 2087 c.c. ad adottare le misure necessarie a tutelare la integrità psicofisica della Ri., tanto più che era proprietaria dell'immobile in cui aveva sede l'Istituto scolastico ove la Ri. prestava servizio.
18. La sentenza è conforme ai principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui a norma dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro, nell'esercizio dell'impresa, è tenuto ad adottare tutte le misure attinenti all'efficienza e al buon andamento del servizio, idonee ad evitare o a limitare eventuali danni a carico dei lavoratori, danni potrebbero essere provocati anche da un servizio non pienamente efficiente, e la sua responsabilità per il mancato assolvimento di tale obbligo non è esclusa né dalla colpa del lavoratore, ne' dalla colpa o dal dolo di terzi. (Cass. 2209/2016, 8230/2013).
19. Questa Corte ha, altresì, affermato che il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge ovvero da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall'art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l'assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione. (Cass. 10319/2017, 16003/2007).
20. La censura di omessa pronuncia è infondata in quanto la Corte territoriale ha preso in esame le censure formulate nell'appello principale e le ha rigettate con motivazione puntuale ed esaustiva sicché non è ravvisabile alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
21. I motivi sono inammissibili nella parte in cui sotto l'apparente denuncia del vizio della legge sostanziale e delle norme processuali sollecitano il riesame del merito della causa non consentito in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).
22. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, con i quali è dedotta nullità della sentenza per "error in procedendo" consistente in violazione dell'art. 2909 c.c., e degli art. 112 c.p.c. e 329 c.p.c. per avere la Corte territoriale quantificato il danno biologico nella misura pari alla percentuale di invalidità del 30% nonostante che l'appello dell' Amministrazione non avesse censurato la statuizione di primo grado che aveva accertato che la percentuale di invalidità fosse pari al 42%, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
23. Essi muovono dalla erronea premessa che la liquidazione del danno commisurata alla percentuale di invalidità possa costituire oggetto, da sola, di autonoma pronuncia giurisdizionale e, quindi, possa non essere coinvolta da un appello incentrato sull'assenza di prova dell'evento dannoso, del nesso causale tra le infezioni contratte e il contatto con gli escrementi dei topi, e sulla quantificazione del danno, e, per l'effetto, passare in giudicato.
24. Al riguardo il Collegio ritiene di dare continuità ai principi reiteratamente affermati da questa Corte, secondo cui al fine di selezionare le questioni (di fatto e/o di diritto) suscettibili di devoluzione e, per converso, di giudicato interno se non censurate in appello utilizza la locuzione di "minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno", che consiste nella sequenza logica "fatto - norma -effetto giuridico", cioè nella statuizione che affermi l'esistenza d'un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.
25. E' stato precisato che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l'impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull'intera statuizione. Cass. n. 2217/2016, 14670/15, 4572/13, 16583/12, 16808/2011, 27196/06; Ord. 24441/2017).
26. Nella fattispecie in esame, come emerge dalla sentenza impugnata, l'impugnazione proposta con l'appello principale dell'Amministrazione, motivata in ordine alla prova della sussistenza del fatto dannoso, del nesso di causalità tra contatto con gli agenti infettanti e le patologie assunte come contratte, alla logicità e fondatezza delle conclusioni assunte dal CTU, quantificazione del danno, al pari della impugnazione proposta con l'appello incidentale dalla stessa Ri. in ordine ai criteri di liquidazione utilizzati dal giudice di primo grado (età di ferimento ai fini della liquidazione), hanno riaperto per intero l'esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell'impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti e l'espletamento di una nuova indagine tecnica, quanto in punto di diritto (ripartizione dell'onere della prova in tema di inadempimento datoriale degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c.).
27. Il terzo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, che investono, seppure da angolazioni diverse e secondo prospettazioni opposte, la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto di prestare adesione alle conclusioni assunte dal CTU sono inammissibili.
28. Le parti non hanno riprodotto nel ricorso, nelle parti salienti, il contenuto della consulenza tecnica di primo e di secondo grado, le quali non risultano al ricorso ed al controricorso e nemmeno ne risulta specificata la sede di produzione processuale. Tali omissioni si pongono in contrasto con i principi sanciti dall'art. 366 c.p.c, comma 2, n. 6, e art. 369 c.p.c, comma 1, n. 4, che impongono alla parte di riprodurre nel ricorso, nelle parti rilevanti, e di allegare, il contenuto degli atti processuali, dei documenti o i verbali relativi alla prova testimoniale ed anche di indicarne l'esatta allocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).
29. Il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente, perchè deducono erroneità della pronuncia sulla domanda di danno relativa alla invalidità temporanea (quarto motivo) e, ad un tempo e contraddittoriamente, omessa pronuncia su tale domanda (quinto motivo), sono inammissibili perchè la ricorrente non riproduce nel ricorso, e nemmeno li allega, il contenuto del ricorso di primo grado, la sentenza di primo grado e l'atto di appello (cfr. punto n. 28 di questa sentenza).
30. Il sesto motivo che addebita alla sentenza di avere applicato ai fini della liquidazione del danno la tabella del Tribunale di Roma in luogo di quella di Milano è infondato.
31. Al riguardo va data continuità al principio secondo il quale nella liquidazione del danno non patrimoniale, l'applicazione di criteri diversi da quelli risultanti dalle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano può essere fatta valere in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, soltanto quando in grado di appello il ricorrente si sia specificamente doluto della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle milanesi ed abbia altresì versato in atti dette tabelle ( Cass. 24205/2014).
32. Il settimo motivo, che addebita alla Corte territoriale di non avere proceduto alla personalizzazione del danno morale, limitandosi a quantificarlo nella misura pari alla metà di quello biologico è infondato.
33. La Corte territoriale ha infatti liquidato il danno morale nella misura pari al 50% del danno biologico richiamando ad un tempo le osservazioni svolte dall'Ausiliare nominato nel giudizio di appello e la liquidazione effettuata dal giudice di primo grado, evidenziando che la ricorrente non aveva formulato alcuna contestazione nell'atto di appello.
34. Ebbene, la ricorrente a fronte della liquidazione contenuta nella sentenza impugnata non ha specificato quali sono i criteri che la Corte territoriale ha trascurato di esaminare e che se valutati avrebbero portato ad una diversa e maggiore liquidazione.
35. Va al riguardo ribadito il principio secondo il quale nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è legittimo, purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione di detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo. (Cass. 23918/2006).
36. Sulla scorta delle considerazioni svolte vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.
37. Le spese del giudizio di legittimità sono compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

 

P.Q.M.

 


 

 


La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.