Cassazione Penale, Sez. 4, 19 marzo 2018, n. 12639 - Infortunio di un addetto al reparto selleria inciampato in un tappeto. Rimproverabilità soggettiva dell'evento a titolo di colpa nei confronti del direttore dello stabilimento


 

 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 20/12/2017

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 9.6.2016 la Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato la penale responsabilità di P.F. in relazione alle lesioni colpose cagionate al dipendente P.G., in occasione dell'infortunio sul lavoro presso lo stabilimento della ditta ISRINGHAUSEN S.p.a. (fatto del 22.6.2010), avvenuto con le seguenti modalità: il lavoratore, addetto al reparto selleria, mentre trasportava materiale sul banco di sellatura, inciampava sul bordo di un tappeto di gomma antiscivolo, andando a sbattere con il ginocchio destro contro il carrello porta federe, riportando lesioni personali guaribili in gg. 105.
Si addebita all'imputato, quale direttore di stabilimento delegato dal datore di lavoro in materia di sicurezza, di non aver provveduto alla corretta installazione del tappeto di gomma antiscivolo mediante fissaggio al pavimento con rampa modulare.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando due motivi, di seguito sinteticamente illustrati.
I) Violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 590 cod. pen.
Deduce come la Corte di appello abbia ritenuto sufficiente a fondare la penale responsabilità dell'imputato la qualifica di datore di lavoro delegato, da egli ricoperta, senza preoccuparsi di accertare l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato, dimenticandosi che la mera sussistenza di una posizione di garanzia non è da sola sufficiente a giustificare un giudizio di responsabilità colposa.
Rileva che l'argomentare della sentenza Impugnata palesa la sua intenzione di condannare l'imputato sulla base di una mera responsabilità da posizione, non solo omettendo di considerare la questione relativa alle aree di rischio, ma dimostrando di attribuire comunque la responsabilità al prevenuto anche ove questo avesse conferito deleghe valide. Ciò senza nulla osservare in merito alla rimproverabilità soggettiva al P.F. dell'evento infortunio che si è in concreto verificato.
Sostiene che la Corte territoriale ha completamente omesso di individuare la figura istituzionale chiamata a governare il rischio che si è concretamente verificato, e non ha considerato che l'imputato aveva predisposto ull'articolata organizzazione interna, individuando un dirigente ad interim e tre preposti, adeguatamente formati ed informati ai fini delle norme prevenzionistiche.
Osserva che le modalità dell'infortunio escludono che lo stesso possa essere ricondotto ad una carenza strutturale o a scelte gestionali di fondo: il P.G. è inciampato sul tappetino di gomma perché, occasionalmente, mancavano due viti che lo fissassero alla rampa. Pertanto l'intervento doveroso per evitare l'evento poteva essere effettuato direttamente dal preposto capoturno, senza necessità di intervento da parte del datore di lavoro, peraltro mai messo in condizione di potersi attivare, non avendo mai ricevuto notizia circa la problematica che ha dato luogo all'infortunio.
II) Difetto di motivazione sul punto concernente la sussistenza dell'elemento soggettivo.
Deduce che la sentenza impugnata non ha affrontato le questioni sollevate dalla difesa nell'atto di appello con riferimento alla non riconducibilità dell'infortunio occorso al lavoratore all'area di rischio di cui il P.F. era garante.
Osserva che la Corte di appello al riguardo non ha valutato se il tipo di intervento che si sarebbe dovuto fare per evitare l'infortunio dovesse necessariamente prevedere l'intervento del datore di lavoro o se potesse essere effettuato direttamente dal preposto o dal dirigente, ovvero se tali soggetti dovessero previamente confrontarsi con il datore di lavoro sulle modalità dell'intervento.
 

 

Diritto

 


1. I dedotti motivi di ricorso sono fondati e meritevoli di accoglimento.
2. In linea di principio, va qui ribadito l'orientamento secondo cui la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 26412801).
Sul piano soggettivo, il profilo personale della colpa viene generalmente individuato nella capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, vale a dire nella esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che esprime il rimprovero personale rivolto all'agente: un profilo della colpevolezza colposa importante al fine di rendere personalizzato il rimprovero dell'agente attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali. Dunque, in breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate. Da questo punto di vista il rimprovero colposo è strettamente legato a considerazioni di prevedibilità ed evitabilità dell'evento, che sono all'origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale (così in motivazione, Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 - dep. 2016, P.G. in proc. e altri in proc. Barberi e altri).
In materia di responsabilità colposa omissiva occorre, dunque, sempre tenere presente che la individuazione del titolare della posizione di garanzia, vale a dire della persona cui incombe l'obbligo giuridico di impedire l'evento, costituisce solo il primo passo della imputazione soggettiva del fatto, che passa necessariamente attraverso la verifica della effettiva violazione di una norma cautelare. Tale verifica, tuttavia, deve svolgersi sia sul piano oggettivo, attraverso la ricostruzione obiettiva della condotta (omissiva) violativa della regola cautelare, sia sul piano più squisitamente soggettivo, mediante l'indagine sulla concreta esigibilità del comportamento dovuto da parte del garante. Tale ultimo aspetto è quello che consente di muovere al titolare della posizione di garanzia un rimprovero specificamente delineato sulla sua persona - nel rispetto del principio di personalità della responsabilità penale -, per non essersi attivato conformemente alla regola cautelare, al fine di rimediare alla situazione di rischio causativa dell'evento dannoso, pur avendo conoscenza (o conoscibilità) del pericolo (che la regola cautelare mirava a prevenire) e capacità di intervento per scongiurarlo.
3. Le censure del ricorrente colgono nel segno laddove evidenziano le carenze giuridico-motivazionali della sentenza impugnata proprio in punto di accertamento di profili di rimproverabilità soggettiva dell'evento a titolo di colpa nei confronti del prevenuto, quale direttore dello stabilimento della ditta del lavoratore infortunato.
La Corte territoriale si è limitata a riscontrare in capo all'imputato la titolarità della posizione di garanzia rispetto all'infortunio, essendo stato espressamente delegato dal datore di lavoro ad attuare tutte le misure di sicurezza ed igiene del lavoro previste dalla normativa vigente, ma non ha spiegato in che modo l'imputato avrebbe dovuto/potuto accertarsi della corretta sistemazione di due viti di fissaggio del tappetino sul quale è inciampato il lavoratore.
Le domande alle quali i giudici di merito hanno omesso di fornire risposta ai fini della formulazione di un ponderato giudizio di rimproverabilità colposa del fatto sono diverse e variegate, a fronte di una situazione fattuale laconicamente ricostruita, dal giudice di primo grado, come segue: il tappetino era mal fissato e a causa di tale perdita del fissaggio a terra del tappetino si era formato una sorta di scalino sul quale il lavoratore era inciampato, procurandosi le lesioni; le condizioni di cattivo fissaggio del tappetino, a detta del lavoratore, risalivano già a qualche settimana prima dell'infortunio ed erano già state oggetto di segnalazione specifica nei confronti del caposquadra.
Ebbene, rispetto a tale fatto, e tenuto conto della posizione di vertice assunta dal P.F. nello stabilimento in cui è avvenuto l'incidente, nessuna spiegazione viene fornita dalla Corte territoriale rispetto alla problematica della esigibilità nei confronti del prevenuto di un intervento riguardante un aspetto talmente minuto e di dettaglio dell'ambiente di lavoro, quale quello sopra descritto, rispetto ad un'organizzazione aziendale che non poteva non prevedere la presenza di più soggetti intermedi preposti al coordinamento e alla direzione dell'attività lavorativa (è lo stesso P.G. a parlare della presenza di almeno un caposquadra); né ci si domanda se la detta problematica del tappetino fosse stata, e come, segnalata all'Imputato, o se costui potesse o dovesse, ed in che modo, accorgersene da solo.
In definitiva, la questione irrisolta e non affrontata nella sentenza impugnata, è se - sulla scorta dei dati processuali concretamente emersi - si possa muovere al prevenuto, al di là della sua accertata posizione di garanzia, un rimprovero personale di colpa per non essere intervenuto per risolvere la situazione di pericolo. Le argomentazioni adottate dalla Corte territoriale omettono, insomma, qualsiasi considerazione sulla concreta prevedibilità e prevenibilità dell'evento, sub specie di conoscenza o conoscibilità in capo all'imputato della situazione di rischio costituita dal tappetino mal fissato. Si tratta di un profilo decisivo ai fini della imputabilità soggettiva dell'evento a titolo di colpa, eppure assolutamente trascurato nella sentenza impugnata, che si dilunga sulla accertata posizione di garanzia del direttore di stabilimento quale destinatario, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, senza domandarsi se costui avesse avuto, in concreto, la possibilità di attivarsi per ovviare alla situazione di rischio, e quindi se fosse stato messo nella condizione di uniformarsi alla regola cautelare violata.
4. Sotto altro profilo, la sentenza di merito neanche affronta la questione che attiene alla riconducibilità dell'intervento omesso alla sfera di responsabilità propria del datore di lavoro. E' infatti nota la giurisprudenza che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, stabilisce che occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 26997201).
La sentenza impugnata si limita a constatare l'assenza di prova in merito alla dedotta esistenza di una capillare organizzazione interna per il reparto selleria ove è avvenuto l'incidente, ma non si pone il problema se il cattivo fissaggio del tappetino sia ricollegabile ad una carenza strutturale derivante da una scelta gestionale di fondo del datore di lavoro, ad es. per una deliberata scelta aziendale volta al risparmio sui costi di manutenzione dell'ambiente di lavoro, ovvero se l'incuria sia soltanto espressione di una situazione occasionale e contingente, alla quale avrebbero dovuto e potuto ovviare in prima battuta altre figure soggettive intermedie quali preposti o dirigenti. Ed è evidente che, ove fosse accertato che nessun responsabile avesse informato il P.F. della situazione di rischio in questione, nessun rimprovero di colpa potrebbe essere mosso nei confronti di quest'ultimo, difettando in tal caso i presupposti di concreta prevedibilità e prevenibilità dell'evento da parte del medesimo.
5. Le evidenziate carenze motivazionali della sentenza impugnata ne impongono l'annullamento, con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello Perugia.
Così deciso il 20 dicembre 2017