Cassazione Civile, Sez. 3, 27 aprile 2018, n. 10150 - In tema di infortuni sul lavoro il datore di lavoro risponde dei danni occorsi al lavoratore infortunato nei limiti del cd. danno differenziale


 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: POSITANO GABRIELE Data pubblicazione: 27/04/2018

 

 

 

Fatto

 


Con atto di citazione notificato il 15 e 16 luglio 2005, V.L., dipendente con mansioni di autista della G.V. & Figli s.r.l. rilevava che il giorno 15 febbraio 1997 il marito della legale rappresentante della società, G.V., aveva dato disposizioni a V.L. di sospendere le operazioni di manutenzione di un automezzo della società e di aiutarlo, unitamente all'altro dipendente R.P., a sgomberare il terreno antistante il capannone della società da alcuni blocchi di cemento di un muretto precedentemente demolito e che, in occasione di tale attività, si era verificato un infortunio, con conseguenti lesioni a carico dell'attore. Aggiungeva di avere depositato ricorso il 2 aprile 2001 davanti al giudice del lavoro di Como per l'accertamento della responsabilità della società nella determinazione dell'infortunio e per il risarcimento dei danni e che il procedimento penale era stato archiviato con decreto del 6 settembre 2001. Ciò premesso aveva evocato la G.V. & Figli s.r.l. e R.P. davanti al Tribunale ordinario di Como lamentando la mancanza osservanza dell'obbligo previsto dall'articolo 2087 c.c. in concorso con la responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro, trattandosi di lesione di diritti della persona.
Con sentenza del 16 luglio 2010 il Tribunale di Como rigettava le domande proposte da V.L. ritenendo non provato che l'incidente sarebbe avvenuto durante l'espletamento da parte di R.P. di mansioni lavorative e dichiarando prescritto il diritto al risarcimento dei danni nei confronti di R.P. per assenza di atti interruttivi.
Avverso tale sentenza proponeva impugnazione V.L. davanti alla Corte d'Appello di Milano rilevando che l'incidente si era verificato in occasione dell'attività lavorativa, tanto che l'Inail aveva costituito a suo favore una rendita e che detto risarcimento da responsabilità extracontrattuale non si era prescritto. Costituitisi gli appellati, contestando i motivi di gravame e deducendo l'erroneità della sentenza nella parte in cui aveva compensato le spese di lite che avrebbero dovuto, invece, essere poste a carico del soccombente V.L., la Corte territoriale di Milano, con sentenza del 10 gennaio 2014, in accoglimento dell'appello proposto dal V.L. condannava gli appellati al pagamento della somma di euro 70.000 in solido, detratta la rendita Inail già percepita, rigettando gli appelli incidentali e ponendo a carico degli appellati le spese del doppio grado di giudizio.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione V.L. affidandosi a due motivi. Propone, altresì, ricorso per cassazione la società G.V. & Figli s.r.l. sulla base di tre motivi. Resiste in giudizio con controricorso, avverso il ricorso della società G.V. & Figli s.r.l, V.L.
 

 

Diritto

 


Ricorso di V.L.: con il primo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell'articolo 360, n. 5 c.p.c, nonché violazione degli articoli 1223, 1226 e 1256 c.c, oltre all'errata determinazione del risarcimento, sulla base dell'articolo 360, n. 3 c.p.c.
La Corte avrebbe errato nel conteggio della decorrenza degli interessi a far data dalla sentenza, mentre avrebbe dovuto applicare gli interessi dalla data del sinistro al saldo, calcolati, non sulla somma rivalutata, ma, previa devalutazione dell'importo alla data del sinistro, e successiva progressiva rivalutazione anno per anno, con successiva applicazione degli interessi in ossequio al principio inaugurato dalle Sezioni Unite della cassazione con la sentenza del 17 febbraio 1995 n. 1712, secondo cui gli interessi vanno computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno.
Il motivo, nella parte in cui fa riferimento alla dedotta violazione di legge, è fondato.
La Corte territoriale ha applicato le Tabelle del Tribunale di Milano dell'anno 2013 liquidando il danno in moneta attuale alla data della sentenza con ciò violando i principi in materia secondo cui in materia di fatto illecito extracontrattuale, il danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria va liquidato applicando il criterio ritenuto dal giudice più adeguato a compensare il ritardo facendo riferimento un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice o alla semisomma (e cioè la media) tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all'epoca dell'illecito, ovvero - per l'identità di risultato - sul credito espresso in moneta all'epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno. Tali interessi si producono dalla data in cui si è verificato il danno (coincidente, per il danno biologico permanente, con quella del consolidamento dei postumi) fino a quella della liquidazione e, successivamente, sull'importo costituito dalla sommatoria di capitale e danno da mora, ormai trasformato in obbligazione di valuta, maturano interessi al saggio legale, ai sensi dell'art. 1282, primo comma, cod. civ.
In considerazione della specifica doglianza sul punto, l'importo va calcolato alla data odierna e devalutato sino alla data dell'infortunio sul lavoro, con la successiva rivalutazione anno per anno e applicazione degli interessi anno per anno, consentendo di pervenire ad un importo significativamente superiore rispetto a quello calcolato dalla Corte territoriale pari all'Importo liquidato nel 2014, oltre gli interessi dalla data della sentenza.
Il giudice del rinvio si atterrà al principio di diritto secondo cui trattandosi di debito di valore da risarcimento del danno, la somma va dapprima riportata ai valore effettivo corrente al momento del fatto illecito (e quindi devalutata sino alla data del sinistro) e sulla somma così ottenuta vanno, anno per anno (cioè con rivalutazione della somma anno dopo anno: Cass. S.U. del 17 febbraio 1995 n° 1712) calcolati gli interessi legali.
Con il secondo motivo deduce insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell'articolo 360, n. 5 c.p.c. e violazione degli articoli 10 e 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000. In particolare, poiché il sinistro si è verificato prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 38 del 2000 trova applicazione la precedente disciplina in base alla quale l'indennità corrisposta dall'Inail riguarda solo il danno patrimoniale generico, per cui l'azione di rivalsa Inail può essere accolta limitatamente alle voci che riguardano il danno patrimoniale. Poiché la Corte d'Appello ha liquidato solo il danno non patrimoniale, risulta errata la condanna che prevede la previa detrazione della rivalsa Inail. 
Il motivo è fondato. Per cui il giudice del rinvio si atterrà al principio secondo cui in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro risponde dei danni occorsi al lavoratore infortunato nei limiti del cd. danno differenziale che non comprende le componenti del danno biologico coperte dall'assicurazione obbligatoria, sicché, per le fattispecie anteriori all'ambito temporale di applicazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il datore risponde dell'intero danno non patrimoniale, non potendo essere decurtati gli importi percepiti a titolo di rendita INAIL, corrispondenti, nel regime allora vigente, solo al danno patrimoniale legato al pregiudizio alla capacità lavorativa generica (Sez. L, Sentenza n. 4025 del 01/03/2016, Rv. 639165 - 01).
Ne consegue che il ricorso per cassazione proposto da V.L. deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, in considerazione delle norme violate e richiamate con il primo e secondo motivo. Il giudice del rinvio si atterrà ai principi sopra indicati.
Ricorso nell'interesse di G.V. & Figli s.r.l: con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 2049 c.c, ai sensi dell'articolo 360, n. 3 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'articolo 360, n. 5 c.p.c.. La ricorrente ritiene errata la valutazione operata dal giudice di appello che avrebbe trascurato una serie di circostanze di fatto (l'incidente si è verificato al di fuori dell'attività lavorativa, in assenza di incarico, presso l'abitazione di G.V. e non presso l'azienda, al di fuori dell'orario di lavoro e dell'attività tipica della società). Sotto altro profilo appare errata la rilevanza attribuita alla qualificazione giuridica del concetto di infortunio sul lavoro data da R.P. e dalla legale rappresentante della società convenuta.
Con specifico riferimento alla responsabilità di R.P. la Corte avrebbe omesso di considerare che V.L., al momento del fatto, non stava riponendo i blocchi di cemento nella benna.
Con il secondo motivo deduce i medesimi vizi con riferimento agli artt. 2043 e 2087 c.c. In particolare, la Corte avrebbe errato invocando l'applicazione dell'articolo 2049 c.c. poiché tale norma, unitamente all'articolo 2087 c.c, non può disciplinare le ipotesi di evento verificatosi all'esterno del luogo di lavoro e in orario differente. Analoghe considerazioni riguardano l'art. 2043 c.c. non avendo specificato l'oggetto della violazione colposa.
Il terzo motivo lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla abnormità del comportamento del danneggiato il quale, nel soffermarsi con le persone intente alla rimozione delle macerie presso l'abitazione privata di G., in maniera assolutamente imprudente aveva introdotto la mano appoggiandosi alla benna della pala meccanica. Pertanto, il comportamento di V.L. costituiva la causa esclusiva del danno.
I tre primi motivi vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi e fondati su valutazioni fattuali e sono inammissibili per difetto di autosufficienza poiché, con riferimento al primo, la società ricorrente si limita a ribadire quanto evidentemente dedotto davanti ai giudici di merito, senza trascrivere in alcun modo gli elementi sulla base dei quali ricostruire diversamente la dinamica, gli orari, la localizzazione dell'incidente e i ruoli ricoperti dalle parti del giudizio.
Sotto altro profilo i motivi sono inammissibili poiché si chieda la Corte una rivalutazione del materiale probatorio, prospettando una ricostruzione dei fatti più appagante con riferimento ad un'attività di esclusiva competenza del giudee di merito.
Con specifico riferimento al terzo motivo parte ricorrente omette di indicare gli elementi di prova sulla base dei quali la tesi sostenuta dalla Corte territoriale sarebbe censurabile.
Ne consegue che il ricorso proposto dalla srl G.V. & Figli deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione saranno liquidate dal giudice del rinvio, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta e' tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.
Il giudice da' atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso".
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla srl G.V. & Figli, accoglie il ricorso proposto a V.L. ;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 27 ottobre 2017