Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 giugno 2018, n. 16020 - Domanda di risarcimento danni conseguenti ad infortunio sul lavoro. Questioni procedurali


 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO Data pubblicazione: 18/06/2018

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 809/2012, depositata il 19 luglio 2012, la Corte di appello di Genova dichiarava improcedibile il gravame di L.G. avverso la sentenza del Tribunale della Spezia, che ne aveva respinto la domanda di risarcimento danni conseguenti ad infortunio sul lavoro proposta nei confronti della datrice CO-RI di B.R. & C. s.a.s. e di Nora s.p.a., società nel cui deposito egli stava operando al momento del sinistro.
2. La Corte - premesso che entrambe le appellate, costituendosi nel giudizio di secondo grado, avevano eccepito l'improcedibilità dell'appello per mancato rispetto dei termini di cui all'art. 435, commi 2° e 3°, cod. proc. civ. - rilevava come la notificazione del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione della udienza di discussione, pur oggetto di rituale comunicazione a mezzo posta elettronica certificata in data 16/5/2012, fosse stata richiesta soltanto in data 20/6/2012, quando risultava ormai decorso il termine a difesa di venticinque giorni: ciò che fondava, ad avviso della Corte di appello, la disposta pronuncia in rito, alla luce di taluni arresti giurisprudenziali (in particolare di Sez. U n. 20604/2008) e della equiparabilità, tenuto conto della portata del principio di ragionevole durata del processo, della fattispecie di omessa notifica del ricorso e del decreto, presa in considerazione da tale sentenza, e della fattispecie, ricorrente nel caso concreto, di notifica eseguita validamente ma in data tale da comprimere il termine suddetto.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con unico motivo, cui le società hanno resistito con controricorso.
4. Costituitisi gli eredi del ricorrente, la causa, già assegnata ad adunanza camerale, con conclusioni scritte del P.G. e memorie di replica di entrambe le società, è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
 

 

Diritto

 


1. Con l'unico motivo proposto il ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 434 e 435, commi 2° e 3°, cod. proc. civ., con riferimento a quanto previsto dall'art. 136 cod. proc. civ., come modificato dalla l. 12 novembre 2011, n. 183 e dall'art. III Cost., nonché per violazione dell'art. 184 bis cod. proc. civ., con riferimento a quanto previsto dagli artt. 291 e 156, co. 3°, cod. proc. civ.: in particolare, il ricorrente censura la sentenza di appello per avere ritenuto regolarmente effettuata la comunicazione a mezzo posta elettronica certificata del decreto di fissazione dell'udienza di discussione, sul presupposto della diretta e immediata applicabilità della norma di cui all'art. 136, comma 2°, cod. proc. civ., così come sostituito dalla l. n. 183/2011, pur nel difetto della relativa disciplina di attuazione; censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere fatto applicazione del principio di ragionevole durata del processo, senza operarne il necessario contemperamento con l'art. 24 Cost. e senza tenere conto dell'avvenuta notifica, nel caso di specie, della vocatio in ius e della costituzione in giudizio, con effetto sanante, delle società appellate.
2. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
3. La vicenda in esame risulta, infatti, identica a quella decisa da Cass. n. 20335/2016, che, facendo applicazione di quanto ritenuto fin da Sez. U n. 20604/2008, ha accolto il motivo, per il quale l'improcedibilità dell'appello può essere dichiarata unicamente nei casi di inesistenza della notifica e non anche nei casi in cui - come quello esaminato in tale sentenza e come il presente - la notifica sia stata effettuata dall'appellante, sia pure in violazione del termine posto dall'art. 435, comma terzo.
4. In particolare, Cass. n. 20335/2016 ha precisato come la questione fosse già stata oggetto di esame da parte di questa Corte in numerose occasioni: n. 16479/2015; n. 16154/2015; n. 7378/2014; n. 19818/2013; n. 8125/2013; Sez. U n. 9331/1996 (con la correzione apportata da Sez. U n. 20604/2008, per la quale il termine può essere concesso ove la notifica sia nulla ma non quando sia inesistente); ed ha ribadito il principio di diritto ormai consolidato (in tal senso Cass., Sez. VI, n. 10775/2016), a cui questo Collegio ritiene di dover dare continuità, per il quale "nel rito del lavoro l'inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire non è configurabile come vizio di forma e di contenuto dell'atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l'impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell'udienza di comparizione è fissato dalla parte (art. 163 n. 7 cod. proc. civ. e art. 342 cod. proc. civ.), considerato, altresì, che tale giorno è fissato, nel rito del lavoro, dal giudice col suo provvedimento. Pertanto, tale inosservanza non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 cod. proc. civ., costituendo questa norma espressione di un principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili ex tunc, con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall'art. 160 cod. proc. civ., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (art. 156, co. 3°, cod. proc. civ.), ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante".
5. L'impugnata sentenza della Corte di appello di Genova deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla medesima Corte in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.
 

 

P.q.m.
 

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 febbraio 2018.