Cassazione Penale, Sez. 3, 05 luglio 2018, n. 30171 - Misure di sicurezza per i lavori in quota. Mancato pagamento dell'oblazione


 

Presidente: DI NICOLA VITO Relatore: CORBETTA STEFANO Data Udienza: 27/04/2018

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con l'impugnata sentenza, il tribunale di Sulmona condannava L.R. alla pena di euro 1.200 di ammenda, perché ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 159, comma 2, lett. c), in relazione all'art. 136, d.lgs. n. 81 del 2008, perché, nella sua qualità di amministratore unico della "L.R. Impianti Tecnologici srl", nei lavori che si svolgevano in quota, non provvedeva a redigere, a mezzo di personale competente, un piano di montaggio, uso e smontaggio, in funzione della complessità del ponteggio prescelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l'adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista. Accertato il 6 novembre 2013.
2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce errata applicazione degli arti. 44 cod. pen. e 136, comma 1, 159, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 81 del 2008.
Assume il ricorrente che il tribunale avrebbe erroneamente ravvisato la penale responsabilità dell'imputato, nonostante egli si fosse conformato alle prescrizioni dell'organo accertatore, come riferito dal teste M.; invero, secondo la prospettazione difensiva, l'omesso pagamento della sanzione amministrativa si configurerebbe quale condizione estrinseca di punibilità, che, quindi, dovrebbe essere coperta quantomeno dalla colpa dell'agente, che non sarebbe stata accertata dal tribunale.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, in relazione all'art. 131 bis cod. pen. e relativo vizio motivazionale. Deduce il ricorrente che il tribunale non si sarebbe pronunciato in ordine alla sussistenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., come richiesto dalla difesa, pur in via subordinata; invero, la precedente condanna per il medesimo reato non consentirebbe di qualificare il comportamento come abituale.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, a differenza di quanto opinato dal ricorrente, l'art. 24 d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, contempla non già una condizione obiettiva di punibilità, bensì una speciale causa estintiva dei reati contravvenzionali in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, che opera nel caso in cui il pagamento della somma determinata a titolo di oblazione amministrativa avvenga entro il termine perentorio di trenta giorni (Sez. 3, n. 7773 del 05/12/2013 - dep. 19/02/2014, Bongiovanni, Rv. 258852; Sez. F, n. 33598 del 23/08/2012 - dep. 03/09/2012, Tedesco, Rv. 253324; Sez. 3, n. 11265 del 11/02/2010 - dep. 24/03/2010, Freda, Rv. 246460).
Nel caso in esame, è lo stesso ricorrente ad affermare il mancato pagamento dell'oblazione, ciò che preclude in radice l'applicabilità della causa estintiva in esame.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. La speciale causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen. - applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta - è configurabile in presenza di un duplice condizione essendo congiuntamente richieste la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., cui segue, in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell'offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore esclude nel caso in cui l'autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
3.2. Con riferimento alla speciale tenuità dell'offesa, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto che comunque ricorre senza distinzione tra reati di danni e reati di pericolo. E' stato perciò ritenuto che il parametro di riferimento, sul quale calibrare il giudizio sulla particolare tenuità del fatto sia costituito, anche in presenza, come nell'ipotesi delle contravvenzioni in esame, di reati meramente omissivi, in relazione ai quali, attesa la modesta caratterizzazione della fattispecie tipica, non può non assumere valore dirimente l'elemento temporale, ovverosia la protrazione della stessa omissione, dal primo comma dell'art.133 cod. pen., tenendosi pertanto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590).
3.3. Per quanto concerne il requisito della non abitualità della condotta, la causa di esclusione della punibilità non trova applicazione, ai sensi del terzo comma dell'art. 131 bis cod. pen., qualora l'imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016 - dep. 28/06/2016, Grosoli, Rv. 26726201). Ed invero proprio una lettura non superficiale del disposto dell'art. 131 bis, comma 3, cod. pen. non consente di applicare al caso in esame la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, posto che la menzionata disposizione normativa esclude, tra l'altro, di poter riconoscere siffatta causa in favore di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Nulla autorizza a ritenere che, con tale previsione, il legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui l'autore del reato sia gravato da precedenti penali specifici, posto che altrimenti si sarebbe espresso in termini di recidiva specifica, apparendo, invece, logicamente coerente dedurre dalla menzionata disposizione normativa che, quando il soggetto agente abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi, egli non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità, in quanto, in tale evenienza, è la stessa norma a considerare il "fatto", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola, connotato, nella sua dimensione "plurima", da una gravità tale da non potere essere considerato di particolare tenuità. Di ciò si trae conferma dalla relazione illustrativa al d.lgs. 28/2015 la quale, dopo aver premesso che il terzo comma dell'art. 131 bis "descrive soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di 'abitualità', entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità", espressamente rileva, in relazione alla previsione contemplante l'ipotesi che "l'autore abbia commesso reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità", che "non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini 
utilizzati, che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione neN'ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle 'condotte plurime, abituali e reiterate".
3.4. Di conseguenza, va data continuità all'Indirizzo di questa Corte, secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l'imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017 - dep. 11/01/2018, Del Galdo, Rv. 271863: fattispecie di violazioni da parte del datore di lavoro di diverse disposizioni in materia di sicurezza di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 181).
3.5. Nel caso in esame, pur non affrontando espressamente la questione, tuttavia, come già affermato da questa Corte, l'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod. pen. può essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017 - dep. 18/05/2017, Tempera, Rv. 270033; Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016 - dep. 16/11/2016, Scopazzo, Rv. 268499), laddove detti elementi emergano in maniera certa dal provvedimento impugnato.
Orbene, poiché il Tribunale ha negato i benefici di legge in ragione dei precedenti penali, che, come afferma il ricorrente, riguardano una sola condanna per altra violazione in materia di sicurezza sul lavoro, quindi lesiva del medesimo bene giuridico tutelato, si è perciò in presenza della condizione ostativa, relativa alla plurima violazione di norme afferenti a reati della stessa indole.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/04/2018.