Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 luglio 2018, n. 19513 - Infortunio sul lavoro a causa della rottura di un pneumatico dell'auto aziendale


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: BELLE' ROBERTO Data pubblicazione: 23/07/2018

 

Fatto

 


1. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza n. 557/2012, ha confermato la pronuncia di primo grado del Tribunale della stessa sede con cui era stata accolta la domanda di regresso dell'I.N.A.I.L. nei riguardi di Lasa F.Ili Nata s.r.l., per l'infortunio sul lavoro subito dalla dipendente B. a causa dell'improvvisa rottura di un pneumatico dell'auto aziendale.
Al contempo la Corte confermava l'accoglimento della domanda di manleva proposta da Lasa nei riguardi del proprio assicuratore Allianz s.p.a. ed il rigetto invece, per intervenuta decadenza, della domanda di manleva proposta, in via surrogatoria rispetto a Lasa, da Allianz verso la F.Ili Cegion s.n.c., impresa che aveva curato, circa 5 mesi prima dell'evento infortunistico, la sostituzione del pneumatico.
Sulla premessa che le regole UNI prevedessero, come anche il libretto di manutenzione dei pneumatici tubeless, la sostituzione di essi insieme alle relative valvole e che nel caso di specie la rottura era stata dovuta al fatto che queste ultime non erano state invece cambiate, la Corte riteneva che il datore di lavoro, dato anche l'uso aziendale del veicoli, non avrebbe potuto esimersi dal controllare il lavoro eseguito dal gommista da lui incaricato.
Quanto alla manleva, la Corte riteneva che si trattasse di azione contrattuale, che non permetteva l'estensione al terzo della domanda del ricorrente; nel merito, stante il superamento dei termini decadenziali propri della denuncia dei vizi nel contratto d'opera, veniva confermata la reiezione della pretesa di garanzia già pronunciata in primo grado.
Allianz ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, poi illustrati da memoria, mentre Cegion e Lasa F.lli Nata s.r.l. sono rimaste intimate.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo Allianz afferma la violazione art. 2087 c.c,, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'incarico di sostituzione dei pneumatici ad un'impresa specializzata non fosse sufficiente ad esimere il datore di lavoro da responsabilità, risultando incongruo pretendere che un imprenditore possa conoscere le norme UNI, anche tenuto conto che non è neppure visivamente percepibile, dopo la sostituzione dei pneumatici, una valvola nuova rispetto ad una vecchia.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 E' intanto fuor di dubbio che il datore di lavoro non possa addurre a propria discolpa l'ignoranza in merito alla necessità che al momento del cambio del pneumatico tubeless venissero anche cambiate le valvole.
Il datore, pur in tema di misure non dettate espressamente dalla legge o da altra fonte equiparata, deve infatti, ai sensi dell'art. 2087 c.c., "provare l'adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe" (Cass. 2 luglio 2014, n. 15082).
D'altra parte non può dirsi incongruo il fatto che lo standard di sicurezza violata sia stato individuato dalla Corte territoriale in quello contenuto nelle norme UNI del settore, trattandosi di regole tecniche di utilizzazione diffusa e non a caso coincidenti con quanto raccomandato dal manuale del costruttore dei pneumatici.
Deve quindi ritenersi che il corrispondente obbligo di diligenza fosse pretendibile da chi, per ragioni di lavoro, faceva utilizzare ai propri dipendenti autoveicoli muniti di tale tipologia di pneumatici e doveva farsi carico quindi non di una generica manutenzione, ma dell'esecuzione di essa in modo completo, secondo le citate regole tecniche, onde evitare il manifestarsi di rischi.
1.2 La ricorrente sostiene tuttavia che ad adempiere al proprio obbligo sarebbe stato sufficiente l'incarico di sostituzione dei pneumatici impartito all'officina specializzata della Cegion s.n.c. circa cinque mesi prima dell'incidente, mentre erronea sarebbe l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la diligenza esigibile avrebbe riguardato anche la vigilanza sul compimento dell'operazione così commissionata.
L'assunto non può essere condiviso.
Il controllo cui fa riferimento la Corte d'Appello non va inteso, anche a fronte dell'assenza di elementi in ordine ad una culpa in eligendo, come inerente la buona esecuzione del lavoro, inevitabilmente rimessa a chi lo esegua.
Esso, come si evince dal contestuale richiamo al contenuto della norma UNI, che si è visto essere identico a quanto risultante dalle istruzioni del costruttore dei pneumatici, va piuttosto riferito al fatto che il datore doveva dimostrare non solo di avere richiesto all'officina incaricata la sostituzione delle valvole unitamente ai pneumatici (del che, detto incidentalmente, non si ha alcun riscontro) ma anche di avere controllato che entrambe le sostituzioni fossero stata effettivamente eseguite. 
Di tale controllo non si è però parimenti avuto alcun riscontro, neanche sub specie della richiesta di conferme dall'officina, sicché ogni argomento difensivo in proposito non è idoneo a superare le valutazioni della Corte distrettuale.
2. Il secondo ed il terzo motivo attengono invece alla pretesa avanzata, in surroga di Lasa s.r.l., da Allianz, al fine di ottenere, presso l'officina incaricata, il recupero dei costi cagionatisi a carico del datore di lavoro e coperti dall'assicuratore.
2.1 Da un primo punto di vista la ricorrente (secondo motivo) sostiene che erroneamente la decadenza di cui all'art. 2226 c.c. sarebbe stata estesa anche al risarcimento dei danni cagionati a terzi dall'opera o servizio eseguiti in modo non corretto.
La censura è infondata.
La pretesa di Allianz, esercitata in surroga (artt. 1203 n. 3 e 1916 c.c.) rispetto ai diritti del soggetto da essa garantito in via assicurativa, aziona evidentemente il diritto al risarcimento dei danni spettante al committente, ai sensi dell'art. 1668 c.c. (richiamato per il contratto d'opera dall'art. 2226, u.c., c.c.) in aggiunta ai rimedi della riduzione del prezzo o dell'eliminazione a spese dell'esecutore. Nel senso che quanto sborsato da Lasa, mediante Allianz, in favore della lavoratrice, a titolo di danno, costituirebbe a propria volta danno che, in ipotesi, il prestatore d'opera inadempiente avrebbe cagionato al proprio committente e rispetto al quale, quindi, quest'ultimo avrebbe azione di manleva, talora definita come "garanzia impropria".
In proposito vale tuttavia il costante orientamento di questa Corte, nell'interpretazione dell'art. 1668 c.c., espresso soprattutto in ambito di appalto ma con regole che si estendono anche al contratto d'opera, ai sensi dell'art. 2226, u.c., c.c., nel senso che l'attribuzione al committente, oltre all'azione per l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o di riduzione del prezzo, anche di quella per il risarcimento dei danni derivanti dalle difformità o dai vizi, riguardando obblighi comunque riferibili alla garanzia per vizi o difformità dell'opera e destinati ad integrarne il contenuto, ha per effetto che i termini di prescrizione e di decadenza di cui all'art. 1667 c. c. (qui, art. 2226, comma 2, c.c.) "si applicano anche all'azione risarcitoria, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della tutela del committente a conseguire un'opera immune da difformità e vizi con l'interesse dell'appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell'esecuzione della prestazione” (Cass. 30 ottobre 2009, n. 23075; Cass. 22 dicembre 2005, n. 28417).
Interesse alla sollecita definizione che è ancor più presente in ambito di contratto d'opera, ove si consideri che i termini di denuncia (art. 2226, co. 2, c.c.) sono assai più brevi (otto giorni) di quelli dettati (art. 1667, co. 2, c.c.) in tema di appalto (sessanta giorni), sicché l'estensione del principio interpretativo è del tutto giustificata.
2.2 Da altro punto di vista e con ragionamento più complesso, l'assicuratore sostiene che l'azione da esso dispiegata nei confronti del prestatore d'opera (come detto, in surroga dei diritti del suo garantito Lasa s.r.l.) sarebbe stata erroneamente limitata ad una domanda di garanzia contrattuale, avendo essa le caratteristiche proprie dell'azione di regresso, di cui all'art. 2055 c.c.
Nel senso che, prospettata la possibile responsabilità extracontrattuale dell'esecutore dei lavori verso la danneggiata, ne sarebbe derivato un concorso tra la responsabilità contrattuale del datore e quella aquiliana della Cegion, quale prestatore d'opera dal cui colpevole comportamento il terzo aveva subito un danno, da cui l'applicazione della disciplina del regresso.
L'impostazione va astrattamente condivisa, anche sulla base del tenore delle conclusioni dispiegate con l'atto di chiamata, ove, dopo avere sostenuto che la responsabilità per il sinistro fosse della Cegion, si chiede l'accoglimento nei confronti della stessa della domanda di manleva.
D'altra parte sussiste l'interesse a chiamare in causa altri corresponsabili, al fine dell'accertamento dei diritti di regresso (Cass. 21 agosto 2003, n. 12300; Cass. 15 gennaio 2003, n. 490) ed è altresì pacifico che, in caso di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale operi, a favore del danneggiato, il beneficio della solidarietà passiva di cui all'art. 2055 c.c. (tra le molte: Cass. 9 aprile 2014, n. 8372; Cass. 14 luglio 2004, n. 13082).
Non può però ritenersi che, allorquando, rispetto ai danni a terzi, tra i corresponsabili solidali viga una disciplina che esclude la garanzia, possa operare la regola di regresso fondata puramente sulla causalità e sulla colpa di cui all'art. 2055, comma 2, c.c.
Vale infatti il principio, ancor più generale, per cui nei rapporti interni il regresso può riguardare la parte che grava ciascuno dei condebitori (art. 1299, comma 1, c.c.), sicché se la regola negoziale propria di tali rapporti non consenta alcun recupero verso un certo condebitore, non vi è una parte di cui questi debba rispondere e quindi il regresso non può avere corso. 
Non essendo consentito, con tutta evidenza, aggirare, attraverso l'applicazione del regresso di cui all'art. 2055, comma 2, c.c., la disciplina più specifica che sia propria dei rapporti contrattuali tra i condebitori.
3. Il ricorso per cassazione va quindi respinto e le spese restano regolate secondo soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all'I.N.A.I.L. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.