Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 luglio 2018, n. 19633 - Caduta dall'alto e risarcimento danno biologico


 

 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: MAROTTA CATERINA Data pubblicazione: 24/07/2018

 

 

 

Rilevato che:
1.1. con ricorso al Tribunale di Palermo M.B. conveniva in giudizio S.C., titolare dell'omonima impresa edile, per sentirlo condannare al risarcimento del danno biologico derivatogli dall'infortunio sul lavoro occorsogli in data 23/6/2000 allorché era precipitato da un'altezza di circa otto metri da un'apertura nel solaio predisposta per la realizzazione di un vano ascensore all'interno di una palazzina ove stava lavorando come manovale);
1.2. il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il S.C. a corrispondere al ricorrente la somma di euro 116.084,55;
1.3. la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Palermo;
riteneva la Corte territoriale che correttamente il giudice di primo grado avesse valutato solo la domanda di danno biologico, diversa da quella di danno differenziale, non coperta, ratione temporis, dall'assicurazione INAIL;
riteneva, inoltre, che l'aver il lavoratore dichiarato di essere 'inciampato' non sminuiva la responsabilità del datore di lavoro che aveva totalmente omesso la predisposizione delle misure di sicurezza (non essendo stato dimostrato che sarebbe stato il dipendente ad abbandonare sul solaio 'qualcosa' su cui poi il medesimo sarebbe inciampato);
infine considerava corretta la valutazione della lesione all'integrità psico-fisica come accertata dal c.t.u.;
2. avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale S.C. propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi;
3. M.B. resiste con controricorso;
4. il ricorrente ha depositato memoria. 

 


Considerato che:
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del TU n. 1124/1965, dell'art. 68 del d.P.R. n. 164/1956, dell'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000 nonché omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti;
rileva che la Corte territoriale, come già il Tribunale, avrebbero attribuito al M.B. un risarcimento economico senza che questi avesse provato che il risarcimento ulteriore richiesto fosse superiore a quello già riscosso dall'INAIL;
1.2. il motivo è infondato;
la Corte ha ben spiegato perché non vi fosse da fornire alcuna prova di danno differenziale evidenziando che quello liquidato dall'INAIL ex T.U. n. 1124/1965 ratione temporis applicabile era solo il danno collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, essendo il danno biologico fuori da tale liquidazione (come detto intervenuta con riguardo ad un infortunio verificatosi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 38/2000 e dunque dell’estensione della copertura assicurativa obbligatoria dell'INAIL anche al danno biologico) - cfr. Cass. 1° marzo 2016, n. 4025; Cass. 5 maggio 2010, n. 108934 ed ancora Cass. 15 settembre 1995, n. 9761; Cass. 11 giugno 1994, n. 5683;
nell'ipotesi, dunque, di infortunio precedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 38/2000, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale non riguardano quelle componenti del danno che non formano oggetto della copertura assicurativa, quali il danno alla salute, o biologico, ed il danno morale di cui all'art. 2059 cod. civ., l'integrale risarcimento dei quali può sempre essere richiesto autonomamente, e non a titolo di danno differenziale, indipendentemente dall'entità dell'indennizzo assicurativo;
2.1. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del TU n. 1124/1965, dell'art. 68 del d.P.R. n. 164/1956 dell'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, degli artt. 1218, 1227, 1374 e 2087 cod. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti; lamenta l'omessa considerazione del concorso di colpa del lavoratore;
2.2. il motivo non è fondato;
questa Corte ha già affermato (v. Cass. 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. 5 dicembre 2016, n. 24798; Cass. 13 febbraio 2012, n. 1994, Cass. 8 aprile 2002, n. 5024) che in tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere;
in assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto;
nella specie non risulta che fosse stato posto in essere dal lavoratore un comportamento abnorme, inopinabile ed esorbitante risultando a tal fine del tutto irrilevante l'essere il medesimo 'inciampato' nei pressi dell'apertura del solaio, lasciata priva di parapetto e di tavole salvapiede, dalla quale era poi precitato cadendo giù da un'altezza di otto metri;
3.1. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del TU n. 1124/1965, dell'at. 68 del d.P.R. n. 164/1956, dell'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, degli artt. 1218, 1227, 1374 e 2087 cod. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti;
lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che la consulenza tecnica fosse in netto contrasto con gli stessi esiti dell'accertamento dell'INAIL;
il motivo è infondato;
innanzitutto non ha formato oggetto di censura il passaggio motivazionale della sentenza impugnata in cui analogo rilievo sottoposto al giudice di appello è stato ritenuto inammissibile per non aver l'appellante denunciato specifici errori in cui sarebbe in corso il c.t.u.;
in ogni caso, operando l'accertamento dell'INAIL e quello dell'ausiliare del Giudice su un piano diverso (nell'un caso in vista dell'accertamento della riduzione della capacità lavorativa generica, nell'altro caso ai fini della verifica dell'esistenza di una lesione all'integrità psico-fisica, indipendentemente dalle conseguenze sulla capacità lavorativa dell'interessato prodotte dal medesimo evento lesivo), non è idoneamente ipotizzabile alcuna necessaria automatica convergenza dei giudizi resi nei differenti ambiti valutativi;
4.1. con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del DM 12/7/2000, dell'art. 11 preleggi nonché omesso esame di un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti; 
lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto corretta la decisione del Tribunale che aveva ritenuto applicabile l'ius superveniens costituito dal D.M. 12/7/2000;
4.2. il motivo è infondato;
la Corte territoriale ha ritenuto che il Tribunale, nella dichiarata consapevolezza della inapplicabilità diretta, ratione temporis, del D.M. 12 luglio 2000, abbia in modo condivisibile utilizzato i criteri di liquidazione ivi contenuti in via parametrica;
a prescindere dalla questione della correttezza della lettura della sentenza di primo grado sul punto, è evidente che i giudici di appello, con autonoma argomentazione, abbiano ritenuto che il riferimento alle tabelle di cui al D.M. 12 luglio 2000 potesse valere quale criterio parametrico in mancanza di altro, legale, utilizzabile in concreto;
ad avviso della Corte territoriale tale criterio prescelto era idoneo a garantire uniformità di trattamento a fronte di casi analoghi per essere espressivo di una valutazione di lesioni di identica natura con carattere generale;
tale ragionamento non è censurabile;
questa Corte ha, infatti, ritenuto che al fine della liquidazione equitativa del danno biologico lamentato e richiesto nei confronti del datore di lavoro, è ben possibile il ricorso alla misura degli indennizzi fissati nelle tabelle INAIL, elaborate per la liquidazione del danno biologico di origine lavorativa, estesa nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria con riguardo agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di pubblicazione del suddetto decreto ministeriale, e cioè dal 25 luglio 2000, con conseguente corrispondente esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile (v. Cass. 17 luglio 2015, n. 15074; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3048);
l'utilizzo del criterio equitativo non è, peraltro, sindacabile in sede di legittimità se non per l'assenza di congrue, anche se sommarie, ragioni poste a fondamento del processo logico attraverso cui si è pervenuti alla decisione (Cass. 7 marzo 2003, n. 3414; Cass. 3 agosto 1995, n. 8501; Cass., Sez. U, 29 ottobre, 1984, n. 5537);
nella specie la Corte di appello ha sufficientemente chiarito, nei termini sopra riportati, le ragioni per le quali ha ritenuto che le indicate Tabelle costituissero un idoneo ed appropriato parametro di riferimento per la liquidazione del danno biologico;
5. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. va dato atto dell'applicabilità dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 febbraio 2018