Tribunale di Modena Sez. Lav., ud. 17 febbraio 2016 - Infortunio con un tornio. Condotta dolosa del lavoratore che neutralizza il dispositivo di sicurezza: comportamento abnorme


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

TRIBUNALE di MODENA

 

SEZIONE LAVORO
 

 

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luigi Bettini, ha pronunciato la seguente
 

 

SENTENZA
 

 

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. X promossa da: I. M., con il patrocinio dell'avv. P. M. e dell'avv. F. M., elettivamente domiciliato in  MODENA, presso il difensore avv. P. M.; RICORRENTE - contro - T. SPA, con il patrocinio dell'avv. S. G., elettivamente domiciliata in MODENA, presso il difensore avv. S. G.; RESISTENTE
 

 

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da ricorso introduttivo (pagina n. 9) e memoria difensiva di costituzione (pagina n. 16).
 

 

FattoDiritto
 

 

Con ricorso depositato il 17/10/13 M. I. ricorreva al Tribunale di Modena, quale giudice del lavoro, chiedendo che: 1) fosse accertata la esclusiva responsabilità di T. s.p.a. nell'infortunio occorsogli il 17/10/11; 2) fosse altresì condannato la stessa T. s.p.a. al risarcimento dei danni derivati dall'infortunio occorsogli il 17/10/11, mentre stava lavorando presso la società addetto a un tornio quando - avvicinando la mano - la stessa era agganciata dal tornio che non si arrestava cagionandogli le lesioni all'arto. Affermava che: 1) in tal modo la società aveva violato l'art. 41 d.p.r. n. 547/55 poiché il tornio non era fornito di adeguati dispositivi di sicurezza, tanto che non si era arrestato quando si era avvicinato con la mano, e non poteva ritenersi sussistente alcun suo comportamento abnorme, tale da escludere il nesso causale; 2) la violazione dell'art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro lo obbligava a risarcirgli il danno, sia biologico che patrimoniale che morale, che era pari a €. 70.825,99, oltre alla rivalutazione e agli interessi. Da qui l'odierno giudizio. Si costituiva in giudizio T. s.p.a. chiedendo il rigetto di tutte le domande perché infondate in fatto e in diritto. Affermava che: 1) il 17/10/11 il ricorrente stava lavorando al tornio quando avvicinava la mano destra all'albero rotativo e al mandrino, restandovi agganciato; 2) stava lavorando con lo scudo di protezione alzato e per tale motivo la mano era rimasta impigliata; 3) il ricorrente era un lavoratore esperto che ben conosceva il tornio poiché vi lavorava fin dal 1999 e provvedeva personalmente alla sua manutenzione; 4) il tornio si presentava dotato di tutti i dispositivi di sicurezza e il suo funzionamento era regolare, come anche accertato dall'AUSL; 5) la responsabilità di quanto accaduto era da ascriversi esclusivamente alla condotta abnorme del ricorrente che aveva neutralizzato il dispositivo di protezione e avvicinato la mano quando ancora il tornio era in movimento, cercando di arrestarlo manualmente; 6) nessuna responsabilità poteva ravvisarsi in capo alla società e, per tale motivo, nessun risarcimento del danno era dovuto al ricorrente, ulteriore all'indennizzo ottenuto dall'INAIL. La causa era istruita documentalmente e a mezzo delle prove ammesse con l'ordinanza istruttoria dell'1/10/14 ed è stata decisa all'udienza del 17/2/16, all'esito della discussione, mediante lettura del dispositivo, con motivazione riservata. Le domande del ricorrente sono infondate e, come tali, devono essere rigettate. Anzitutto dall'istruttoria è emerso quanto segue. Il teste Z. L. ha dichiarato che: 1) ha soccorso il ricorrente che si trovava a terra tenendosi la mano schiacciata; 2) la protezione del tornio era alzata; 3) un lembo del guanto era a terra e un altro era rimasto incastrato nel tornio; 4) non ha visto il ricorrente lavorare al tornio perché quando è arrivato il ricorrente era già a terra. Il teste V. W. ha dichiarato che: 1) ha soccorso il ricorrente che si trovava a terra tenendosi la mano schiacciata; 2) la protezione del tornio era alzata; il tornio è costruito in modo tale che si arresta alzando la protezione e tuttavia il sistema di arresto può essere manomesso con una chiave che manomette il funzionamento del sensore e impedisce alla macchina di arrestarsi; quando il tornio si arresta non lo fa di scatto ma impiega qualche secondo; 3) non ha visto il ricorrente lavorare al tornio perché quando è arrivato il ricorrente era già a terra. Il teste S. S. ha dichiarato che: 1) il tornio può essere usato a protezione alzata se si scollega manualmente il sensore che provoca il suo arresto quando si alza la protezione; 2) in alternativa può essere svitata l'asta su cui si regge la protezione, così può essere mantenuta in posizione alzata senza che il sensore se ne accorga 3) la funzione della protezione è quella di evitare il contatto fra il lavoratore e il pezzo lavorato; 4) si tratta di una semicalotta che non impedisce in assoluto il contatto, nel senso che può essere infilata una mano sotto di essa ma costituisce comunque una barriera fisica che impedisce il contratto fra il lavoratore e la parte del tornio in movimento. I testimoni hanno confermato una dichiarazione resa il 18/12/11 con cui descrivono il funzionamento del tornio e precisano che al momento del loro intervento il tornio era fermo, il pezzo lavorato finito, pronto per essere rimosso, lo schermo a protezione del mandrino era correttamente posizionato, mentre era stato rimosso quello posto frontalmente alla torretta contro la proiezione dei trucioli e/o del liquido lubrorefrigeranti. Ancora dall'istruttoria è emerso che il ricorrente era un lavoratore esperto, che lavorava su quel tornio da circa dodici anni, che era lui che faceva manutenzione sulla macchina e che l'AUSL che ha effettuato il sopralluogo in seguito all'infortunio non ha rilevato alcuna anomalia nel funzionamento del tornio, ritenendolo munito dei necessari dispositivi di sicurezza. Afferma la società resistente che nessuna responsabilità può esserle imputata poiché, da un lato, il tornio era dotato dei necessari dispositivi di sicurezza, il ricorrente era stato formato al suo utilizzo e anzi era lui a farne la manutenzione, e, dall'altro, era stato lo stesso ricorrente a tenere un comportamento abnorme, rimuovendo la protezione che impediva di venire a contatto con la parte in movimento della macchina, e dunque solo a lui poteva essere addebitata la responsabilità di quanto accaduto. La difesa coglie nel segno. E' consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui ex art. 2087 c.c. al lavoratore, che lamenti di aver subito un danno per infortunio sul lavoro, incombe l'onere di provare l'esistenza del danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi mentre grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. L'art. 2087 c.c. non configura infatti un'ipotesi di responsabilità oggettiva e la responsabilità del datore di lavoro deve essere collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ai fini dell'accertamento della responsabilità incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure di allegare la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, senza che occorra, in mancanza di qualsiasi disposizione in tal senso, anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violate o delle misure non adottate. Quando poi il lavoratore abbia provato quelle circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (da ultimo Cass. civ, sez. lav., n. 16452/13). Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (Cass. civ., sez. lav., n. 21647/14). In materia di tutela dell'integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell'abnormità, dell'imprevedibilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute. Qualora non ricorrano tali caratteri, il datore di lavoro è integralmente responsabile dell'infortunio che sia conseguenza dell'inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell'obbligo di sicurezza integra l'unico fattore causale dell'evento, non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza. L'omissione di cautele da parte del lavoratore non è di per sé idonea a escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del datore di lavoro che non abbia provveduto, pur avendone la possibilità, all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro o non abbia adeguatamente vigilato, anche tramite suoi preposti, sul rispetto della loro osservanza, non essendo né imprevedibile né anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del c.d. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento (ricostruisce così la fattispecie da ultimo, ma l'orientamento è assolutamente costante, Cass. civ., sez. lav., n. 22413/15).

Nel caso di specie deve anzitutto osservarsi che il tornio è risultato dotato dei relativi dispositivi di sicurezza, come emerge dalla relazione del consulente di parte resistente (documento n. 3 di parte resistente) e come anche confermato dall'AUSL (documenti nn. 11 e 12) che, all'esito del sopralluogo, non ha evidenziato alcuna carenza strutturale nella macchina e, soprattutto, nelle parti volte alla protezione del lavoratore. Ciò si deduce dal fatto che nessuna prescrizione amministrativa risulta essere stata impartita alla società e nessun reato risulta essere stato contestato al suo legale rappresentante. A ciò occorre aggiungere che il ricorrente lavorava al tornio da dodici anni e dunque ne conosceva il funzionamento, tanto che effettuava anche la sua manutenzione e, inoltre, aveva anche partecipato a un corso sulla sicurezza destinato ai dipendenti del reparto produttivo, dunque, anche sotto questo profilo non può ritenersi che il ricorrente non fosse stato formato all'uso della macchina e, quindi, non ne conoscesse il funzionamento. Se è vero che quella del datore di lavoro non può configurarsi come responsabilità oggettiva non è emersa alcuna violazione di norme di condotta imposte dalla legge o suggerite dalla conoscenze tecniche che la società datrice di lavoro non avrebbe rispettato. Del resto lo stesso ricorrente nel ricorso introduttivo non ha dedotto alcuna violazione se non quella dell'art. 41 d.p.r. n. 547/55 limitandosi a lamentare il fatto che le macchine, e dunque il tornio cui era addetto, devono prevedere dispositivi di segregazione fisica fra il lavoratore e le parti in movimento della macchina stessa per evitare contatti. E tuttavia dall'istruttoria è emerso che tali dispositivi di segregazione vi erano - lo schermo a protezione del mandrino e quello mobile di fronte alla torretta volto alla proiezione dei trucioli - ma che il secondo era stato rimosso dal lavoratore. È vero che nessuno dei testimoni ha assistito direttamente all'infortunio ma sia il teste Z. che il teste S. hanno concordemente affermato che - arrivati subito dopo l'infortunio a soccorrere il ricorrente - hanno visto che la calotta che proteggeva il tornio era stata rimossa, il che non può che essere stato fatto dal ricorrente che vi stava lavorando, non risultando alcun'altra persona addetta al tornio in quel momento. Del resto lo stesso teste Z. ha riferito di avere trovato un brandello di guanto all'interno del tornio, impigliato nella parte in movimento e un altro per terra, segno del fatto che il ricorrente ha lavorato con il tornio in movimento e la calotta di protezione rimossa come del resto risulta dalle lesioni da lui subite. Questo non può essere messo in dubbio. E tuttavia proprio perché i testimoni hanno entrambi riferito che il dispositivo serve a segregare il lavoratore dalle parti in movimento, tanto che se viene sollevata il tornio si arresta, il ricorrente non può che avere neutralizzato il sistema che arrestava il tornio - in particolare un sensore - nel caso in cui la protezione fosse alzata o, addirittura, rimossa. E in ciò sta l'abnormità della condotta del lavoratore che elide il nesso causale fra la condotta della società datrice di lavoro e il danno. È vero che le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono poste a tutela del lavoratore e, quindi, anche dalla sua condotta negligente, imprudente o imperita, ma è anche vero che nel caso di specie il ricorrente ha volontariamente rimosso la protezione e neutralizzato il sistema di arresto del tornio proprio per poter lavorare senza protezione. Sotto questo profilo non coglie nel segno la difesa del ricorrente secondo cui la rimozione della protezione sarebbe stata fatta dopo essere rimasto impigliato nel tornio per togliere la mano e non prima per lavorare senza di essa, proprio perché, sollevata o rimossa la protezione, il tornio si arresta e, quindi, non avrebbe ancora funzionato a protezione sollevata o rimossa. Se la protezione fosse stata abbassata la mano non sarebbe rimasta impigliata perché la protezione lo avrebbe impedito costituendo una barriera e se la protezione fosse stata -impropriamente - alzata il tornio si sarebbe arrestato, appunto perché non deve funzionare, e non funziona, senza la protezione. Il fatto che la protezione fosse stata rimossa significa che il ricorrente aveva deciso di usare il tornio senza protezione e il fatto che il tornio fosse ancora in funzione, nonostante l'assenza della protezione, significa che il ricorrente aveva neutralizzato il sistema di arresto, proprio per eliminare la protezione e poter lavorare senza di essa. In ciò sta - a parere di chi scrive - l'abnormità della condotta del lavoratore che esclude la responsabilità della società datrice di lavoro. Non si tratta del mancato rispetto da parte del datore di lavoro di norme di sicurezza volte a impedire gli infortuni e a proteggere il lavoratore anche dalla sua imperizia o imprudenza, ma di una condotta abnorme del lavoratore che con un uso vietato della macchina cui era addetto è risuscito a neutralizzare il dispositivo di sicurezza e a lavorare su di essa in sua assenza, senza che il tornio presentasse per il resto alcuna mancanza in relazione ai dispositivi di sicurezza: le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l'ulteriore conseguenza che l'imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento” (Cass. civ., sez. lav., n. 27127/13). Ed è proprio quello che è successo nel caso di specie ove una condotta dolosa del lavoratore è riuscita a neutralizzare il dispositivo di sicurezza e a usare il tornio anche senza la protezione, il che costituisce un comportamento che ha il carattere dell'abnormità e dell'esorbitanza, risultando assolutamente non giustificato rispetto al processo di lavorazione dei pezzi metallici sul tornio. Né la condotta del lavoratore può trovare giustificazione alcuna nella sua inesperienza e nella mancata conoscenza dell'uso della macchina, poiché era stato formato in relazione al suo corretto funzionamento, al tornio lavorava da dodici anni, ed era anche la persona che provvedeva al suo mantenimento. Dunque deve ritenersi che, da un lato, non sia emerso alcune elemento di nocività dell'ambiente lavorativo e che, dall'altro, la condotta del ricorrente sia stata tale da interrompere l'eventuale nesso causale sussistente. È per tutti questi motivi che le domande devono essere rigettate, non potendo ravvisarsi alcuna responsabilità in capo alla società resistente circa l'infortunio subito dal ricorrente. La decisione in tal senso della controversia consente di ritenere assorbite tutte le altre questioni svolte. La particolarità della vicenda trattata costituisce grave ed eccezionale motivo per compensare interamente fra le parti le spese processuali. La pluralità delle questioni trattate ha reso necessario riservare il deposito della motivazione nel termine di sessanta giorni.
 

 

P.Q.M.
 

 

Il Tribunale di Modena, nella persona del giudice del lavoro dott. Luigi Bettini, definitivamente pronunciando nella causa n. 1455/13 promossa da M. I. contro T. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni diversa istanza disattesa e respinta, così provvede: - rigetta tutte le domande; - compensa per intero fra le parti le spese processuali; - fissa il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. Modena, 17/2/16 Il giudice del lavoro