Cassazione Penale, Sez. Fer., 13 agosto 2018, n. 38586 - Rigettata la richiesta di oblazione per il permanere delle conseguenze dannose del reato


 

Presidente: FIDELBO GIORGIO Relatore: SCARCELLA ALESSIO Data Udienza: 09/08/2018

 

 

 

Fatto

 

 

1. Con sentenza 30.11.2017, il Tribunale di Napoli dichiarava il T. colpevole delle violazioni contravvenzionali al T.U. sicurezza (d. Lgs. n. 81 del 2008) contestate ai capi a), b), c) e d) nonché del reato di cui all'art. 4, co. 7, legge n. 628 del 1961, tutti accertati in data 28.02.2014, condannando il medesimo alla pena di 5000.00 di ammenda, ritenuta la continuazione tra gli stessi.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di C.M., Avv. A. OMISSIS, deducendo i seguenti motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all'ordinanza di rigetto della richiesta di oblazione avanzata ai sensi dell'art. 162 bis, c.p.
Premesso che l'imputato in data 27.10.2016 aveva depositato istanza di oblazione documentando di aver ottemperato alle prescrizioni impartite, eliminando le conseguenze dannose e pericolose dei reati, a tal fine producendo il verbale ASL 5.06.2014, il provvedimento di dissequestro dei macchinari disposto dal PM e la relazione tecnica redatta da un perito industriale attestante la totale messa a norma degli ambienti di lavoro, si duole il ricorrente per aver il giudice di merito rigettato all'ud. 26.01.2017 la richiesta di oblazione, ritenendo erroneamente che permanessero le conseguenze dannose del reato, diversamente, si sostiene, l'imputato si sarebbe prontamente adoperato per adeguare gli ambienti di lavoro ottemperando alle prescrizioni impartitegli dalla ASL, con la conseguenza che illegittimo risulta il rigetto dell'istanza ex art. 162 bis, c.p.
2.2. Violazione di legge e vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione dell'art. 131 bis, c.p.
Si censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha omesso di motivare in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della fatto di particolare tenuità, che avrebbe dovuto esser rilevato d'ufficio; premesse le indicazioni normative e giurisprudenziali in ordine al riconoscimento della predetta causa di non punibilità, sostiene il ricorrente che nel caso in esame sussistevano tutte le condizioni, in astratto ed in concreto, per l'applicabilità dell'art. 131 bis, c.p., trattandosi di reati di natura contravvenzionale, e considerato il comportamento successivo del reo che si era adoperato per l'adeguamento di tutti gli ambienti di lavoro.
2.3. Violazione di legge e vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al combinato disposto degli artt. 132 e 133, c.p., in relazione al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Si sostiene che il giudice non avrebbe motivato in ordine alle specifiche ragioni che lo avevano indotto a negare il riconoscimento delle invocate attenuanti, senza quindi graduare ed adeguare la pena al fatto concreto; il giudice si sarebbe infatti limitato ad affermare che non si rinvengono elementi suscettibili per riconoscere all'imputato le attenuanti in esame, senza quindi considerare una serie di fattori attenuanti (il riferimento è alla personalità dell'Imputato ed al sua carica rivestita in seno alla società di cui è legale rappresentante; alla incensuratezza dell'imputato; al comportamento assunto dopo i fatti, avendo adeguato i locali ed i macchinari; alla valutazione positiva delle condizioni familiari, sociali ed economiche del medesimo).
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è inammissibile.
4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Ed infatti, la sentenza da atto che all'ud. 18.11.2016 era stata comunicata la presentazione dell'istanza di oblazione dell'imputato e che era stato pertanto disposto il rinvio all'ud. 26.01.2017 al fine di acquisire il parere del PM e per l'acquisizione di informazioni alla ASL in ordine all'Intervenuta cessazione delle conseguenze pericolose e dannose dei reati ascritti; a tale udienza, dato atto del parere contrario del PM e delle indicazioni fornite dall'ASL, il giudice aveva dunque rigettato l'istanza per non esser venute meno le conseguenze dannose e /o pericolose dei reati ascritti.
Le censure difensive svolte in sede di ricorso non hanno pregio. Da un lato, per l'esistenza del parere contrario del PM all'accoglimento dell'istanza di oblazione, atteso che la domanda di oblazione può sì essere accolta nonostante il parere contrario del P.M., prevedendo l'art. 141 D.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 che il P.M. esprima il suo parere, e non già che presti il consenso, con l'obbligo però per il giudice, in caso di parere del PM contrario all'accoglimento della domanda, di indicare le ragioni per le quali ritiene non fondato tale parere, avendo tuttavia chiarito la giurisprudenza di questa Corte che, presupponendo ciò che il parere contrario del P.M. sia sorretto dall'esposizione dei motivi a sostegno, qualora costui si limiti ad opporsi all'oblazione, è impedita al giudice la possibilità di una motivazione contraria (Sez. 4, n. 4708 del 08/03/1993 Ud. - dep. 11/05/1993, P.M. in proc. Capitani, Rv. 194161).
Dall'altro, e soprattutto, in quanto la valutazione, espressa dal giudice di merito nella ordinanza di reiezione della domanda, è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata, come avvenuto nel caso di specie (Sez. 1, n. 12261 del 04/07/1986 Ud. - dep. 04/11/1986, Di Leo, Rv. 174197), atteso che la verifica della permanenza delle conseguenze dannose/pericolose dei reati inibisce la possibilità di procedere ad oblazione ai sensi dell'art. 162 bis cod. pen. (Sez. 3, n. 390 del 28/11/1995 - dep. 15/01/1996, PM in proc. Tombolesi ed altro, Rv. 203713). Che, infine, difettasse l'intervenuta cessazione delle predette conseguenze è provato dallo stesso provvedimento di confisca di alcune delle attrezzature sequestrate in quanto mai messe in sicurezza né rotta ma te.
5. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Ed invero, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis, c.p.
Premesso che una richiesta in tal senso non risulta essere stata avanzata dalla difesa al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (risulta, infatti, che la difesa avesse avanzato solo richiesta assolutoria per insussistenza del fatto, in subordine instando per le attenuanti generiche, il contenimento della pena nei minimi edittali e dei benefici di legge), non gravando peraltro sul giudice di merito, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017 Ud. - dep. 21/04/2017, Celentano, Rv. 269913), si osserva come, da un lato, non rilevi l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla applicabilità dell'art. 131 bis, c.p. circa la deducibilità o meno per la prima volta in cassazione della questione nei casi in cui tale disposizione fosse già in vigore alla data della deliberazione della sentenza (nella specie, di merito), atteso che, secondo la giurisprudenza più recente, cui questo Collegio ritiene di dover dare continuità, quand'anche si ritenesse che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131- bis cod. pen., nel giudizio di legittimità, possa essere ritenuta, senza rinvio del processo nella sede di merito, sarebbe pur sempre necessario che il ricorso fosse ammissibile ed a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine (Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017 Ud. - dep. 05/06/2017, Menegotti, Rv. 270271).
E, nel caso di specie, la quantità e la qualità delle omissioni alle normativa prevenzionistica accertate in sede di sopralluogo da parte dell'organo di vigilanza, che avevano condotto anche al sequestro dell'ambiente di lavoro e dei macchinari (tra cui, in particolare, la non conformità dell'Impianto elettrico e la mancanza dell'impianto di messa a terra; la mancanza di impianti, presidi ed attrezzature antincendio nonché l'utilizzo di quelli esistenti nonostante con revisione scaduta, l'aver messo a disposizione dei dipendenti macchinari non conformi e mancanti addirittura del collaudo di verifica di adeguamento), rendono evidente come non si fosse in presenza di un fatto particolarmente tenue, con conseguente esclusione in radice della possibilità di riconoscere la speciale causa di non punibilità invocata.
6. Manifestamente infondato, infine, è il terzo motivo, con cui il ricorrente si duole del rigetto del primo giudice della richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Sul punto, il giudice di merito motiva il diniego evidenziando l'assenza di elementi suscettibili di essere valorizzati ai fini della concessione delle predette attenuanti, pervenendo a tale conclusione dopo una rigorosa ricostruzione della vicenda che denotava, utilizzando le stesse parole del giudice nella parte in cui aveva riconosciuto l'esistenza della continuazione pur a fronte di reati contravvenzionali, una "gestione dell'attività produttiva deliberatamente improntata all'inosservanza della normativa in materia di sicurezza ed igiene del lavoro", dunque sostanzialmente esprimendo un giudizio ancorato al parametro di cui all'art. 133, co. 1, n. 3, c.p..
Deve, peraltro, essere qui ribadito che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata1, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 - dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419). 
7. Infine, quanto alla censura relativa al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena (genericamente richiesto in sede di conclusioni da parte della difesa cumulativamente al beneficio di cui all'art. 175, c.p.), premesso che l'istanza di concessione della sospensione condizionale della pena può essere rigettata con motivazione implicita (Sez. 4, n. 13548 del 28/06/1977 - dep. 24/10/1977, De Montis, Rv. 137200), la stessa si appalesa comunque manifestamente infondata in quanto, a fronte di una richiesta generica di riconoscimento del beneficio - non avendo precisato l'allora imputato le ragioni fondanti la sua richiesta di applicazione del beneficio medesimo -, la censura proposta in sede di legittimità di mancanza della motivazione non merita accoglimento, soprattutto perché meramente enunciata in ricorso e comunque fondata su una pretesa modesta gravità del fatto (in realtà esclusa dal primo giudice per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per la negativa personalità del reo, anche successiva al reato, come desumibile dal fatto che la regolarizzazione e la messa a norma, peraltro parziale, degli ambienti di lavoro e dei macchinari, era avvenuta soltanto a seguito della nomina del nuovo amministratore della società nel febbraio 2014 e dopo la revoca dalla carica di amministratore disposta dal giudice istruttore del tribunale delle imprese di Napoli).
8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
9. Segue, infine, la condanna alle spese dell'azione civile nel presente grado, liquidate in misura media in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonché a versare in favore delle parti civili, T. Francesco e T. Riccardo, le spese sostenute nel presente grado, che liquida in complessivi euro 4.200,00 oltre spese generali al 15%, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9 agosto 2018