Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 settembre 2018, n. 21903 - Infortunio sul lavoro, indennità temporanea e ricaduta


 

Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 07/09/2018

 

 

 

Fatto

 


1. A.F., premesso di aver subito un infortunio sul lavoro in data 23 dicembre 2005, per il quale l'INAIL gli aveva riconosciuto un'indennità temporanea dal 27 dicembre 2005 al primo febbraio 2006, e successivamente una ricaduta dal 21 al 23 marzo 2006 senza postumi permanenti, contestando detta valutazione agiva per il riconoscimento di un ulteriore periodo di ricaduta dal 20 marzo 2006 al 12 giugno 2006, previa detrazione del periodo già pagato dall'INAIL dal 21 al 23 marzo 2006, oltre al riconoscimento del danno biologico in misura non inferiore al 7 per cento.
2. Il Tribunale di Livorno dichiarava, quanto all'Indennità per inabilità temporanea, il diritto del ricorrente alla percezione nella misura già riconosciuta dall'INAIL e, quanto ai postumi permanenti, dichiarava che l'A.F. aveva riportato un danno biologico pari al quattro per cento.
3. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 20 novembre 2012, ha accolto l'appello proposto dall'INAIL e, per l'effetto, ha rigettato le domande svolte da A.F..
4. La Corte di merito riteneva, quanto al danno biologico, erronea la sentenza di primo grado che, accertato il danno biologico nella misura (quattro per cento) inferiore al minimo indennizzabile, aveva condannato l'INAIL a corrisponderlo benché, in sede di ricorso, il lavoratore non avesse dedotto il previo riconoscimento di altro infortunio comportante un grado di inabilità utile al raggiungimento del 6 per cento, esclusa la possibilità di accertare con sentenza, un mero fatto (il danno biologico nella misura non indennizzabile alla stregua di un consolidato principio giurisprudenziale, applicabile anche nel vigore del decreto legislativo n. 38 del 2000.
5. Quanto alla inabilità temporanea, riconosciuto dall'INAIL il relativo periodo di 37 giorni (dal 27 dicembre 2005 al 1° febbraio 2006) ed una ricaduta dal 21 al 23 marzo 2006, il periodo richiesto dall'assicurato a titolo di ricaduta (dal 24 marzo al 12 giugno 2006) non poteva ritenersi tale, posto che l'ausiliare officiato in giudizio aveva evidenziato che, nel predetto periodo, l'assicurato aveva prestato attività lavorativa e che, comunque, non vi era stata inabilità assoluta ma un mero riacutizzarsi del disagio originariamente causato dall'infortunio ma non tale da impedire un proficuo impegno lavorativo, rimarcando, la Corte di merito, l'esclusione sia per aver lavorato sia per la constatata assenza di un'assoluta inabilità lavorativa.
6. Avverso tale sentenza ricorre A.F., con ricorso affidato a due motivi, al quale resiste, con controricorso, l'INAIL.
 

 

Diritto

 


7. Con il primo motivo, articolato in due censure, deducendo violazione dell'art. 68 d.P.R. n.1124 del 1965, nel primo profilo, e omesso esame di un fatto decisivo, quale la valutazione della questione posta circa la compatibilità tra il dettato dell'art. 68 del testo unico citato e la concomitante ripresa dell'attività lavorativa in caso di mancato riconoscimento del periodo di malattia, da parte dell'INAIL, in sede amministrativa, e denuncia di error in procedendo, ex art. 360, n.5 cod.proc.civ.
8. Assume il ricorrente che, contrariamente a quanto riportato dalla Corte di merito, l'ausiliare officiato in giudizio ha argomentato l'esclusione del periodo di inabilità assoluta sul solo presupposto che ebbe a riprendere il lavoro, con ciò venendo meno l'impedimento totale e di fatto, e nel non avere considerato il trattamento terapeutico al quale, nel medesimo periodo, si era dovuto sottoporre e se tale trattamento comportasse o meno un giudizio di inabilità al lavoro.
9. Le censure si appalesano inammissili perché non si conformano al canone di autosufficienza, richiamando atti e documenti di causa non allegati al ricorso per cassazione e dei quali neanche si indica la sede processuale, delle pregresse fasi di merito, in cui risulterebbero prodotti.
10. Risulta così non adeguatamente dedotto il mezzo di censura per omesso esame di un fatto decisivo, posto che la Corte di merito ha rimarcato, diversamente da quanto assume il ricorrente, sia l'avvenuta ripresa dell'attività lavorativa sia l'assenza di un'assoluta inabilità lavorativa.
11. Con il secondo motivo, deducendo violazione dell'art. 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000 per avere la Corte di merito escluso l'ammissibilità di una pronuncia di accertamento di un danno biologico inferiore al limite indennizzabile del 6 per cento, il ricorrente assume che deve riconoscersi la sussistenza dell'interesse all'accertamento del grado di invalidità, per quanto allo stato non indennizzabile, alla luce del disposto dell'art. 13, quinto comma, del citato decreto legislativo n. 38, nella specie per un preesistente riconoscimento di invalidità in ragione del 3 per cento, con interesse, pertanto, al riconoscimento dei postumi derivanti dall'infortunio del 23 dicembre 2005.
12. Vale, al riguardo, ricordare il consolidato principio di legittimità secondo cui, in tema di infortuni e malattie professionali è inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l'azione diretta ad accertare il nesso di causalità tra infortunio e prestazione di lavoro, senza che sia residuata un'inabilità permanente indennizzabile, atteso che il processo può essere utilizzato solo a tutela di diritti sostanziali e deve concludersi (salvo casi eccezionali) con il raggiungimento dell'effetto giuridico tipico, cioè con l'affermazione o la negazione del diritto dedotto in giudizio, onde i fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé e per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare, dovendosi rilevare che la natura lavorativa dell'infortunio, o l'eziologia professionale della malattia, non costituisce una questione pregiudiziale alla prestazione economica, come tale suscettibile, a norma dell'art. 34 cod. proc. civ., di accertamento incidentale con efficacia di giudicato separatamente dall'esame della domanda principale, essendo invece uno degli elementi costitutivi del diritto medesimo (v., ex multis, Cass. 8 settembre 2015, n. 17803 e la giurisprudenza ivi richiamata).
13. Quanto, infine, al precedente infortunio, dal quale sarebbe derivato un grado invalidante del 3 per cento (come si assume nel ricorso per cassazione) la Corte di merito ha invero rilevato che l'infortunato nulla ha detto, sul punto, nel ricorso introduttivo del giudizio con la conseguenza che non solo presenta profili di novità, in sede di legittimità, la questione, come tale inammissibile, ma neanche il ricorrente ha censurato, specificamente, la statuizione della Corte nei termini detti.
14. Non si provvede alla regolazione delle spese sussistendo le condizioni previste dall'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, per l'esonero dal pagamento.
15. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1 -quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13,comma 1-quater, d.P.R.115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art.13,comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2018