Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 settembre 2018, n. 22690 - Infortunio sul lavoro e lesione del bene ad una normale vita di relazione. Contratto di assicurazione


 

 

 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: MARCHESE GABRIELLA Data pubblicazione: 25/09/2018

 

Fatto

 


La Corte di appello di Trieste, con sentenza nr. 496 del 2013, in accoglimento del gravame proposto da L.T., coniuge di R.M., dipendente della I.C.M. -Industria Cornici Maron S.p.A. (di seguito, per brevità I.C.M.)-, condannava quest'ultima al pagamento di euro 100.000,00, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, patito quale conseguenza dell'Infortunio sul lavoro occorso al coniuge, oltre interessi compensativi al tasso legale dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo; rigettava, invece, la domanda di manleva proposta dalla I.C.M. nei confronti di Milano Assicurazioni S.p.A.
Per quanto rileva in questa sede, la Corte distrettuale osservava che la prima compiuta diagnosi di lesioni irreversibili era formulata nella relazione peritale del 4.6.2001, sicché era tempestiva, ai fini dell'interruzione del termine di prescrizione, la domanda di risarcimento del 21.3.2005 ( ricevuta il 22.3.2005); rilevava, inoltre, che la domanda di risarcimento del danno morale ed esistenziale proposta dalla attrice era da interpretare come riferita a pregiudizi, in senso ampio, di natura non patrimoniale, diversi dalla mera sofferenza interiore, quale appunto la lesione del diritto ad avere normali rapporti di coppia; detto pregiudizio, sussistente nel caso di specie, in ragione dell'età dei coniugi ( rispettivamente di 34 e di 31 anni), della mancanza di figli, della dedizione della moglie al marito per gli anni di infermità, della durata del matrimonio, andava liquidato in via equitativa, alla stregua dei parametri fissati dalle Tabelle di Milano e tenuto conto anche della somma già liquidata in favore dell'infortunato.
La Corte di appello, infine, giudicava infondata la domanda di manleva proposta dalla I.C.M. nei confronti della Milano Assicurazioni S.p.A., in quanto il danno da risarcire era estraneo all'oggetto della polizza assicurativa.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso, illustrato con memoria, la I.C.M., affidato a quattro motivi. 
Hanno resistito, con controricorso, L.T., che ha depositato anche memoria ex art. 378 cod.proc.dv., e Milano Assicurazioni S.p.A.
Nelle more del giudizio, è stata depositata procura speciale della UnipolSai Assicurazioni S.p.a. (già denominata Fondiaria-Sai S.p.a., quale incorporante di Unipol Assicurazioni S.p.a., Milano Assicurazioni S.p.a. e Premafin Finanziaria S.p.a.) all'avv. C.S..
 

 

Diritto

 


Con il primo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod. proc. civ.- è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2946, 2043 e 2059 cod. civ.
Parte ricorrente censura la statuizione in merito all'accertamento del momento di conoscenza, da parte dell'attrice, del danno irreversibile alla salute del marito; secondo la I.C.M., detto momento risalirebbe al 1998, in ragione delle deduzioni contenute nell'atto di citazione ed avuto riguardo alle certificazioni mediche dalla parte prodotte.
Il motivo è infondato.
Il giudizio in ordine al momento di conoscenza del danno è un giudizio che attiene ad un fatto ed è riservato al giudice di merito; come tale è censurabile solo quale vizio di motivazione; tuttavia, la censura, seppure diversamente qualificata, non configura l'ipotesi del nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. che, giova ribadire, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass, sez. un., nr. 19881 del 2014; Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014 ).
Corretta, in diritto, è, invece, l'affermazione contenuta in sentenza che ancora la decorrenza della prescrizione al momento di conoscenza del danno; il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione risarcitoria va fissato al momento in cui il danneggiato ha avuto la reale e concreta percezione dell'esistenza e della gravità del danno stesso, nonché della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero al momento in cui sarebbe stato in grado di pervenire a siffatta percezione usando la normale diligenza ( cfr. Cass. nr. 4899 del 2016; Cass. nr. 18352 del 2013; Cass. nr 13616 del 2011).
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
Con il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod. proc.civ. - è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 cod. civ. nonché degli artt. 2697 e 2729 cod.civ. nonché - ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. - l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Parte ricorrente censura l'affermazione di sussistenza del danno alla vita sessuale e di coppia e, comunque, la sua determinazione; assume che la Corte di merito non avrebbe indagato sulla vita familiare e si duole che i giudici di merito non abbiano ammesso la prova richiesta per dimostrare che non vi era stato, a seguito dell'infortunio, cambiamento nelle abitudini di vita.
Con il terzo motivo è dedotta - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.
- la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 cod.civ. nonché
- ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. - l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La critica investe la quantificazione concreta del danno ed i criteri a tale fine utilizzati.
I due motivi, per profili di connessione, vanno congiuntamente trattati e respinti. 
Le argomentazioni illustrate si limitano a criticare, sotto vari profili, la valutazione compiuta dalla Corte d'Appello in merito all'accertamento del danno ed alla sua determinazione, con doglianze intrise di circostanze fattuali, mediante continui rinvìi ad aspetti rientranti nel vizio di motivazione e, tuttavia, non prospettati nei termini di cui alla nuova formulazione dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.
E' il caso di precisare che le doglianze non investono l'affermazione, in via astratta, di un danno non patrimoniale suscettibile di risarcimento in relazione alla violazione di diritti inviolabili della persona, quale quello alla vita sessuale e di coppia, quanto piuttosto l'accertamento, in concreto, di un tale pregiudizio e le modalità con cui è stato liquidato.
Osserva il Collegio che la Corte di appello ha argomentato in ordine alla natura del danno e ne ha affermato l'effettività in ragione della giovane età dei coniugi, dell'assenza di figli, della durata del matrimonio, della abnegazione totale della moglie al marito infortunato.
Trattasi di giudizi di fatto, sottratti al sindacato di questa Corte, in quanto non adeguatamente censurati.
Sotto il profilo della violazione di legge, deve osservarsi che è insindacabile l'esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (cfr., da ultimo, Cass. nr. 24070 del 2017). Nella specie, la Corte territoriale ha dato ampiamente conto del procedimento logico attraverso il quale è giunta alla determinazione del quantum, innanzitutto fissandone i limiti: ha affermato di dover contenere l'importo in una somma inferiore a quella riconosciuta alla vittima dell'infortunio ovvero dovuta in caso di perdita parentale; ha quindi liquidato una somma pari a circa il 50% di quanto previsto dalle Tabelle di Milano in caso di morte del congiunto e pari a circa i 2/3 di quanto, per la medesima lesione, era stato riconosciuto all'infortunato.
La motivazione è, dunque, immune dalle censure sollevate .
Con il quarto motivo - ai sensi dell'alt. 360 nr. 3 cod.proc.civ. - è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1370 cod.civ.
Il motivo è complessivamente infondato.
La Corte d'appello, in sede di interpretazione del contratto di assicurazione, ha circoscritto il rischio assicurato ai casi di danni cagionati a terzi per morte, lesioni personali e danneggiamenti a cose e lo ha escluso nel caso di specie.
Ha basato tale affermazione sulla seguente previsione della Polizza RCT (Responsabilità Civile verso Terzi), sottoscritta dalle parti: «la società [assicurativa] si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile [...] a titolo di risarcimento [...] per danni involontariamente cagionati a terzi per morte, lesioni personali e danneggiamenti a cose [...]».
Le conclusioni della Corte di appello corrispondono ad un'esegesi del testo contrattuale rispettosa dei canoni normativi di interpretazione.
La clausola della polizza individua nella morte, nelle lesioni personali ( queste ultime nel significato espresso dall'art. 582 cod. pen. di «malattia nel corpo o nella mente» e dunque di danno biologico), nel danneggiamento a cose i titoli specifici della responsabilità assicurata nei confronti dei terzi.
Consegue, pertanto, coerente la ritenuta esclusione, avendo i giudici di merito accertato la lesione del bene ad una normale vita di relazione, nell'aspetto concernente in particolare i rapporti sessuali e di coppia, diversa ed indipendente dal verificarsi di una lesione alla persona medicalmente accertabile.
Le ulteriori questioni, prospettate con richiamo ad altre clausole del contratto di assicurazione, attengono a profili non specificamente affrontati in sentenza e restano, pertanto, preclusi in questa sede, presupponendo accertamenti non compiuti dal giudice del merito. Parte ricorrente ha allegato genericamente di avere sollevato la relativa questione nella memoria di costituzione in sede di appello senza tuttavia trascriverne le parti rilevanti, così violando la prescrizione di specificità dei motivi di ricorso ex articolo 366 nr. 6 cod. proc.civ. 
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00, in favore di L.T., ed in € 4.000,00, in favore della società assicuratrice, oltre, per ciascuna, euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del del* 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'alt. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2018.