• Infortunio sul Lavoro
  • Datore di Lavoro
  • Dispositivo di Protezione Individuale
  • Delega di Funzione


Responsabilità dell'amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione della società che eseguiva un lavoro di manutenzione in uno stabilimento industriale, per non aver dotato il lavoratore infortunato di cintura di sicurezza - Sussiste.

Ricorre in Cassazione - Respinto.

Per quanto concerne la delega di funzione, la Corte afferma che "Il documento prodotto costituisce una mera copia fotostatica priva di certezza sulla data; se tale documento fosse esistito all'epoca dei fatti certamente sarebbe stato esibito agli ispettori della ASL.
A ciò la Corte aggiunge che l'appellante continua a non spiegare i motivi che impedirono di esibire la delega agli ispettori che contestavano una serie di irregolarità nell'organizzazione del lavoro.
Tali valutazioni appaiono immuni da vizi logici e rispondono implicitamente alla richiesta d'integrazione probatoria".

Ancora: "l'elemento determinante dell'infortunio fu la mancanza di un idoneo dispositivo anticaduta costituito da una cintura di sicurezza con bretelle e d'organo di ancoraggio.
Tale imbragatura avrebbe dovuto essere legata ad una trave o ad un palo ed essere munita di un sistema di frenata e di blocco.
Per contro è emerso che nel cantiere nessuno usava l'attrezzatura di sicurezza che non era disponibile a pie d'opera; e nessuno nè il datore di lavoro nel capo cantiere nè alcun altro avevano mai impartito disposizioni in tal senso."

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giusepp - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) C.D. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 10/11/2003 CORTE APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BLAIOTTA ROCCO MARCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FattoDiritto

1. Il Tribunale di Cagliari ha affermato la responsabilità di C.D. in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen.; e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.
La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Cagliari.
L'imputazione attiene ad un infortunio sul lavoro.
I giudici hanno ricostruito il fatto nei seguenti termini.
Erano in corso lavori di manutenzione in uno stabilimento industriale, consistenti nel sollevamento di pesanti tubi da quota 7 metri a quota 13 metri.
A tal fine, sul piano di lavoro posto all'altezza di 7 metri e pavimentato con un assito in legno erano state praticate alcune aperture destinate al passaggio dei tubi durante il sollevamento.
Dopo il passaggio di ogni tubo le aperture venivano subito coperte mediante il ripristino dell'assito.
A tale compito era addetto il lavoratore O.I. il quale improvvisamente precipitò a terra insieme ad un asse che probabilmente stava collocando.
All'imputato, nella veste di amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione della società che eseguiva il lavoro viene mosso l'addebito colposo di non aver dotato il lavoratore di una cintura di sicurezza.

2. Ricorre per cassazione l'imputato tramite il difensore deducendo quattro motivi.

2.1 Con il primo si prospetta che erroneamente e con motivazione carente la Corte d'appello ha ponderato la deduzione afferente al concorso di colpa della vittima.
In particolare il lavoratore aveva acquisito esperienze nell'incombenza in questione ed aveva l'obbligo di fissare solidamente e convenientemente il tavolone che stava manovrando.
In tal caso esso non si sarebbe spostato e non si sarebbe quindi determinata la tragica caduta al suolo.

2.2 Con il secondo motivo si prospetta mancanza di motivazione in ordine al diniego della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento al fine di verificare effettività ed autenticità della delega in data 15 gennaio 1998.
La Corte d'appello ha omesso ogni indagine ma non ha spiegato le ragioni della scelta.

2.3 Con il terzo motivo si lamenta contraddittorietà e mancanza della motivazione in ordine alla idoneità della cintura di sicurezza o di una imbragatura ad evitare l'evento.
Infatti i testi escussi hanno riferito che tali attrezzature non avrebbero evitato ma solo frenato la caduta.
D'altra parte, la Corte d'appello ha messo in dubbio la disponibilità delle attrezzature da parte dei dipendenti, così ponendosi in contrasto con la ricostruzione compiuta dalla prima sentenza anche sulla scorta delle dichiarazioni dei colleghi di lavoro della vittima in ordine alla presenza dei presidi antinfortunistici.

2.4 Con il quarto motivo si prospetta che la Corte d'appello ha omesso di considerare che la vittima, attraverso la sistemazione dei tavoloni di tamponamenti stava approntando, secondo le istruzioni ricevute, proprio la misure antinfortunistiche la cui mancata adozione viene erroneamente contestata all'imputato.

3 Il ricorso è infondato.

3.1 Quanto al primo motivo la Corte d'appello rileva che dalle prove non emerge nulla che possa indurre a ritenere che la vittima precipitò al suolo a causa di una sua condotta distratta o imprudente.
Si considera ancora che se colpa, sia pure minima della lavoratore vi fosse stata, gli imputati non avrebbero avuto l'interesse di nascondere la verità coprendo lestamente l'apertura col tavoloni mancanti ed affermando falsamente che al momento della disgrazia l'apertura era stata coperta ed il lavoratore era caduto mentre transitando sta transitando su uno degli assi da lui collocato scorrettamente.
Tale ponderazione si sottrae con tutta evidenza alle indicate censure, essendosi in presenza di argomentazione fondata sulle emergenze probatorie ed alla quale il ricorrente, in fin dei conti, non oppone alcuna concreta verificabile obiezione.

3.2 Per ciò che attiene al tema della delega occorre considerare che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello costituisce eventualità di carattere eccezionale, in virtù del principio di presunzione di completezza dell'indagine dibattimentale di primo grado.
Essa può aver luogo a seguito di richiesta di parte o per iniziativa officiosa del giudice.
In ambedue i casi, comunque, essa può compiersi solo quando si sia in presenza di una situazione di indecidibilità del caso da parte del giudice.
E' questi, dunque, che dispone l'integrazione per far fronte ad un'insuperabile esigenza conoscitiva, come ad esempio risolvere un dubbio, acquisire un elemento di prova mancante, sottoporre a risolutivo vaglio critico un'ipotesi fattuale.
A fronte di tale configurazione dell'istituto, non può ritenersi l'esistenza di un diritto alla prova delle parti.
Tuttavia, non si può neppure trascurare che il codice prevede espressamente la possibilità che sia la parte a richiedere l'integrazione probatoria.
In tale situazione, come costantemente ritenuto da questa Corte, non può mancare, in caso di rigetto della richiesta, un atto motivato che corrisponda in qualche guisa alla sollecitazione ricevuta.
Tuttavia tale motivazione risente della particolare situazione appena descritta.
Essa, poichè deve in fin dei conti solo spiegare che non esiste una situazione d'indecidibilità, può essere anche implicita (come ripetutamente ritenuto da questa Corte (da ultimo Cass. 16 maggio 2000, Callegari), desumendosi dalla sua stessa struttura argomentativa che mostra l'esistenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili.
Orbene, nel caso in esame, l'argomentazione rende evidente che l'approfondimento richiesto è stato ritenuto del tutto inutile.
Infatti la pronunzia d'appello sintetizza le valutazioni del primo giudice condividendole: il documento prodotto costituisce una mera copia fotostatica priva di certezza sulla data; se tale documento fosse esistito all'epoca dei fatti certamente sarebbe stato esibito agli ispettori della ASL.
A ciò la Corte aggiunge che l'appellante continua a non spiegare i motivi che impedirono di esibire la delega agli ispettori che contestavano una serie di irregolarità nell'organizzazione del lavoro.
Tali valutazioni appaiono immuni da vizi logici e rispondono implicitamente alla richiesta d'integrazione probatoria.
 
3.3 Quanto al tema della idoneità della cintura di sicurezza la pronunzia analizza diffusamente la questione, richiamando le dichiarazioni degli ispettori del lavoro secondo le quali l'elemento determinante dell'infortunio fu la mancanza di un idoneo dispositivo anticaduta costituito da una cintura di sicurezza con bretelle e d'organo di ancoraggio.
Tale imbragatura avrebbe dovuto essere legata ad una trave o ad un palo ed essere munita di un sistema di frenata e di blocco.
Per contro è emerso che nel cantiere nessuno usava l'attrezzatura di sicurezza che non era disponibile a pie d'opera; e nessuno nè il datore di lavoro nel capo cantiere nè alcun altro avevano mai impartito disposizioni in tal senso.
Pure tale valutazione appare fondata su concrete acquisizioni probatorie ed immune da censure sul piano logico.
D'altra parte neppure il ricorrente spiega perchè una imbragatura saldamente ancorata e munita di un sistema di blocco non avrebbe potuto evitare la caduta al suolo del lavoratore.
Dunque neppure tale motivo è fondato.

3.4 L'ultima questione è inconferente poichè l'unico profilo di colpa ritenuto dalla Corte d'appello attiene alla mancata predisposizione del dispositivo anticaduta di cui si è detto prima.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato.
Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2009