Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 ottobre 2018, n. 24742 - Caduta della lavoratrice scivolata nella carpetta di plastica trasparente in ufficio. Si può parlare di inadempimento datoriale?


 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 08/10/2018

 

 

 

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza del 1° febbraio 2008 il giudice del lavoro di Bologna rigettava la domanda proposta da B.D'A. nei confronti della sua datrice di lavoro ASSICOOP Sicura S.p.a., volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di infortunio sul lavoro verificatosi il 22 dicembre del 2000, compensando peraltro integralmente le spese di lite. La sentenza veniva appellata dalla lavoratrice, la quale con un motivo sostanzialmente unico censurava la gravata pronuncia sia in punto a ricostruzione dei fatti, sia laddove era stata comunque esclusa ogni responsabilità di parte datoriale ai sensi dell'articolo 2049 del codice civile.
La Corte d'Appello di Bologna con sentenza n. 784 in data 8 novembre - 31 dicembre 2012 rigettava sia il gravame principale, sia quello incidentale, proposto dalla società limitatamente alla compensazione delle spese di causa il riguardo alla liquidazione delle somme riconosciute al c.t.u. nominato in primo grado, dichiarando quindi compensate tra le parti anche le spese relative al secondo grado del giudice. La Corte distrettuale, pur giudicando rispondente al vero la dinamica dell'accaduto allegata dall'attrice (il fatto di essere scivolata su di una carpetta di plastica trasparente, che provocava la caduta a terra, con conseguenti lesioni da trauma) perciò non condividendo quanto opinato in proposito dal primo giudicante, tuttavia non riteneva la sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 2087 c.c., siccome non provati dalla B.D'A., di modo che non poteva operare l'onere probatorio a carico di parte datoriale ai sensi degli articoli 1218 e 2087 c.c.. Non era stato dimostrato il fatto costituente inadempimento datoriale, non risultando provata la nocività dell'ambiente di lavoro, sicché non era nemmeno provato che l'evento dannoso fosse ascrivibile a colpa del datore di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza. "Più specificamente non si ravvisa alcuna prova del fatto che costituisce l'asserito inadempimento del datore ... Il che significa che non sussistono le condizioni di operatività dell'obbligo di sicurezza come sopra individuato sotto il profilo di una in dimostrata esigibilità di una diversa specifica condotta protettiva del datore di lavoro. Inoltre, non sussistevano gli estremi di cui all'articolo 2049 c.c..
Avverso l'anzidetta decisione ha proposto ricorso per cassazione B.D'A. con atto del 23 maggio 2013 affidato a due motivi (1. violazione e falsa applicazione ex articolo 360 n. tre c.p.c. dell'articolo 2087 c.c., poiché in effetti l'onere probatorio si assumeva erroneamente posto a carico della lavoratrice; violazione e falsa applicazione dell'articolo 2049 c.c. ex cit. art. 360 n. 3), cui ha resistito ASSICOOP SICURA S.p.a. mediante controricorso del 27 giugno - 1° luglio 2013.
La sola ricorrente ha depositato memoria illustrativa (il Pubblico Ministero in sede non risulta aver depositato requisitoria).
 

 

 

 

Considerato
che trattasi di infortunio sul lavoro per il quale la lavoratrice ha rivendicato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale relativo alle lesioni personali nell'occorso riportate, connesse al fatto di essere caduta in ufficio mentre lavorava, scivolando su di una carpetta di plastica trasparente portadocumenti, infortunio sul lavoro peraltro riconosciuto anche dall'INAIL, sicché l'attrice aveva domandato di risarcimento dell'ulteriore danno biologico; che pur risultando verosimile la dinamica dell'accaduto in base alla versione fornita dalla diretta interessata, secondo la Corte di merito, non risultavano provati i presupposti della dedotta responsabilità ex art. 2049 c.c. (comportamento illecito posto in essere da un dipendente della società convenuta, neppure identificato, che avrebbe lasciato cadere a terra la carpetta trasparente, senza poi raccoglierla, determinando così la pericolosità di una insidia del genere), nemmeno in base ad elementi presuntivi, di guisa che veniva condivisa pure la sentenza di primo grado sul punto, secondo cui mancava la prova che la presenza della cartella sul pavimento fosse ricollegabile al fatto illecito di un dipendente di cui il datore di lavoro debba rispondere ai sensi dell'art. 2049 c.c. e non ad esempio ad un fatto accidentale ovvero ad una negligenza della stessa infortunata;
che in tal senso va senz'altro disatteso il secondo motivo di ricorso, relativo alla pretesa violazione del citato art. 2049, avuto riguardo al motivato ragionevole convincimento espresso dai giudici di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, anche perché immune da errori di diritto, in proposito dovendosi ricordare che la responsabilità oggettiva, c.d. indiretta, derivante dal citato art. 2049, dei preponenti verso terzi presuppone, ad ogni modo, la compiuta dimostrazione del fatto illecito contemplato dalla norma in tema di responsabilità extracontrattuale (con relativo onere probatorio a carico di parte attrice, secondo la regola generale ex art. 2697, co. I, c.c., solo una volta soddisfatta opera la previsione di cui all'art. 2049, con conseguente impossibilità di fornire prova liberatoria), tra cui perciò la sicura ascrivibilità del fatto a dipendenti o preposti, nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti, nonché il rapporto, evidentemente di natura contrattuale, tra questi ultimi ed il soggetto, cui la disposizione di legge addebita la responsabilità;
che quanto, poi, al primo motivo, va ricordato come la responsabilità contrattuale, ex art. 2087 c.c., non sia di natura oggettiva, sicché il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell'attività lavorativa non determina di per sé l'addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l'altro, della nocività dell'ambiente di lavoro, nella specie mancata (cfr., tra le altre, Cass. lav. n. 2038 del 29/01/2013: l'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi dì comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. L'ambito dell'art. 2087 cod. civ. riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. In senso analogo v. altresì Cass. lav. n. 3786 del 17/02/2009. V. pure Cass. lav. n. 13956 del 03/08/2012, secondo cui la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudare, sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica dei lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico);
che la Corte bolognese si è attenuta agli anzidetti principi di diritto, osservando in particolare che il gravame andava respinto, in quanto la pur articolata difesa della lavoratrice non aveva fornito la prova della nocività dell'ambiente (nella specie locali di ufficio) in cui ella operava ed in nesso di causalità tra detta nocività (non dimostrata) ed il danno sofferto. Più specificamente, non ravvisava alcuna prova del fatto costituente l'asserito inadempimento datoriale, non sussistendo le condizioni di operatività dell'obbligo di sicurezza, sotto il profilo di una indimostrata esigibilità di una diversa specifica condotta protettiva. In particolare, non era dato comprendere quale misura organizzativa -pure intesa nell'ampio significato sopra ricordato- poteva e doveva adottare la società convenuta per evitare l'infortunio in cui rimase coinvolta la lavoratrice (rilevava, altresì, la Corte distrettuale che la B.D'A. non era inciampata su una sconnessione tra mattonelle e un buco per consunzione del pavimento, essendo gli ambienti di lavoro perfettamente applicabili in base ai parametri applicabili al pavimento per uffici come poteva desumersi dalla documentazione fotografica prodotta in causa è non contestata da parte ricorrente. Né tra l'altro rilevavano nella specie di norme antinfortunistiche, concernenti le aperture del suolo e delle pareti o lo spazio destinato lavoratore, trattandosi di circostanze del tutto dissimili a quella dedotto in causa. Quanto alla circostanza riferita dall'appellante, secondo cui vi erano carpette accatastate su di un ripiano più basso dell'armadio al quale la stessa si sarebbe avvicinata prima di scivolare, collocate alla rinfusa e disordinatamente, secondo la Corte territoriale si trattava di circostanza fattuale, che tuttavia non poteva essere presa in considerazione, in quanto del tutto nuova, poiché mai allegata nel ricorso introduttivo e perciò inammissibile) ;
che, pertanto, alla stregua di quanto accertato ed apprezzato in punto di fatto dalla Corte di merito, insindacabilmente quindi in questa sede, peraltro non incorrendo in alcun errore di diritto, non sussistono le violazioni di legge denunciate dalla ricorrente, la cui impugnazione va di conseguenza disattesa, con la condanna inoltre della stessa, poiché soccombente, alle relative spese, sussistendo altresì i presupposti di cui all'art. 13, co, 1 quater, d.P.R. n. 115/02 per il versamento dell'ulteriore contributo unificato;
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore della controricorrente in euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali ed in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, ì.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.