Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 ottobre 2018, n. 24741 - Infortunio della neo assunta con la macchina impastatrice. Nesso causale


 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 08/10/2018

 

 

 

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

 

 

Fatto

 

 

 

La Corte di Appello di PERUGIA con sentenza n. 67 in data 27 febbraio / cinque giugno 2013, rigettava il gravame interposto da R.F. avverso la pronuncia emessa dal locale giudice del lavoro, che aveva respinto la domanda della stessa appellante, volta ad ottenere il risarcimento di danni, segnatamente di natura non patrimoniale, in ordine all'infortunio sul lavoro occorsole il 19 aprile 2000, allorché lavorava alle dipendenze della sas LA TAVERNA di B.C. (dalla quale era stata assunta il 18-04-2000), infortunio verificatosi mentre l'attrice era addetta alla macchina impastatrice, rimanendovi impigliata con l'avambraccio sinistro, con conseguenti gravi lesioni, poiché la macchina invece di fermarsi nel suo funzionamento, bloccandosi, vi aveva proseguito. In sintesi, secondo la Corte perugina, richiamato l'art. 2087 c.c., che non comportava una responsabilità oggettiva a carico di parte datoriale, non era stato provato il nesso di causalità tra la denunciata omissione di cautele ed il sinistro verificatosi ("... Nel caso di specie l'appellante -che aveva sollevato il coperchio dell'Impastatrice, alla quale stava lavorando, era rimasta ferita ad un avambraccio dagli organi meccanici della macchina, il cui movimento, ossia il funzionamento della stessa, non si era arrestato, nonostante il sollevamento del coperchio- avrebbe dovuto dedurre e dimostrare, da un lato in che modo la datrice di lavoro non avesse adempiuto all'obbligo di sicurezza, e dall'altro il nesso causale tra l'inadempimento così individuato ed il danno ... Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, si era limitata ad una generica contestazione circa "l'omessa osservanza da parte del datore di lavoro delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare le norme di cui al d.P.R. 27 aprile 1955 numero 547, nonché nelle inosservanza di tutte quelle misure che, ai sensi dell'articolo 2087 c.c., l'imprenditore è tenuto ad adottare a tutela dell'integrità fisica del lavoratore", precisando peraltro che non sarebbero stati nemmeno osservati gli obblighi di formazione e di informazione. È evidente che solo su questa seconda questione l'onere deduttivo è stato assolto; ciò però non è avvenuto del tutto, le allegazioni della lavoratrice non avendo riguardato il rapporto causale tra l'asserita carenza di formazione e l'infortunio. A questi vuoti deduttivi si sono aggiunti quelli probatori, non essendo noto se l'impastatrice in discorso rispettasse o meno la normativa antinfortunistica, come la competente Usl ha dovuto constatare, in ragione del tempo intercorso tra le indagini ed il fatto. D'altra parte, il manuale tecnico, prodotto unitamente al ricorso introduttivo di primo grado e uguale a quello acquisito nella fase di indagini dalla Usl, riguarda una macchina dotata dei prescritti meccanismi di sicurezza. Né può ovviamente essere dato alcun peso alle affermazioni della lavoratrice circa la diversità tra la macchina sulla quale stava lavorando al momento del fatto e quella descritta nel predetto manuale ... Infine le testimonianze acquisite non hanno chiarito quali siano state le effettive circostanze dell'evento infortunistico, al quale non hanno assistito testimoni. In definitiva, processualmente ignote per larga parte le modalità dell'accaduto, processualmente ignoto se la macchina impastatrice rispondesse o meno ai requisiti di sicurezza, non è dato sapere se la datrice di lavoro abbia o non abbia adempiuto ai propri obblighi di sicurezza. Poiché l'onere probatorio gravava in proposito sulla lavoratrice, la mancanza di prova circa la nocività dell'ambiente di lavoro non poteva condurre il primo giudice se non al rigetto delle domande della ricorrente. La gravata sentenza deve essere, pertanto, confermata. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado").
Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione R.F., come atto notificato il 21 novembre 2013 e affidato a tre motivi, cui hanno resistito la convenuta s.a.s. LA TAVERNA di B.C. & C., in persona dello stesso quale socio accomandatario, mediante controricorso del 31 dicembre 2013.
Non risultano depositate né requisitoria del Pubblico Ministero, né memorie illustrative dalle parti.
 

 

Considerato
che i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue:
1° violazione e o falsa applicazione degli articoli 2087, 1218 e 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 numero tre c.p.c., comunque per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (il sinistro di cui è causa risulta pacificamente provato in relazione all'espletamento della prestazione di lavoro, così come parimenti risulta dimostrato il conseguente danno biologico, di modo che la prova liberatoria incombeva alla convenuta parte datoriale);
2° violazione e falsa applicazione degli articoli 2087, 1218 e 2697 del codice civile nonché 4, 97 e 72 d.P.R. 27 aprile 1955 numero 547, in relazione all'articolo 360 n. 3 c.p.c. e comunque omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (il mancato funzionamento del dispositivo di sicurezza dimostrava in senso positivo il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro, ovvero la mancata dotazione delle apparecchiature messe a disposizione del lavoratore di quei dispositivi atti a proteggere la sua persona da infortuni o in ogni caso la mancata verifica della funzionalità di tali macchinari e o dispositivi di sicurezza o ancora la mancata produzione, nel caso specifico, di ogni altra necessaria misura, tecnica e o conoscitiva, volta a tutelare l'integrità fisica dell'operatore. Il succitato articolo 97 espone in particolare che le macchine impastatrici devono essere munite di coperchio, nonché provviste di dispositivo di blocco di cui all'articolo 72, stabilendo altresì che quando per ragioni tecnologiche non sia possibile applicare le protezioni e i dispositivi di cui ai commi precedenti si devono adottare altre idonee misure per eliminare o ridurre il pericolo. A sua volta in particolare all'articolo 72 stabilisce di apparecchi di protezione amovibili degli organi lavoratori devono essere provvisti di un dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e di movimento della macchina che impedisca di rimuovere o di aprire il riparo quando la macchina è in moto, o provochi l'arresto della stessa all'atto della rimozione o dell'apertura del reparto, non consenta l'avviamento della macchina se il riparo non è nella posizione di chiusura), essendosi verificato un infortunio è assolutamente conseguenziale che le misure prescritte non sono state osservate così come secondo la particolarità del lavoro l'esperienza e la tecnica non è dato stato osservato nessun altro accorgimento volta a tutelare l'integrità fisica del lavoratore;
3° violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 1218 c.c., nonché degli articoli 21,22, 35 e 37 del decreto legislativo 19 settembre 1994 numero 626 e dell'articolo 2629 del codice civile e comunque per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, risultando illegittima l'impugnata sentenza laddove aveva affermato che essa ricorrente non avrebbe fornito la prova circa il fatto che le conclamate omissioni in materia di sicurezza avrebbero in qualche modo contribuito a causare l'infortunio, avuto riguardo comunque all'obbligo di formazione del dipendente da parte del datore di lavoro, sicché l'omissione di un tale obbligo evidentemente nello specifico ha contribuito in modo determinante nella verificazione del sinistro. Esisteva comunque un ineludibile obbligo per il datore di lavoro di vigilare sul corretto utilizzo della macchina, obbligo questo tra l'altro particolarmente significativo nel caso in esame, trattandosi di una neo assunta, atteso che in particolare il citato articolo quattro impone al datore di lavoro di disporre e di esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza e usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione. Dunque, la Corte distrettuale non ha tenuto nella minima considerazione del fatto che comunque la datrice di lavoro doveva effettuare una costante di vigilanza sulla lavoratrice, impedendo che vi fosse un eventuale utilizzo non appropriato della macchina, avendo quindi omesso di esaminare tale fatto assolutamente decisivo per il giudizio. Rilevava altresì la circostanza che l'infortunio si verificò il giorno dopo l'assunzione, sicché il dovere di controllo da parte datoriale doveva assumere un contenuto particolarmente pregnante, tanto più che essa ricorrente non aveva avuto altre esperienze lavorative analoghe a quella cui fu addetta presso l'azienda della convenuta. Né, d'altro canto, il datore di lavoro aveva posto rimedio le proprie inadempienze premurandosi di eseguire o fare eseguire sulla macchina impastatrice ivi in uso già da tempo i controlli e le revisioni nonché le verifiche periodiche prescritte, tanto più che l'esibito manuale di manutenzione imponeva espressamente di verificare la regolare funzionamento del micro interruttore dell'interblocco del riparo infortunistico nonché della testata per i modelli a testa ribaltabile, operazione che la resistente non aveva dimostrato di aver eseguito, né direttamente, né tramite ditte specializzate e nonostante fosse una macchina in uso da parecchio tempo. Risultava pertanto evidente sotto ogni profilo la illegittimità della decisione impugnata in ordine al sinistro in questione, essendosi lo stesso verificato pacificamente per il fatto che la macchina non aveva interrotto il proprio funzionamento, come invece avrebbe dovuto, a seguito della sua apertura-, che le anzidette doglianze, tra loro evidentemente connesse e perciò esaminabili congiuntamente, appaiono fondate nei seguenti termini, laddove del resto parte ricorrente non ha mancato di censurare, nel complesso dei motivi addotti a sostegno dell'impugnazione, anche quanto opinato dalla Corte distrettuale in tema di rapporto di causalità, secondo la normativa generale e speciali vigente in materia, con conseguenti obblighi, giuridicamente vincolanti a carico di parte datoriale e come tali incidenti pure sul nesso eziologico tra condotta e relativi effetti dannosi (pur essendo tali censure contenute anche in motivi di più ampia portata, rubricati pure ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., per orientamento ormai consolidato -a partire da Cass. sez. un. civ. 24 luglio 2013, n. 17931, poi confermato tra le altre da Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036 e Cass. 7 novembre 2017, n. 26310- l'erronea intitolazione non è causa di inammissibilità qualora dall'articolazione argomentativa siano chiaramente individuabili i tipi di vizio denunciato, come è nel caso di specie, nei termini della denuncia di errori di diritto ex art. 360 n. 3 dello stesso codice di rito);
che, invero, il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del c.d. rischio elettivo, da intendere come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata (cfr. inoltre Cass. lav. n. 27127 del 04/12/2013, secondo cui in materia di tutela dell'Integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell'abnormità, dell'imprevedibilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne consegue che, qualora non ricorrano detti caratteri della condotta del lavoratore, l'imprenditore è integralmente responsabile dell'infortunio che sia conseguenza dell'inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell'obbliqo di sicurezza integra l'unico fattore causale dell'evento non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza. Parimenti, v. Cass. lav. n. 4656 del 25/02/2011, secondo cui le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere. In senso analogo cfr. altresì Cass. lav. n. 22818 del 28/10/2009, n. 19494 del 10/09/2009, nonché n. 9689 del 23/04/2009 ed altre. V., similmente, pure Cass. lav. n. 20533 del 13/10/2015, secondo cui, in ipotesi di infortunio sul lavoro, non è qualificabile come abnorme il comportamento del lavoratore che intervenga, nell'esecuzione delle ordinarie mansioni assegnate, su un macchinario per effettuare una riparazione, qualora ciò sia dettato da una necessità, non solo possibile, ma anche probabile del procedimento lavorativo, posto che l'obbligo datoriale di proteggere l'incolumità del dipendente, nonostante l'imprudenza e la negligenza dello stesso, comprende anche la vigilanza circa l'effettivo rispetto delle misure di protezione predisposte. Nello stesso senso cfr. ancora Cass. lav. n. 798 del 13/01/2017, secondo cui in tema di infortuni sul lavoro e di c.d. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto);
che in tema di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., posto che, ai fini del superamento della presunzione di cui all'art. 1218 c.c., grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver rispettato le norme specificamente stabilite in relazione all'attività svolta, e di aver adottato tutte le misure che, in considerazione della peculiarità dell'attività e tenuto conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza, il vizio strutturale del macchinario, quale fatto liberatorio, non può prescindere dalla prova circostanziata, da parte del datore di lavoro, dell'assolvimento dei suddetti obblighi di protezione specifici (Cass. lav. n. 14468 del 09/06/2017, che quindi ha cassato l'impugnata sentenza di merito, la quale aveva ritenuto imprevedibile l'infortunio del lavoratore, operaio esperto, in ragione del recente intervento di manutenzione del macchinario - trapano a colonna - e della presenza sullo stesso della marchiatura di conformità CE, Circostanze rilevate dagli ispettori della Asl. In senso analogo, v. pure la sentenza di questa Corte n. 6377 del 19/04/2003, secondo cui, tra l'altro, l'eventuale colpa del lavoratore non è in sé idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell'imprenditore, sul quale grava l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ed il concorso o la cooperazione colposa del lavoratore nella causazione del danno non eliminano la responsabilità del datore di lavoro, ma ne riducono soltanto la quantificazione in misura proporzionale. Nel caso di specie, esaminato da detta pronuncia, un lavoratore aveva subito un infortunio tentando di ripulire i rulli di una macchina impastatrice, in uso da quello stesso giorno, mentre la macchina era in moto. Di conseguenza, veniva cassata la sentenza di merito, che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro, non essendosi adeguatamente indagato, né dato conto di ciò in motivazione, circa l'avvenuta osservanza da parte del datore di lavoro delle normative di sicurezza, che prevedono specifici obblighi di informazione verso i lavoratori, nonché in merito alla rilevanza causale della mancata apposizione sulla macchina di una apposita griglia di protezione, posta in opera dal giorno successivo all'incidente, e sul determinismo causale del comportamento colposo del lavoratore nella provocazione dell'infortunio, da solo o in concorso con la condotta colposa del datore di lavoro. V. ancora Cass. n. 7772 del 07/08/1998, secondo cui gli obblighi dell'imprenditore in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non si esauriscono nell'apprestamento delle attrezzature necessarie a detto scopo, ma si estendono alla costante vigilanza volta a prevenire e, in ogni caso, a far tempestivamente cessare eventuali manomissioni da parte dei dipendenti. Veniva, quindi, confermata la sentenza di merito laddove era stata affermata la responsabilità datoriale in conseguenza dell'accertata violazione dell'art. 115 del d.P.R. n. 547 del 1955, desunta dalla circostanza che la macchina cui era addetto il lavoratore, assunto con contratto di formazione e lavoro, ancorché munita di doppio pulsante, era tuttavia difettosa nel dispositivo di sicurezza poiché uno dei due pulsanti era stato bloccato da nastro isolante.
Cass. lav. n. 2930 del 14/02/2005, inoltre, ha evidenziato, in particolare, come la responsabilità ex art. 2087 c.c. possa escludersi solo allorquando il rischio sia stato generato da una attività che non abbia alcun rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa o che esorbiti del tutto dai limiti di essa, mentre l'eventuale colpa del lavoratore non è idonea ad escludere il nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità dell'imprenditore, sul quale grava l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente, a tal fine, che le cautele assunte dall'imprenditore garantiscano che ogni singolo apparecchio addetto alla produzione sia rispondente ai dettati antinfortunistici ed essendo invece necessario che ad ogni parte del complessivo sistema antinfortunistico approntato nell'azienda sia preposto un soggetto di indubbia professionalità e con specifiche conoscenze di quel sistema. Conformi, tra le altre, Cass. n. 6154 del 20/03/2006, n. 4980 - 08/03/2006.
Cfr., peraltro, anche Cass. III civ. n. 2189 del 06/05/1978, secondo cui l'art 2050 c.c., nel porre a carico di chi esercita un'attività pericolosa la presunzione di responsabilità per i danni cagionati "nello svolgimento" della medesima, ha riguardo al fatto obiettivo della derivazione causale del danno dall'esercizio dell'attività pericolosa, onde tale presunzione sussiste non soltanto per gli eventi dannosi che siano conseguenza diretta di un comportamento positivo, ma anche per quelli che derivino dall'omissione di una condotta dovuta, come nel caso di mancata adozione di misure di sicurezza nel funzionamento di una macchina -nella specie impastatrice per panificazione-, in quanto anche in questo caso il danno trae origine dallo svolgimento dell'attività pericolosa); che, peraltro, in materia di obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. gravano sul datore di lavoro precisi obblighi di informazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione, insuscettibili di essere assolti mediante indicazioni generiche, in quanto in tal modo la misura precauzionale non risulta adottata dal datore di lavoro, ma l'individuazione dei suoi contenuti è inammissibilmente demandata al lavoratore; né l'obbligo di controllo può ritenersi esaurito nell'accertamento della prassi seguita in azienda, esigendosi, viceversa, una verifica riferita ai singoli lavoratori, attraverso specifici preposti e con riferimento ad ogni fase lavorativa rischiosa (così Cass. lav. n. 20051 del 06/10/2016. V. altresì Cass. n. 944 del 24/01/2012: in tema di obbligo di sicurezza sui luoghi di lavoro, l'accertato rispetto delle norme antinfortunistiche di cui agli artt. 47 e 48 del d.P.R. 19 settembre 1994, n. 626 e dell'allegato VI a tale decreto non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell’evento, con particolare riguardo all'assetto organizzativo del lavoro. Ciò vale in particolare soprattutto per i compiti dell'apprendista, relativamente alle istruzioni impartitegli, all'informazione e formazione sui rischi nelle lavorazioni, atteggiandosi detto dovere in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, nei cui confronti la legge pone precisi obblighi di formazione e addestramento, tra i quali primeggia l'educazione alla sicurezza del lavoro a norma dell'art. 11 legge 19 gennaio 1955, n. 11. In senso analogo Cass. lav. n. 11622 del 18/05/2007);
che, poi, in particolare, quanto al nesso eziologico tra l'accaduto di cui è causa ed i conseguenti danni lamentati dalla attrice ricorrente, segnatamente quelli di natura non patrimoniale come il danno biologico, va rilevato come debba tenersi conto anche della causalità giuridica derivante dalla legislazione in materia (normativa antinfortunistica specifica ed in generale dagli obblighi imposti alla parte datoriale scaturenti dall'articolo 2087 c.c., il tutto alla stregua della succitata giurisprudenza), nonché dalle pacifiche risultanze fattuali emergenti dagli atti, laddove la stessa sentenza de qua riconosce come il sinistro si sia verificato mentre la R.F. era addetta alla lavorazione utilizzando la macchina impastatrice, nella quale rimase coinvolto il proprio avambraccio sinistro, che tuttavia proseguì nel suo funzionamento, non operando dunque il blocco automatico del quale asseritamente la stessa era dotata (cfr. sul punto Cass. III civ. n. 20328 del 20/09/2006: in tema di responsabilità civile, poiché l’omissione di un certo comportamento, rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica, purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dall’ordinamento -come, in campo penale, per i reati omissivi propri-, ovvero, in relazione ai configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento in funzione dell’impedimento di quell’evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L’individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l’omissione del comportamento sul piano causale. Tale giudizio, peraltro, non ha attinenza con quello sull’attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull’elemento soggettivo dell’illecito, che postula la tenuta del comportamento omissivo con dolo o colpa e, dunque, il relativo concreto accertamento, e che si colloca, pertanto, su un piano diverso e successivo a quello dell’accertamento del nesso di causalità, presupponendo quest'ultimo. In senso analogo, id. n. 12401 del 21/05/2013. Cfr. altresì Cass. n. 10285 del 5/5/2009: in tema di responsabilità civile, poiché l'omissione di una condotta rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che implichi l'esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell'evento, una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell'obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l’evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva, ai fini dell'esonero dalla responsabilità, che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell'esistenza del pericolo);
che in materia, inoltre, rileva la natura contrattuale della responsabilità derivante dalla violazione di normativa antinfortunistica e dell'art. 2087 c.c. in generale, di modo che, acclarata l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato in occasione del quale si verifica l'accadimento dannoso (non dipeso da comportamento abnorme del lavoratore, né dal c.d. rischio elettivo da costui procuratosi) ed accertato il rapporto di causalità tra la condotta, omissiva e/o positiva, di parte datoriale, ed il pregiudizio verificatosi, secondo le comuni regole in materia (non escluse quelle dettate dagli artt. 40 e 41 c.p.), ma pure alla stregua di quanto richiesto dalla vigente legislazione in materia, la conseguente prova liberatoria, ex art. 1218 c.c., nei sensi indicati dalla giurisprudenza sopra richiamata, va fornita da parte dello stesso datore di lavoro (cfr. in part. Cass. lav. n. 10441 - 08/05/2007, secondo cui la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 cod. civ. ha natura contrattuale e, pertanto, applicandosi l'art. 1218 cod. civ., una volta provato l'inadempimento consistente nell'inesatta esecuzione della prestazione di sicurezza nonché la correlazione fra tale inadempimento ed il danno, la prova che tutto era stato approntato ai fini dell'osservanza del precetto del suddetto art. 2087 cod. civ. e che gli esiti dannosi erano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile deve essere fornita dal datore di lavoro. Cfr. pure Cass. lav. n. 4479 del 9 febbraio - 21 marzo 2012, laddove in motivazione si evidenziava come parte attrice, lungi dal non prospettare alcun concreto pregiudizio, avesse puntualmente allegato la lesione dì diritti fondamentali della persona a contenuto non patrimoniale, suscettibili di prova anche a mezzo di presunzioni semplici e di ristoro anche in via equitativa, ribandendo quindi l'insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui, sebbene il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale non possa prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del danno medesimo, ben può, tuttavia, la sua dimostrazione in giudizio essere fornita con tutti i mezzi offerti dall'ordinamento, assumendo, peraltro, precipuo rilievo la prova
per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti, la cui isolata considerazione si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico, si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire all'esistenza del danno, facendosi ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali di comune esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. Più in generale, già la legislazione del lavoro -art. 2087 c.c.-, inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettibili di valutazione economica -quali l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore-, aveva aperto la via al risarcimento dei danni non patrimoniali e che la Costituzione ha rafforzato tale tutela, elevandoli a diritti inviolabili della persona, come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, "che si risolvono nelle compromissioni delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa". Dunque, veniva riconosciuto ampio rilievo alla prova per presunzioni, alla luce dalla complessiva valutazione di precisi elementi in tal senso significativi, la cui frammentaria o atomistica considerazione si risolverebbe in una carenza del procedimento logico e valutativo seguito dal giudice di merito.
Quanto, poi, al nesso di causalità, va richiamata in particolare la sentenza n. 576 in data 11/01/2008, pronunciata dalle Sezioni unite civili di questa Corte, circa le regole dettate, anche in tema di responsabilità civile, dagli artt. 40 e 41 cod. pen., di guisa che un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'Interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio". Principio, quindi, più recentemente richiamato dal Cass. lav. n. 47 del 03/01/2017, precisandosi inoltre al riguardo che lo standard di c.d. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla c.d. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la c.d. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma, e, nel contempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto. V. analogamente Cass. III civ. n. 16123 - 08/07/2010);
che pertanto, avuto riguardo alle anzidette argomentazioni svolte dalla Corte perugina con la sentenza qui impugnata, le affermazioni ivi contenute appaiono in buona parte contrastanti con i succitati principi di diritto, elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, sicché la decisione de qua, va annullata con rinvio (ex artt. 384 e 385 c.p.c.), perché in sede di merito, compiuti gli ulteriori pertinenti e conseguenti accertamenti del caso, la definizione della controversia risulti conforme ai principi medesimi, risultando in particolare senz'altro errata l'affermazione secondo cui la lavoratrice (infortunatasi nell'occorso, mentre era addetta all'impastatrice, che proseguiva nel suo funzionamento, senza arrestarsi, nonostante il sollevamento del coperchio ed il successivo ostacolo dovuto all'impigliarsi degli indumenti da lavoro e poi dell'arto della R.F. all'interno della macchina, che si fermava finalmente soltanto quando la stessa malcapitata riusciva a disattivare l'alimentazione elettrica dell'apparecchiatura), avrebbe dovuto dimostrare in che modo parte datoriale non avesse adempiuto all'obbligo di sicurezza ed il relativo nesso causale tra detto inadempimento ed il conseguente pregiudizio, peraltro senza considerare nemmeno che il sinistro accadde (almeno stando alle date, non specificamente contestate) appena il giorno dopo in cui la ricorrente fu assunta alle dipendenze della convenuta, così come d'altro canto appare incomprensibile, allo stato, quale ulteriore specifico onere di allegazione fosse necessario rispetto a quanto invece dedotto dalla ricorrente con il proprio atto introduttivo del giudizio, depositato il 25 febbraio 2003, peraltro ampiamente illustrato ai sensi dell'art. 366 c.p.c., così evidentemente enunciando pure di fatto il nesso di causalità tra la condotta ascritta alla datrice di lavoro ed il sinistro de quo, da cui erano quindi derivate anche le lamentate gravi lesioni personali (nesso eziologico da valutarsi anch'esso senso le regole sopra richiamate); che, del pari, le incertezze conoscitive e i dubbi adombrati con la motivazione della impugnata sentenza finiscono per sovvertite le presunzioni derivanti dalla congiunta lettura degli artt. 2087 e 1218 c.c., circa l'onere, incombente su parte datoriale, di fornire circostanziata prova liberatoria anche riguardo agli obblighi di vigilanza, formazione e di informazione inerenti alla neoassunta, nonché circa la piena affidabilità, in termini di sicurezza antinfortunistica, dell'impastatrice, cui era addetta nell'occorso la R.F., una volta appurato, quanto meno oggettivamente, che le documentate lesioni personali appaiono comunque riconducibili al funzionamento di tale macchina, però ad ogni modo non prontamente arrestatosi;
 

 

P.Q.M.

 


la Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa, per l'effetto, l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Firenze.