Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2018, n. 47793 - Fiammata durante la procedura di spurgo. Valutazione del rischio


 

 

 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 05/10/2018

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Brescia, in data 22 settembre 2017, ha parzialmente riformato mediante concessione della non menzione della condanna, confermandola nel resto, la sentenza con la quale il Tribunale di Brescia aveva condannato P.R. alla pena ritenuta di giustizia in relazione ad imputazione per delitto di lesioni colpose in danno dei dipendenti S.B. e F.B., con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (reato contestato come commesso in Brescia il 22 luglio 2010).
L'infortunio era avvenuto durante le operazioni di installazione di un contatore del gas presso un distributore di carburante ove era installato un impianto di trasporto di gas metano che dalla rete principale, di proprietà della A2A SED (di cui il P.R. era amministratore unico), aveva una derivazione per l'allacciamento al distributore, la quale terminava con un primo pozzetto ove era collocata una valvola di intercettazione (di proprietà della A2A SED) e che poi proseguiva per via sotterranea fino a un secondo pozzetto, di proprietà del distributore, cui era allacciata una tubazione interrata di trasporto del gas, che giungeva fino alla valvola a farfalla installata in un'apposita cabina; di qui si dipartiva all'esterno un primo tronco di tubazione, che nella parte bassa era intramezzato da un giunto dielettrico, e che poi saliva verso l'alto culminando nella prima flangia di attacco al contatore (oltre la quale, in attesa dell'installazione del contatore che doveva avvenire il giorno dell'infortunio, vi era un giunto di raccordo) seguita da una seconda flangia di attacco e dalla correlativa tubazione, che scendeva in verticale proseguendo nel terreno.
Riassumendo brevemente i fatti, il S.B. e il F.B. - ambedue dipendenti dalla A2A SED - avevano rimosso il giunto di raccordo al posto del quale doveva essere installato il contatore, indi avevano agito sulla valvola di intercettazione per verificarne il funzionamento e, a tal fine, dovevano eseguire un'operazione preliminare di spurgo delle tubazioni: operazione che era prassi effettuare in casi simili onde evitare che il contatore venisse danneggiato da eventuali detriti. Nel procedere all'operazione, i due operai constatavano che il gas non fuoriusciva e, perciò, contattavano in sede l'assistente R., che segnalava che le valvole esterne alla cabina erano state chiuse per ragioni di sicurezza; aperte le valvole, i due operai provavano nuovamente a effettuare l'operazione di spurgo, ma si accorgevano di un'anomala fuoriuscita di detriti, tale da formare una nube; ripetevano allora per una terza volta l'operazione di spurgo, ma a quel punto si levava una fiammata - che secondo periti e consulenti era dovuta all'interazione della miscela di gas e aria con una qualche fonte d'innesco - che investiva i due operai, provocando loro le gravi ustioni meglio descritte in atti.
L'addebito, in relazione al quale il P.R. (nella sopra citata qualità) é stato riconosciuto colpevole, si fonda essenzialmente sul non avere egli ottemperato all'obbligo, non delegabile, di valutazione dei rischi, relativo a un'operazione, come quella di spurgo, che era sicuramente abituale nell'ambito dell'installazione di contatori del gas. A fronte delle doglianze rassegnate con l'appello, tese a dimostrare la non prevedibilità dell'accaduto e a evidenziare che i rischi connessi a possibili inneschi durante le operazioni di installazione dei contatori erano stati inseriti nel documento di valutazione dei rischi già prima dell'incidente, la Corte ha osservato che in realtà tali rischi erano stati qualificati come irrilevanti (valutazione, questa, dimostratasi errata), mentre la procedura di spurgo, lo specifico rischio connesso all'operazione e le modalità e accortezze da impiegare nel corso della stessa non avevano formato né oggetto di indicazioni per iscritto, né di inserimento nel documento di valutazione dei rischi. L'operazione, così come effettuata, comportava comunque un rischio tangibile connesso all'intrinseca infiammabilità della miscela aria-gas; ma essa poteva in realtà essere eseguita in modo diverso e in sicurezza utilizzando, per la pulitura delle tubazioni, aria compressa, o vapore, o azoto anziché gas naturale, come da indicazioni fornite in dibattimento dal consulente del pubblico ministero.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il P.R.; il ricorso si articola in due motivi.
2.1. Con il primo l'esponente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza d'appello, nella parte in cui essa, contraddittoriamente, assume a pag. 8 che non sia condivisibile il parere del consulente tecnico del pubblico ministero laddove questi sostiene che il P.R. avrebbe dovuto inserire nel documento di valutazione dei rischi (D.V.R.) la previsione di modalità esecutive delle operazioni di spurgo con criteri di sicurezza, ossia mediante l'impiego di aria compressa o di altro gas non infiammabile (accorgimenti che nel 2010 non erano raccomandati neppure a livello internazionale), mentre alle pagine 19 e 20 afferma che l'evento era prevedibile ed evitabile, appunto, usando per le operazioni di spurgo un mezzo non infiammabile. Oltretutto, lamenta ancora il ricorrente, si pretende tale capacità predittiva da un soggetto al vertice di una società caratterizzata da organizzazione complessa e da articolata struttura dirigenziale.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, pur ricorrendo, nella specie, tutte le condizioni per l'applicazione dell'istituto.
 

 

Diritto

 


1. Va premesso che, a fronte di un ricorso non manifestamente infondato e in assenza di motivi di proscioglimento nel merito, il reato é stato commesso il 22 luglio 2010 e che pertanto - restando esclusa la presenza di periodi sospensivi decisivi - esso deve considerarsi estinto per maturata prescrizione.
1.1. Tanto osservato, il primo motivo di ricorso é infondato. L'apparente contraddizione fra il dissenso rispetto al parere del consulente tecnico del P.M. e il giudizio di prevedibilità dell'evento basato proprio su quel parere si spiega con il fatto che, a pagina 8 della sentenza (e, per esteso, alle pagine da 3 a 11), viene richiamata la motivazione resa dal Tribunale di Brescia: che peraltro a pagina 9 ravvisa ugualmente profili di evitabilità del sinistro, bastando che "l'operazione di spurgo avvenisse con gli operai a distanza di sicurezza") e profili di prevedibilità riferiti in particolare all'operazione di spurgo, in ordine alla quale viene censurato il mancato inserimento della stessa nel D.V.R.. Tale valutazione é condivisa dalla Corte di merito, che - nel motivare il rigetto dell'appello (pagg. da 12 a 20) - non si limita a fare proprie le considerazioni svolte dal consulente tecnico del P.M. in ordine a una possibile procedura alternativa e in sicurezza di spurgo delle tubazioni, ma denuncia - al pari di quanto fatto dal Tribunale - la mancata valutazione del rischio specifico connesso all'operazione e il grave errore commesso, in generale, con la sottovalutazione dei rischi connessi ai possibili inneschi nella procedura di installazione dei contatori.
Poco é a dirsi, poi, in ordine all'attribuzione al P.R., nella sua posizione di amministratore unico, della responsabilità per la mancata valutazione del rischio d'incendio correlato all'operazione, trattandosi di obbligo datoriale non delegabile, a mente dell'art. 17, d.lgs. n. 81/2008, neanche nell'ambito d'imprese di grandi dimensioni (come affermato già da Sez. 4, n. 4123 del 10/12/2008 - dep. 2009, Vespasiani, Rv. 242480); peraltro é noto che il soggetto apicale può adempiere a tale obbligo anche avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261109).
1.2. E' infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza, anche il secondo motivo. Tra i parametri di valutazione per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, vi é anche quello dell'esiguità del danno; nella specie, sicuramente non può affermarsi che il danno cagionato alle persone offese (in termini di gravità delle lesioni da esse riportate) sia stato esiguo. 
2. Ciò posto tuttavia, come si é detto, in relazione alla data di commissione del reato, lo stesso é ad oggi prescritto.
Conseguentemente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il reato é estinto per prescrizione.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato é estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 5 ottobre 2018.