Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 24 ottobre 2018, n. 48541 - Morte per mesotelioma pleurico dell'addetto alla manutenzione di computer presso la RAI. Presenza di fattori causali alternativi


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 19/06/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 10 febbraio 2015 il Tribunale di Torino dichiarava P.B., Direttore Generale RAI dal 12 luglio 1977 al 18 giugno 1980, e C.P., Direttore di supporto amministrativo RAI dal dicembre 1984 al 29 giugno 1992, responsabili del reato di cui all'art. 589 cod. pen. in danno di C.I., deceduto in data 05 aprile 2007, e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, li condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione. Assolveva OMISSIS dal medesimo reato per non avere commesso il fatto.
1.1. Agli imputati era addebitato di avere cagionato per colpa ed in particolare per imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle norme sull'igiene del lavoro e, segnatamente, degli artt. 2087 cod. civ., artt. 4 lett. a), b) e d) legge 14/04/1927 n. 530, 21 d. P.R. 19/3/1956 n. 303; 377 e 378 d.P.R. 27/04/1955 n. 547; e 157-176 d.P.R. 30/06/1965 n. 1124, la morte per mesotelioma pleurico di C.I., titolare della omonima ditta individuale e, in quanto tale, addetto alla manutenzione - assistenza di personal computer presso la sede Rai di Torino dal 1978 al 2006 (e, quindi, svolgendo attività comportanti la rimozione di controsoffittatture e pareti con conseguente dispersione di polveri di amianto), in quanto omettevano di adottare tutti i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l'esposizione all'amianto (limitazione dei tempi di esposizione; procedure di lavoro atte ad evitare la manipolazione manuale, lo sviluppo e la diffusione dell'amianto), di curare la fornitura e l'effettivo impiego di idonei mezzi personali di protezione, di sottoporre il lavoratore ad adeguato controllo sanitario, mirato sui rischi specifici e circa le misure per ovviare ai suddetti rischi, con la conseguenza che il predetto decedeva a seguito della suindicata malattia.
1.2. I giudici di primo grado, all'esito della istruttoria, pervenivano al convincimento che il C.I. era stato esposto all'inalazione di fibre di amianto aerodisperse causalmente rilevanti rispetto all'evento morte dovuto a mesiotelioma pleurico epiteliomorfo destro, presso l'edificio RAI di via Cernaia in Torino, in ragione delle concrete condizioni dell'ambiente di lavoro in cui quest'ultimo aveva prestato la sua attività professionale nell'arco temporale intercorrente tra il 1978 e il 05 aprile 1987, aderendo così alla tesi sostenuta dal consulente della difesa che individuava in venti anni il periodo di latenza convenzionale minima rispetto alla insorgenza della malattia (i cui primi sintomi erano comparsi nel luglio 2006) e, comunque, sino al 1992 - 1993, data di cessazione delle esposizioni di amianto rilevanti.
1.3. In particolare, veniva descritto dettagliatamente lo stato dei luoghi emergente dalle risultanze probatorie da cui risultava che l'edificio era stato costruito nel 1965 ed era composto da due piani interrati di cemento armato e da diciotto piani fuori terra fatti di ferro ed acciaio, la cui travatura, sia orizzontale che verticale, era cosparsa di amianto fioccato applicato con la tecnica a spruzzo in ottemperanza ad una prescrizione antincendio dell'epoca dei Vigili del Fuoco.
L'amianto si trovava, all'interno del controsoffitto, nei materassini posizionati sopra le doghe di ferro, ossia in vani tecnici ove passavano i cavi che avevano necessità di ventilazione nonché nei quadri elettrici, dietro le plafoniere e le prese elettriche e nelle tubazioni degli impianti idraulici e di condizionamento, dietro le vaschette dei servizi igienici interne ai muri posizionate vicino ai vani tecnici e nei serbatoi di acqua e di gasolio.
L'interno del palazzo era suddiviso da pareti mobili composte da uno scheletro in ferro e rimuovibili tramite opportune azioni di leva, dietro alle quali era presente l'amianto in forma agglomerata che veniva rimosso «a foglio», quando vi era l'esigenza di spostamento delle stesse. Tale operazione veniva effettata perché vi era l'esigenza di modificare le dimensioni degli uffici e ancor più presente quando, negli anni '80 del secolo scorso, si procedette alla predisposizione delle linee elettriche ai fini della installazione dei computer.
In ciascun ufficio erano presenti cavi che provenivano dal soffitto ed erano inseriti anche nelle intercapedini delle pareti mobili interne divisorie.
Le operazioni di smantellamento dei pannelli dalla controsoffittatura e di spostamento delle pareti erano state poste in essere senza soluzioni di continuità dal 1965 al dicembre 1991 quando furono adottati i provvedimenti atti ad evitare tale dispersione di fibre.
Anche i bagni erano stati chiusi per un lungo periodo dopo che si era appreso della pericolosità dell'amianto; quando si rompevano gli scarichi dei servizi sanitari non si potevano aggiustare sena rimuovere i pannelli furono poi modificati i sistemi di scarico.
Erano state rilevate concentrazioni di absestosimili in occasione del passaggio di alcuni cavi e della rimozione dei pannelli dei controsoffitti.
Si accertava che nel seminterrato vi era solo il crisotilo contenuto nelle tubature.
1.4. Quanto al ruolo svolto da Ivo C.I. veniva accertato che il predetto era titolare dell'omonima ditta individuale con sede in Corso Francia, che si occupava di fornire i personal computer e di effettuarne la relativa manutenzione ed installazione.
Veniva comprovato che il C.I., in ragione dell'incarico affidatogli, frequentava in media l'ufficio tre o quattro giorni alla settimana per tre o quattro ore al giorno.
1.5. Il giudizio di responsabilità era ancorato alla posizione di garanzia collegata alla responsabilità in materia di igiene e di sicurezza sul lavoro, rispettivamente riconosciuta nei confronti del P.B., quale Direttore Generale RAI, dal 12 luglio 1977 al 18 giugno 1980 e del C.P., nella qualità di Direttore del supporto amministrativo, a seguito e per effetto della circolare n. 434/ 1984, dal 19 dicembre 1984 al 29 giugno 1992.
I giudici di primo grado rilevavano che i predetti avrebbero potuto e dovuto porre in essere i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali ed igienici per contenere l'esposizione ad amianto dei soggetti che prestavano la loro attività nella sede RAI di via Cernaia e di coloro che frequentavano abitualmente tali uffici. In particolare veniva evidenziata la violazione, da parte degli imputati, della norma generale prevista dall'art. 2087 e degli artt. 4 e 21 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, 377 e 387 del d. P.R. n. 547 del 1955, con particolare riguardo alla limitazione dei tempi di esposizione, delle procedure di lavoro atte ad evitare la dispersione dell'amianto e dell'impiego di adeguate mezzi di protezione individuale. Era altresì precisato che nel periodo tra il 1978 e il 1987 non era stata adottata alcuna misura precauzionale essendo emerso che solo a partire dal 1984 venne prescritto l'utilizzo delle mascherine alla squadra addetta alla manutenzione (di cui non faceva parte il C.I.) mentre sino al 1991, quando vennero vietate le attività di rimozione dei pannelli del controsoffitto e lo spostamento delle pareti, nessuna misura fu adottata per evitare che nel corso degli interventi di manutenzione o del passaggio dei cavi necessari per la installazione dei macchinari da uffici forniti dalla ditta C.I. i lavoratori presenti, durante e dopo tali operazioni, fossero esposti alla inalazione delle fibre di amianto.
1.6. Inoltre era ritenuta ampiamente provata la prevedibilità dell'evento posto che a partire dagli anni '70 - '80 del secolo scorso la pericolosità dell'amianto e la sua efficacia cancerogena erano già consolidate nella comunità scientifica.
1.7. Il Tribunale di Torino escludeva l'incidenza di fattori causali alternativi che venivano prospettati dalla difesa. In particolare la circostanza che il C.I. avesse abitato per lungo tempo a breve distanza in linea d'aria dallo stabilimento Capamianto non era ritenuta idonea a costituire causa esclusiva dell'evento morte. 
1.8. Nei confronti degli altri imputati era stata, invece, pronunciata una valutazione liberatoria posto che gli stessi avevano rivestito la carica di Direttori del Supporto amministrativo o, comunque, cariche apicali all'Interno della RAI in periodi successivi a quelli sin qui indicati.
2. Avverso la pronuncia di primo grado interponevano impugnazione le difese di P.B. e di C.P. e la Corte d'appello di Torino, con la sentenza del 15 settembre 2017, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.B.  (deceduto in data 28 luglio 2015 e, dunque, nelle more del processo di appello) per estinzione del reato per morte del reo ed assolveva C.P.  dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
2.1. La Corte distrettuale premetteva che dalla ricostruzione dei fatti era emerso che l'amianto si disperdeva nell'aria solo se sollecitato meccanicamente, come quando si procedeva alla rimozione dei pannelli dai controsoffitti e dalle pareti mobili e all' inserimento di cavi elettrici nelle intercapedini delle pareti. Veniva precisato che a tali operazioni era preposta esclusivamente un'apposita squadra di dipendenti RAI a ciò abilitata; le predette attività erano eseguite esclusivamente nella giornata del sabato, così come il cablaggio e la predisposizione delle prese.
Quanto al ruolo del C.I. all'interno dell'edificio, si sottolineava che il predetto intratteneva rapporti commerciali e riceveva gli ordini relativi ai macchinari, svolgeva una funzione di supervisione del lavoro dei propri dipendenti e li aiutava talvolta a svolgere materialmente le loro mansioni consistente nella predisposizione e nella installazione dei macchinari di ufficio.
2.2. Ciò posto, i giudici di secondo grado ritenevano comprovato che non era stata raggiunta la prova certa della esposizione del C.I. ad amianto all'interno dell'edificio della RAI, sussistendo il ragionevole dubbio della esposizione ambientale del predetto nella sua area di residenza.
Si sottolineava, in proposito, che la difesa del C.I. aveva adombrato, con sufficiente grado di oggettiva e concreta verosimiglianza, tale da corroborare il ragionevole dubbio, l'esistenza di una causa alternativa da sola sufficiente a determinare la morte del C.I. risultando accertato che il predetto aveva vissuto, sin dal 1965, in prossimità dello stabilimento Capamianto, industria manifatturiera dell'amianto. Anche la sede degli uffici della sua ditta individuale era ubicata nelle vicinanze di detta industria manifatturiera dell'amianto.
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza denunciando il vizio motivazionale sia in relazione alla esposizione lavorativa di C.I. all'interno dell'edificio Rai di via Cernaia a Torino che in ordine alla individuazione di un percorso causale alternativo nella determinazione dell'evento morte in danno della predetta vittima. Con riguardo a tale ultimo profilo evidenzia che un unico processo è stato intentato da persona residente in zona limitrofa allo stabilimento in questione e che non vi sono agli atti del medesimo né consulenze medico-legali né accertamenti di P.G. o indagini ambientali né studi epidemiologici che dimostrino un aumento di patologie correlate all'asbesto nell'area interessata.
3.1. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenza di legge.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Osserva la Corte che i giudici di secondo grado hanno fatto buon governo dei principi di diritto elaborati in relazione al canone legale di valutazione della prova imposto dall'art. 533, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108).
La regola di giudizio compendiata nella formula dell'«al di là di ogni ragionevole dubbio» impone al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da auto - contraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi, come nel caso in disamina, all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Sez. 1, 24/10/2011, n. 4111, Rv. 251507). Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità, in conformità a tale regola di giudizio, soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, Rv. 262280; Sez. 1 n. 17921 del 03/03/2010, Rv. 247449; Sez. 1 n. 23813 dell'08/05/2009, Rv. 243801 ; Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008, Rv. 240763).
La condanna «al di là di ogni ragionevole dubbio» implica infatti che, laddove venga prefigurata una ipotesi alternativa, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta, in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa stessa (Sez. 4, n. 30862 del 17/06/2011, Rv. 250903; Sez 4, n. 48320 del 12/11/2009, Rv. n. 245879).
In tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi ed alternativi tra loro, la ricostruzione del nesso eziologico impone la sicura esclusione di fattori causali alternativi (Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017 - dep. 2018- ).
2.1. Orbene, alla luce delle citate coordinate ermeneutiche, la Corte distrettuale ha valutato, con argomentazione logica e persuasiva, che la serie causale alternativa proposta dalla difesa non è estranea né all'ordine naturale delle cose né alla normale razionalità umana ed anzi ha trovato concreti riscontri fattuali indiziari.
Ed invero, è stato sottolineato che la difesa aveva prodotto la documentazione inerente all'attività della industria manufatturiera dell'amianto sita in Torino, via S. Antonino n. 57, operativa sino al 1968 e definitivamente demolita nel 1997, dimostrando la prossimità dei luoghi di abitazione del C.I. dall'area che fu occupata dalla Capamianto (precisamente, l'abitazione di corso Montecucco n. 3, dal 1965 al 1967, a m. 444, quella di via Vandalino n. 123, nel 1968, per circa sei mesi, a m. 1600, quella di Corso Francia n. 92, dal 1968 al 1974, a m. 1700, l'abitazione di Rivoli, via degli Appennini 7, dal 1975 al 1978, a m. 9.000, l'abitazione di corso Telesio, dal 1978 al 1988, a m. 564, ed infine quella di Corso Francia n. 260 dal 1988 al 2006 a m. 324).
Risultava pacifico che anche gli uffici della ditta individuale C.I. erano siti in Corso Francia n. 268.
Gli studi di settore citati nella relazione del consulente tecnico delle difese evidenziavano che l'inquinamento ambientale da asbesto di fonte industriale aveva il picco massimo di rischio nel raggio di tre chilometri dall'epicentro industriale; area in cui erano ricomprese, oltre alla sede dell'ufficio, proprio la maggior parte delle abitazioni in cui aveva vissuto il C.I. nel corso degli anni.
La Corte distrettuale sottolineava, altresì che anche gli altri dati fattuali richiamati dal Tribunale di Torino, pur non costituendo prova diretta di una esposizione ambientale, deponevano significativamente in tal senso ed in particolare:
- la celebrazione di processi a carico dell'amministratore della società Capamianto G.S. cui veniva addebitata la diffusività di fibre di amianto nell'aria, all'interno e all'esterno delle mura perimetrali del citato stabilimento, tra cui quello nel quale gli veniva contestato l'art. 589 cod. pen. per avere cagionato il decesso, il 26 luglio 1995, di C.T., già residente dal 1962 al 1966 a Torino, corso Montecucco, per mesotelioma pleurico e definito con la sentenza del Tribunale di Torino di non luogo a procedere del 18 luglio 2000 per estinzione del reato per morte del reo;
- la sentenza del 23 dicembre 1996 con la quale il Pretore di Torino disponeva, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., l'applicazione della pena nei confronti di G.B.C., quale amministratore della s.r.l. Immobiliare Peschiera Prima, nell'area occupata dall'ex stabilimento Capamianto in relazione a contravvenzioni connesse alla presenza di amianto in quell'area accertate negli anni 1994 e 1995 e, al contempo, dichiarava l'estinzione del reato per intervenuta oblazione per altri reati della medesima natura.
- negli anni compresi tra il 1992 e il 1995 erano state effettuate ispezioni e rilievi da parte della USL di competenza dalle quali emergeva la presenza di amianto e negli anni 1995 - 1996 furono effettuate opere di bonifica dell'area che era stata sede della Capamianto.
E' stato, infine, congruamente valorizzato l'aspetto della bonifica dell'area intrapresa negli anni '90 del secolo scorso che presupponeva indefettibilmente l'accertato inquinamento ambientale.
2.2. Orbene, il giudice a quo ha chiaramente evidenziato la concreta prospettabilità di un decorso alternativo correlato all'assunzione di fibre di amianto da parte del C.I. in un ambito estraneo alla attività lavorativa svolta presso gli uffici RAI di via Cernaia a Torino ed invece strettamente connesso ai suoi vari luoghi di residenza, tutti caratterizzati dalla vicinanza allo stabilimento Capamianto e alla sede dell' ufficio della sua ditta individuale.
Trattasi di motivazione logica e congrua, tale da radicare un ragionevole dubbio sul meccanismo eziologico che ha determinato l'insorgenza del mesotelioma pleurico.
3. Alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso va rigettato.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso.
Così deciso il 19 giugno 2018