Cassazione Penale, Sez. 4, 02 novembre 2018, n. 49885 - Il lavoratore è garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro quando, in virtù della propria anzianità lavorativa,  è in grado di intervenire per rimuovere un pericolo


Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore, in base al citato disposto normativo, è garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti, quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione della maggiore esperienza lavorativa (Sez. 4, n. 36452 del 15/05/2014, Rv. 262090).
Orbene, la Corte territoriale ha ritenuto che l'imputato, quale operaio addetto alla manutenzione, avesse un'anzianità ed una formazione tali da potere apprezzare e cogliere il pericolo creato dalla procedura seguita per calare il macchinario al piano sottostante, in violazione delle disposizioni appena ricevute dal superiore e del disposto normativo dell'art. 20, d.lgs. n. 81/2008.


Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 16/10/2018

 

 

 

FattoDiritto

 

1. Con sentenza emessa in data 20 ottobre 2017 la Corte d'appello di Firenze confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Firenze dichiarava S.T., nella qualità di operaio della società Italcol, responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 2, cod. pen. e lo condannava alla pena di euro 100 di multa per avere cagionato, in data 01 settembre 2010, lesioni personali aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche al suo collega di lavoro M.G..
2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il 01 settembre 2010, nello stabilimento della Itacol s.p.a., il responsabile dello stabilimento, G.P., aveva incaricato gli operai S.T. e M.G. di smontare una macchina per portare il motore, tramite un paranco, all'officina del piano sottostante secondo dettagliate modalità che garantivano la sicurezza dell'operazione. I predetti dipendenti, concordemente, decidevano di non seguire le puntuali istruzioni date dal loro superiore, in quanto ritenute gravose, e insieme si adoperavano per rimuovere una porzione della griglia che faceva parte del pavimento di quel piano per calare la macchina da tale apertura utilizzando un paranco mobile che avevano attaccato ad una capretta metallica posta sopra la botola stessa. L'operazione era riuscita ed il M.G. era sceso al piano di sotto per togliere il cavo del paranco dal macchinario. I due, tuttavia, non concordavano le azioni successive e così il M.G. decideva di risalire subito al piano soprastante per vedere se il S.T. avesse bisogno di aiuto. Quest'ultimo, nel frattempo, si accingeva a riposizionare la griglia sulla apertura al fine di ripristinare il pavimento ed aveva, quindi, spostato la capretta metallica. La persona offesa metteva il piede nella botola non ancora richiusa e precipitava al piano inferiore, da un'altezza di 4,5 metri, riportando la frattura dell'astragalo con conseguente malattia della durata di 88 giorni.
3. S.T., a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione elevando, quale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'omissione e l'evento e, comunque, in relazione al rapporto tra elemento oggettivo del reato (nesso di causalità) ed elemento soggettivo del reato (ovvero in ordine alla affermata violazione di norme in tema di sicurezza sul lavoro).
Sostiene che nella qualità di semplice operaio non era gravato da alcun obbligo di natura antinfortunistica, non rivestendo la qualifica né di datore di lavoro né quella di altra figura equiparabile. Contesta l'applicabilità dell'art. 20, del d.lgs. n. 81/2008, affermando di non avere compiuto, di propria esclusiva iniziativa, alcuna manovra pericolosa, in quanto aveva concordato e condiviso con il suo collega di lavoro M.G. le modalità operative.
3.1. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con ogni consequenziale provvedimento.
4. Osserva la Corte che il giudizio di responsabilità si fonda sulla ritenuta posizione di garanzia ricoperta dal S.T. ai sensi dell'art. 20, d.lgs. n. 81/2008, che, al primo comma, recita:« Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro».
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore, in base al citato disposto normativo, è garante, oltre che della propria sicurezza, anche di quella dei propri colleghi di lavoro o di altre persone presenti, quando si trova nella condizione di intervenire per rimuovere le possibili cause di pericolo, in ragione della maggiore esperienza lavorativa (Sez. 4, n. 36452 del 15/05/2014, Rv. 262090).
4.1. Orbene, la Corte territoriale ha ritenuto che il S.T., quale operaio addetto alla manutenzione, avesse un'anzianità ed una formazione tali da potere apprezzare e cogliere il pericolo creato dalla procedura seguita per calare il macchinario al piano sottostante, in violazione delle disposizioni appena ricevute dal superiore e del disposto normativo dell'art. 20, d.lgs. n. 81/2008.
5. Ciò posto, si rileva che il reato si è prescritto per decorso del termine massimo di cui al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen. in data 01 marzo 2018 e, dunque, in data successiva alla pronuncia di appello.
5.1. Pertanto, non rilevandosi profili di manifesta infondatezza del ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione.
Ed invero, le risultanze già poste dai giudici di merito a fondamento della affermazione di responsabilità non consentono di pervenire ad una più favorevole declaratoria di non punibilità per ragioni di merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. Un. n. 28954 del 27/04/2017; Sez. Un. n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274), in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi della predetta disposizione, solo nei casi in cui gli elementi da cui poter evincere l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale di esso o la non commissione dello stesso da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, con la conseguenza che la valutazione richiesta attiene più al concetto di «constatazione», ossia di percezione ictu oculi, che non a quello di «apprezzamento», senza che possa assumere rilievo la mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede, invece, un vaglio ponderato tra opposte risultanze.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 16 ottobre 2018