Cassazione Penale, Sez. 3, 13 dicembre 2018, n. 56106 - Violazioni in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione incendio. Nessuna causa di non punibilità


 

 

Presidente: ANDREAZZA GASTONE Relatore: CERRONI CLAUDIO Data Udienza: 13/11/2018

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 20 marzo 2018 il Tribunale di Torino ha condannato L.B., quale titolare della ditta Graphic Center in Torino, alla pena di euro 2.100 di ammenda per vari reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e predisposizione dei servizi antincendio. 
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su un complesso motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, quanto alla richiesta applicabilità dell'ipotesi di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., il ricorrente ha osservato che la sentenza non aveva operato alcuna riflessione sul fatto che l'imputato, ponendo in essere le debite condotte riparatorie, aveva ottemperato a tutte le prescrizioni impartite dall'organo accertatore. In tal modo, anche in presenza di un reato continuato, avrebbe dovuto esserci uno spazio per ritenere integrato l'indice della non abitualità del comportamento, mentre la reiterazione tenuta presente ai fini della non applicabilità era quella concernente una sorta di usuale comportamento di vita.
In specie le condotte ascritte all'imputato dovevano considerarsi, oltre che avvinte dal vincolo della continuazione, anche connotate dalla sostanziale unitarietà della condotta.
Il comportamento non poteva dirsi abituale, vi era stata ottemperanza alle prescrizioni, non vi erano precedenti e il contesto di tempo assai ristretto, in cui erano avvenute le condotte, era giustificato dalla crisi economica in atto.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


4. Il ricorso è infondato.
4.1. In relazione al motivo di impugnazione proposto, va ricordato che, a prescindere dai limiti edittali di pena, l'art. 131 -bis cod. pen. stabilisce che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. In particolare, l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Mentre il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
4.1.1. Ciò posto, il provvedimento impugnato ha correttamente richiamato un precedente di questa Corte (intervenuto in fattispecie pressoché sovrapponibile di violazioni da parte del datore di lavoro di diverse disposizioni in materia di sicurezza di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), secondo il quale la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cit., non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l'imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità (Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017, dep. 2018, Del Galdo, Rv. 271863).
In proposito, infatti, quanto alla valutazione di esiguità, è stato osservato che il parametro di riferimento, sul quale calibrare il giudizio sulla particolare tenuità del fatto, sia costituito, anche in presenza, come nell'ipotesi delle contravvenzioni in esame, di reati meramente omissivi (in relazione ai quali, attesa la modesta caratterizzazione deila fattispecie tipica, non può non assumere valore dirimente l'elemento temporale, ovverosia la protrazione della stessa omissione);dal primo comma dell'art. 133 cod. pen., tenendosi pertanto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Per quanto concerne il secondo requisito, afferente alla non abitualità della condotta, è stato ritenuto che la causa di esclusione della punibilità non possa essere applicata, ai sensi del terzo comma dell'art. 131 bis cit., qualora l'imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Grosoli, Rv. 267262).
D'altronde, la stessa richiamata disposizione normativa esclude di poter riconoscere la causa di non punibilità in favore di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Né appare plausibile ritenere che, con tale previsione, il legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui l'autore del reato sia gravato da precedenti penali specifici, posto che altrimenti si sarebbe eventualmente espresso in termini di recidiva specifica.
A questo proposito, infatti, è stato parimenti osservato che la nozione di comportamento abituale - che ricorre quando l'autore ha commesso almeno altri due illeciti oltre quello preso in esame - non può essere assimilata a quella della recidiva, che opera in un ambito diverso ed è fondata su un distinto apprezzamento (cfr. Sez. 6, n. 26867 del 28/03/2017, Sciammacca, Rv. 270637). 
In definitiva, quindi, non vi è nel testo alcun indizio che consenta di ritenere che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell'ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle "condotte plurime, abituali e reiterate".
Nello stesso senso è stato così annotato che la predetta causa di esclusione della punibilità non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio (in tema di abuso edilizio è stata così esclusa l'occasionalità dell'azione illecita sulla base della continuazione diacronica tra i singoli reati, posti in essere in momenti distinti, e della pluralità delle disposizioni di legge violate)(Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018, Fusaro, Rv. 273198).
D'altra parte lo stesso ricorrente ha ammesso che le plurime e distinte condotte omissive erano giustificate dal contesto economico, che lo induceva all'evidenza a risparmiare sulle dotazioni di sicurezza a presidio della salute degli stessi lavoratori. Anche sotto tale profilo, quindi, ben difficile appare ricondurre le fattispecie sotto la previsione della richiamata norma.
Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, correttamente il Tribunale di Torino ha negato l'applicabilità della causa di non punibilità, essendosi l'imputato reso responsabile di una molteplice violazione di norme afferenti  a reati della stessa indole, in quanto lesivi del medesimo bene giuridico tutelato, ovverosia la sicurezza sul lavoro.
In particolare, poi, quanto allo specifico rilievo che non sarebbe stato riconosciuto spazio alla circostanza che l'odierno ricorrente avrebbe posto in essere condotte riparatorie ottemperando alle prescrizioni impostegli, in realtà il provvedimento impugnato ne ha anzi tenuto espressamente conto (al pari del buon comportamento processuale), da un lato infliggendo un trattamento sanzionatorio particolarmente mite attesa l'opzione per la sola sanzione pecuniaria in un reato con la previsione di pena alternativa, dall'altro concedendo le attenuanti generiche ed applicando un aumento per la continuazione del tutto contenuto, pari ad euro 50 per ognuna delle sei contravvenzioni contestate (in ordine alla cui esistenza non vi è alcun rilievo di segno contrario).
4.2. Va quindi dichiarata l'infondatezza dell'impugnazione.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13/11/2018