Responsabilità del titolare di una ditta di autotraslochi per il delitto di lesioni colpose in danno di uno dei dipendenti intento, insieme a lui e ad altri quattro lavoratori, ad effettuare il trasloco di una pesante cassaforte - Sussiste

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

Per quanto concerne gli obblighi del datore di lavoro contro il rischio della movimentazione manuale dei carichi, l'art. 48 , oggi 168 del D.Lgs. 81/08, impone da un lato l'adozione di misure organizzative necessarie e, dall'altro, il ricorso a mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche.
Nel caso in esame, il datore di lavoro non ha predisposto tali misure idonee ad evitare l'infortunio mediante l'uso di mezzi meccanici di trasporto.

"Nel caso concreto esisteva la possibilità di movimentare la cassaforte mediante "mezzi meccanici" che sono preferiti dal legislatore (dal contestato D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 48) nello svolgimento di tali tipi di lavoro proprio per le maggiori garanzie di sicurezza."
"In ragione del peso della cassaforte di circa 300 Kg ripartito per il numero delle persone (sei) incaricate dal G., ogni operaio doveva sopportare un peso di circa 50 Kg. (è evidente l'errore di calcolo in cui è caduto il giudice di primo grado laddove ha ritenuto che il peso sopportato da ogni operaio fosse di 300 Kg) assolutamente eccessivo rispetto a quello che la legge ritiene normalmente sopportabile da un uomo per tali tipi di lavoro.
Era prevedibile, dunque, che colui che si trovava in una posizione più laterale, come il C., nella manovra di abbassamento verso terra della cassaforte abbia avuto anche un involontario spostamento verso il lato della stessa, in tal modo esponendosi qualora la cassaforte avesse avuto una oscillazione verso il suo lato, come del resto è accaduto."


"L'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento".


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. BRUSCO Carlo Giusepp - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
Sul ricorso proposto da:
1. G.G. n. il (OMISSIS);
Avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Salerno in data 25.03.2008;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. D'ISA Claudio;
udite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Per l'imputato il difensore, avv. NOVENE Sergio, in sostituzione dell'avv. CINQUE Francesco, ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto
Con sentenza in data 20.05.2004 il Tribunale di Salerno ha ritenuto G.G. responsabile del reato di cui al D.L. n. 626 del 1994, art. 48 e del delitto di lesioni colpose, con violazione delle norme antinfortunistiche, in danno di C.I., accaduto l'(OMISSIS) in (OMISSIS), e lo ha condannato, concesse le attenuanti generiche prevalenti, ritenuta la continuazione - alla pena di Euro 300,00, di ammenda.
Proposto gravame, la Corte d'Appello dello stesso capoluogo ha dichiarato estinto il reato contravvenzionale, ha riconosciuto, nella misura del 20 %, il concorso di colpa della persona offesa ed ha rideterminato la pena in Euro 200,00, confermando le statuizioni civili.
In sintesi il fatto.
In data (OMISSIS), il G.G., titolare di una ditta di autotraslochi, personalmente ed insieme ad altri suoi cinque dipendenti, tra cui il C.I., stava effettuando il trasloco di una pesante cassaforte.
Per la ristrettezza del luogo l'operazione di trasloco con mezzi meccanici era impossibile, dispose che essa venisse svolta manualmente e limitatamente al solo abbassamento di essa su file di mattoni pieni predisposti a terra, per poi con mezzi meccanici di sollevamento (muletto) e di trasporto (autogrù), traslocarla altrove.
In detta limitata operazione di abbassamento della cassaforte del peso di circa sei quintali e della larghezza odi cm. 80 x 60 e dell'altezza di cm. 170 circa, il G. predispose frontalmente ad essa 5 suoi operai (dando poi egli stesso una mano) raccomandando loro di non posizionarsi ai lati della cassaforte.
Allorquando la cassaforte venne abbassata sulle prime file dei mattoni per poi, rilasciata, farla poggiare sulle altre file, si venne a determinare tra la sagoma di essa ed i mattoni un interspazio atto all'introduzione dei bracci del mezzo sollevatore.
In questa ultima fase del rilascio della cassaforte la p. lesa, posizionata verso l'estremità del frontale della cassaforte, come simmetricamente altro operaio verso l'altra estremità, improvvisamente si spostò di lato, nel mentre la cassaforte andava a poggiarsi sui mattoni, incautamente spostando il piede un poco in avanti rispetto alla perpendicolare della linea laterale di cui all'abbassamento della cassaforte, per cui di lato essa vi scivolò sopra causando le lamentate lesioni.
I giudici di merito (la sentenza della Corte d'appello in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato ha fatto proprie le motivazioni della sentenza di primo grado), pur dando atto che la parte offesa aveva posto il suo piede al di sotto della pesante cassaforte, e che il G. avesse opportunamente raccomandato agli operai di non porsi di lato alla cassaforte ma di fronte ad essa, hanno evidenziato che una cassaforte di quelle misure non consentiva oggettivamente la presa comoda, con entrambe le mani, da parte di tutte e sei le persone che operavano; di conseguenza era prevedibile che vi fesse il rischio che uno o più operai si trovasse in difficoltà qualora la cassaforte avesse avuto una oscillazione durante la più delicata manovra di abbassamento verso terra.
Che uno degli operai potesse scivolare e mettere un piede sotto la cassaforte era una circostanza prevedibile e, dunque, il profilo di colpa evidenziato a carico dell'imputato è quello di non aver predisposto misure idonee atte ad evitare l'infortunio mediante l'uso di mezzi meccanici per il trasporto, e, pur ritenendo che il comportamento del C. ha avuto una "preponderanza causale" non è tale da assumere la condizione sopravvenuta interruttiva del nesso causale.

Ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato a mezzo del ministero del suo difensore.
Con un primo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge pedale in relazione all'art. 41 c.p.p., comma 2, art. 40 c.p.p., comma 1 e art. 43 c.p.p., comma 3.
Si rileva, che la condotta tenuta nell'occasione del sollevamento della cassaforte dal C. fu da sola sufficiente, ai sensi dell'art. 41 c.p.p., comma 2, a generare l'evento, attesa la circostanza che se si fosse attenuto alle disposizioni avute e pertanto non si fosse posto, di sua volontà di lato e non avesse incautamente messo il piede in avanti, l'evento lesioni non si sarebbe verificato.
La sentenza rileva tale condotta ma ne trae conclusioni del tutto contrarie e perciò contraddittorie.
Si fa notare che la contestazione della contravvenzione ascritta all'imputato si presenta generica, imprecisa e non pertinente, essa viene prospettata come fattore di colpa preesistente consistita nell'avere omesso di dotare il personale, di idonee attrezzature e di non avere adottato le necessarie misure organizzative senza tener conto della ristrettezza del luogo e senza precisare, quali dovessero essere queste misure.
Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge in ordine alla dichiarazione di estinzione per prescrizione dell'ipotesi contravvenzionale ascritta in relazione all'art. 129 c.p.p., comma 2, in quanto il fatto non sussiste.
Si evidenzia la genericità della contestazione, atteso che il D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 48, prevede quattro ipotesi prefettizie di cui l'ultimo ne annovera altre tre e, comunque, la contestazione non prevede, ed avrebbe dovuto prevederlo, in terna, di movimentazione di carichi pesanti, le disposizioni specificative ed integrative di cui all'allegato 6^ della stessa legge.
Si contesta la ricostruzione dell'ispettore del lavoro atteso che la movimentazione della cassaforte fu regolarmente portata a termine senza che nessun lavoratore si fosse fatto male tanto meno nella parte più vulnerabile del corpo per un peso di oltre i 30 Kg. prescritti e cioè nella zona, dorso - lombare all'infuori della p.o.che per sua colpa si fece male, però al piede.
Con un terzo motivo si denuncia vizio di motivazione.
Si fa riferimento alle premesse da cui parte la sentenza (comportamento colposo dell'operaio, avvertimento da parte del G.) per poi giungere a conclusioni del tutto contraddittorie.
Con ultimo motivo, altresì, si denuncia vizio di motivazione in riferimento al nesso causale ed in ordine alla statuizione del concorso di colpa al 30%, impropriamente fissato in sentenza.
Si evidenzia che la Difesa aveva chiesto la riapertura dell'Istruttoria dibattimentale con il conferimento di incarico peritale onde calcolare la dinamica ponderale rapportata ai gradi di inclinazione nell'operazione di abbassamento in orizzontale sui mattoni della cassaforte e finalizzata a stabilire l'incidenza graduale del peso in rapporto all'angolo acuto della base con la terra, in funzione dello sforzo fisico, sul presupposto dell'esatta conoscenza e delle effettive misure di essa.
L'implicito diniego di disporre la perizia comporta una mancata assunzione di prova decisiva ed essenziale su cui la Corte d'Appello non ha fornito risposta.


Diritto


I motivi posti a base del ricorso sono infondati, sicchè il gravame di legittimità va rigettato.
Il percorso argomentativo della impugnata sentenza è emerso in maniera del tutto chiara, privo di vizi logici o di carenze motivazionali, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto ed in diritto, del giudice di primo grado.
Sul punto si osserva che, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicchè è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello.
Orbene, la censura che si muove all'impugnata sentenza non riguarda la contestazione della posizione di garanzia che è stata attribuita all'imputato, con i consequenziali obblighi di osservanza della normativa antinfortunistica, ed è questo che rende infondati i motivi di gravame di legittimità, in quanto nel momento in cui si afferma che "...disubbidendo per negligenza alle disposizioni ricevute la parte lesa si spostava improvvisamente di lato al momento del rilascio della cassaforte spostando per imprudenza il piede dx in avanti rispetto alla sagoma della cassaforte all'atto del rilascio sui mattoni; e così si fece male per effetto dello scivolamento di essa sul collo del piede..." si disancora il nesso causale dal comportamento omissivo dell'imputato facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che essa era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Si è sostenuto, inoltre, che si addebita all'imputato, impropriamente, la mancata fornitura di attrezzature e la mancata adozione di misure organizzative: rilievi questi assolutamente non rispondenti alla fattispecie, stante l'impossibilità di una diversa logistica del trasloco e del fatto che al di là dell'impiego di cinque operai più se stesso per abbassare la cassaforte, gradualmente inclinandola in avanti, null'altro egli avrebbe potuto fare in tema di organizzazione del lavoro.
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, integrata da quella di primo grado, è più che congrua nel rilevare che, sulla base delle valutazioni tecniche espresse dall'ispettore del lavoro, nel caso concreto esisteva la possibilità di movimentare la cassaforte mediante "mezzi meccanici" che sono preferiti dal legislatore (dal contestato D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 48) nello svolgimento di tali tipi di lavoro proprio per le maggiori garanzie di sicurezza.
I giudici di merito, per completezza di motivazione, rilevano anche che, seppure il datore di lavoro, nel caso concreto, non avesse avuto nell'immediata disponibilità un adeguato mezzo meccanico, avrebbe dovuto predisporre quelle misure organizzative necessarie allo svolgimento del lavoro con riduzione del rischio infortunio.
In riferimento all'assunto del ricorrente/circa l'impossibilità di operare in maniera diversa per la ristrettezza dello spazio, il Tribunale ha evidenziato che il G. riteneva di predisporre adeguate misure di prevenzione organizzando il lavoro di movimentazione facendo posizionare i suoi operai in posizione frontale rispetto alla cassaforte, senza, tuttavia, considerare che il peso della stessa necessitava dell'intervento di tutte e sei le persone presenti e che ciò determinava, inevitabilmente, un restringimento delle possibilità di manovra da parte degli operai.
Proprio l'ispettore del lavoro aveva evidenziato che, in ragione del peso della cassaforte di circa 300 Kg ripartito per il numero delle persone (sei) incaricate dal G., ogni operaio doveva sopportare un peso di circa 50 Kg. (è evidente l'errore di calcolo in cui è caduto il giudice di primo grado laddove ha ritenuto che il peso sopportato da ogni operaio fosse di 300 Kg.) assolutamente eccessivo rispetto a quello che la legge ritiene normalmente sopportabile da un uomo per tali tipi di lavoro.
Era prevedibile, dunque, che colui che si trovava in una posizione più laterale, come il C., nella manovra di abbassamento verso terra della cassaforte abbia avuto anche un involontario spostamento verso il lato della stessa, in tal modo esponendosi qualora la cassaforte avesse avuto una oscillazione verso il suo lato, come del resto è accaduto.
Del resto è lo stesso imputato (V. pag. 2 della sentenza di primo grado) ad affermare che "....quando la cassaforte si è abbassata il signor C. è scivolato andando con il piede sotto la cassaforte...", ciò fa ritenere che un comportamento accidentale dell'operaio, non dovuto alla sua volontà, era da prevedere e da prevenire.
Dunque, alla luce di una descrizione fattuale così puntuale da parte dei giudici di merito di quello che era il compito assegnato al C. non è dato in alcun modo evidenziare l'assunta "abnormità" di un suo comportamento tale da elidere il nesso causale tra l'evento lesivo verificatosi ed il comportamento omissivo dell'imputato come contestato.
E in questa prospettiva che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata la consapevole difficoltà di operare in uno spazio ristretto, considerando il peso della cassaforte ed il numero di operai da utilizzare per il suo spostamento e l'aver consentito che, in tale precaria situazione di sicurezza, comunque si operasse, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia, che avrebbe dovuto prevenire un comportamento del suo dipendente del tutto prevedibile in riferimento al compito assegnatogli.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile.
Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico.
Non rileva, in diritto, il fatto che il giudice del merito non abbia indicato quale dovesse essere, rispetto a quello adottato, il sistema alternativo di spostamento della cassaforte tale da garantire situazioni di sicurezza per gli operai.
La norma contestata, difatti, non indica nello specifico le misure da adottare, ma lascia la scelta alla discrezionalità imprenditoriale del datore di lavoro, stabilendo che deve adottare le misure organizzative necessarie, ricorrere ai mezzi appropriati, o fornire ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale dei detti carichi.
Comunque, senza entrare nel merito della questione o volere integrare vuoti motivazionali, compiti non riservati a questa Corte, basta osservare che, nel caso concreto, poteva essere momentaneamente divelta (per poi riapporla) la ringhiera del balcone, sicchè,una volta imbracatala cassaforte sarebbe stata spostata dalla gru ciò avrebbe evitato verosimilmente il rischio di infortunio di cui trattasi, tale manovra avrebbe determinato una perdita di tempo con maggiori costi, ma certamente questa non è una buona ragione per eludere gli obblighi gravanti sul datore di lavoro di garantire la sicurezza sul lavoro dei suoi dipendenti.
Le argomentazioni testè esposte relative alla ritenuta responsabilità colposa dell'imputato, come delineata, rendono ultronea la trattazione del motivo relativo alla richiesta assoluzione con formula piena dalla contestata contravvenzione.
Quanto, poi, alla censura relativa alla mancata disposizione di una perizia tecnica, in sede di appello, ritenuta prova decisiva, si osserva che l'istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti), (v. ex pluribus Cass. 4^, 10 giugno 2003, Vassallo).
Tra l'altro, la integrazione probatoria richiesta, per quanto argomentato, non presenta i caratteri della decisività, e, si osserva che la mancata acquisizione di una prova decisiva può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell'art. 606 c.p.p., lett. D) quando si tratta di prova determinante, quando cioè la mancanza di tale elemento probatorio abbia inciso a tal punto da portare ad una motivazione basata su affermazioni apodittiche o congetturali (V. Cass. Sez. 1^, sent. N. 7399 dell'8.05.1992 Rv. 190718 - Cass. Sez. 1, sent. N. 3182 del 17.01.1995 Rv. 200690 - Cass. Sez. 1^, sent. N. 7747 del 23.05.1996, Rv. 205528 - Cass. Sez. 4^ sent. N. 11657 del 29.09.2000, Rv. 217273).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2009