• Datore di Lavoro

Responsabilità dei soci di una s.n.c. per aver dotato il dipendente B.D. di un triciclo adibito alla raccolta rifiuti sprovvisto di impianto di illuminazione (diretta o riflessa) e, pertanto, inidoneo alla circolazione in orari serali, con il quale il dipendente veniva investito e decedeva - Sussiste.

Ricorrono in Cassazione - Respinto.

La Corte afferma che: "la disciplina dell'uso dei dispositivi di illuminazione non influisce con quella relativa alla prescrizione di dotare i veicoli dei dispositivi stessi.
Evidentemente la circostanza per cui i dispositivi in questione devono essere azionati solo in determinate circostanze non esime dall'obbligo di dotarne comunque i veicoli.
I ricorrenti evidentemente confondono i due diversi e distinti obblighi di dotare i veicoli dei dispositivi di illuminazione con quello di azionarli.
I veicoli devono comunque essere muniti dei dispositivi di illuminazione anche al fine di poterli azionare in circostanze anche improvvise di scarsa visibilità, come ad esempio in caso di pioggia o nebbia improvvisa, soddisfacendo elementari esigenze di sicurezza."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. KOVERECH Oscar - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) S.M. N. IL (OMISSIS);
2) S.E. N. IL (OMISSIS);
3) S.D. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA CORTE APPELLO del 11/04/2007 di GENOVA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAISANO GIULIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione; rigetto del ricorso ai fini civili;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Bongiorno Gallegra Pierluigi del Foro di Chiavari che ha concluso per l'inammissibilità o in subordine, per il rigetto del ricorso e si è riportato alle conclusioni scritte depositate in udienza;
udito il difensore avv. PETROLI Orazio che si è riportato ai motivi scritti.

Fatto

Con sentenza del 23/9/2004 il Tribunale di Chiavari ha dichiarato S.M., S.E. e S.D. responsabili del reato di cui all'art. 589 c.p. perchè, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, cagionavano la morte di B.D.; in particolare in qualità di soci della s.n.c. Solari Michele & Eugenio, dotavano il dipendente B.D. di un triciclo adibito alla raccolta rifiuti sprovvisto di impianto di illuminazione (diretta o riflessa) e, pertanto, inidoneo alla circolazione in orari serali, di talchè, avendo costui, alle ore 17,45 circa del (OMISSIS), alla guida del triciclo anzidetto impegnato la via (OMISSIS) dal parcheggio del civico (OMISSIS) adibito ad officina per la riparazione di pneumatici (officina ove, essendo incaricato dalla società anzidetta a ritirare il mezzo ad avvenuta riparazione da una foratura di pneumatico al fine di ricoverarlo poi presso il deposito della società) veniva avvistato da S.M.J. procedente alla guida dell'autovettura Citroen targata (OMISSIS) a una distanza di soli circa 14-16 metri e ne veniva investito, decedendo in pari data presso l'ospedale di Lavagna per collasso cardio - circolatorio secondario a gravi lesioni traumatico fratturative cranio - encefaliche - multiple così riportate, e li condannava alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena, e condannandoli al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile ed al pagamento di una provvisionale di Euro 25.000 in favore di Bi.An.. Avverso tale sentenza hanno proposto appello i S. e la Corte d'Appello di Genova con sentenza del'11/4/2007, in parziale riforma della sentenza impugnata, riconosciuto un concorso di colpa del B. nella misura del 25% ha ridotto la pena a mesi cinque di reclusione ciascuno confermando nel resto l'impugnata sentenza.
S.M., E. e D. hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza lamentando l'erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 68 e 152 C.d.S., e dell'art. 377 Reg. C.d.S., costituenti il profilo (violazione di legge) della contestata colpa specifica nell'imputazione di omicidio colposo.
In particolare viene osservato che la colpa consistente nel non avere dotato il triciclo in dotazione del B.dei dispositivi di illuminazione di cui alla L. n. 285 del 1992, art. 68, non ha fondamento giuridico in quanto la medesima norma, al secondo comma prevede che tali dispositivi debbano essere presenti e funzionanti solo nelle ore e nei casi previsti dall'art. 152 C.d.S., comma 1, e quindi nelle ore notturne o in caso di ridotta visibilità.
Il regolamento attuativo prevede inoltre non il divieto assoluto di circolare per i mezzi sprovvisti dei dispositivi di illuminazione in questione, ma che i veicoli stessi debbano essere condotti a mano.
L'istruttoria ha confermato che i dipendenti nelle ore in cui è obbligatorio il dispositivo di illuminazione, avevano disposizione di condurre il triciclo a mano.
I ricorrenti lamentano inoltre mancanza e manifesta illogicità della parte motiva della sentenza impugnata in ordine alla valutazione del comportamento antecedente tenuto dalla vittima del sinistro stradale in relazione alla causazione dell'evento ai sensi dell'art. 41 c.p. (cosiddetto comportamento abnorme del lavoratore).
In particolare viene lamentato che non si è considerata l'assoluta anomalia del comportamento del lavoratore vittima dell'incidente che ha interrotto il nesso causale dell'evento a motivo dell'esclusiva responsabilità della stessa vittima la quale, al momento dell'incidente, era ben fuori il proprio orario di lavoro utilizzando il triciclo senza alcuna autorizzazione dei propri principali, senza informare gli stessi dell'anomalia del triciclo in dotazione, era fuori della propria zona di competenza lavorativa, aveva portato il triciclo a riparare in un'officina non convenzionata con la ditta senza informare o chiedere l'autorizzazione del proprio datore di lavoro, non aveva preso alcuna precauzione come quella di indossare almeno un giubbotto che lo rendesse visibile ai mezzi circolanti, e la fornitura di tali indumenti (giubbino ad alta visibilità e calzoni arancione) manleva comunque il datore di lavoro da ogni responsabilità se l'infortunio è determinato dal mancato utilizzo degli stessi.
 
Diritto

Deve preliminarmente considerarsi che alla fattispecie va applicato il regime prescrizionale vigente all'epoca della decisione di primo grado, più favorevole all'imputato rispetto a quello introdotto dalla successiva L. 5 dicembre 2005, n. 251.
Pertanto, una volta riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, il termine ordinario prescrizionale di legge si determina in cinque anni, ai sensi dell'art. 157, 1 comma, n. 4 c.p.; in presenza di cause interruttive del decorso della stessa, la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione ed in nessun caso i termini fissati dall'art. 157 c.p., possono essere prolungati per oltre la metà del tempo necessario a prescrivere, ai sensi dell'art. 160 c.p., comma 3.
Alla stregua di tale ultimo dettato normativo, dunque, dopo ogni atto interruttivo ricomincia a decorrere il termine ordinario di prescrizione, come determinato dall'art. 157 c.p., fermo restando che il prolungamento dei termini scaturente dall'atto o dagli atti interruttivi non può comunque superare la metà di quello ordinario.
Ne consegue, in sostanza, che tra l'uno e l'altro atto interruttivo non deve intercorrere un termine superiore a quello prescrizionale ordinario (nella specie cinque anni), con l'ulteriore metà di esso operando, poi, come limite in ogni caso invalicabile per il prolungamento del termine ordinario in presenza di cause interruttive della prescrizione.
Nella specie il reato è stato consumato il (OMISSIS) per cui il termine prescrizionale è scaduto dopo sette anni e sei mesi (cinque anni più la metà del termine) al (OMISSIS).
Non sussistendo cause di inammissibilità originaria del ricorso, nè ravvisandosi ipotesi sussumibili nella previsione dell'art. 129 c.p.p., comma 2, tanto deve essere ora rilevato di ufficio da questa Corte, ai sensi del disposto dell'art. 609 c.p.p., comma 2, e art. 129 c.p.p..

Il ricorso va comunque esaminato ai fini civili e va rigettato.
 
Il motivo con il quale i ricorrenti lamentano l'erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 68 e 152 C.d.S. e dell'art. 377 del relativo Regolamento di attuazione non ha alcun fondamento giuridico in quanto la disciplina dell'uso dei dispositivi di illuminazione non influisce con quella relativa alla prescrizione di dotare i veicoli dei dispositivi stessi.
Evidentemente la circostanza per cui i dispositivi in questione devono essere azionati solo in determinate circostanze non esime dall'obbligo di dotarne comunque i veicoli.
I ricorrenti evidentemente confondono i due diversi e distinti obblighi di dotare i veicoli dei dispositivi di illuminazione con quello di azionarli.
I veicoli devono comunque essere muniti dei dispositivi di illuminazione anche al fine di poterli azionare in circostanze anche improvvise di scarsa visibilità, come ad esempio in caso di pioggia o nebbia improvvisa, soddisfacendo elementari esigenze di sicurezza.
Anche il motivo di ricorso relativo alla mancata considerazione della colpa della vittima nella determinazione dell'incidente è altresì infondato.
Tale concorso è stato già congruamente considerato e valutato in sede di appello tanto che è stata statuita una riduzione della pena proprio in considerazione del riconosciuto concorso di colpa della vittima.
Tali considerazioni e valutazioni sono congruamente motivate sulla base delle risultanze processuali, per cui non può certo pervenirsi alla conclusione che il comportamento della stessa vittima che ha concorso nella determinazione dell'evento, abbia causato autonomamente l'evento stesso tanto da escludere ogni responsabilità degli attuali ricorrenti.
I ricorrenti soccombenti vanno condannati al pagamento delle spese di questo grado di giudizio liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
 
La Corte Suprema di Cassazione, Quarta Sezione Penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore delle costituite parti civili delle spese di questo grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.500,00, oltre spese generali, IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2009