Cassazione Penale, Sez. 4, 21 agosto 2013, n. 35295 - Schiacciamento mortale di un dipendente comunale con una minipala attrezzata con benna. Responsabilità del sindaco e del venditore del macchinario


Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 23/04/2013

 

Fatto

 


1. Il 6 marzo 2007 P.E., dipendente del Comune di Schilpario, decedeva a seguito delle lesioni riportate per lo schiacciamento subito ad opera di una minipala attrezzata con benna miscelatrice mentre collaborava alla esecuzione di una gettata di calcestruzzo liquido. Il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di elusone, giudicava responsabili del fatto B.G., quale datore di lavoro del P.E. per essere sindaco pro-tempore del Comune di Schilpario, ed E.P., quale legale rappresentante della CMO s.r.l., venditrice dei macchinari coinvolti nel sinistro, e condannava entrambi per il delitto di omicidio colposo aggravato ai sensi del comma 2 dell'art. 589 cod. pen., infliggendo al B.G., al quale concedeva le attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata aggravante, la pena di mesi otto di reclusione e all'E.P. la pena di anni due mesi quattro di reclusione. Condannava altresì gli imputati e i responsabili civili Comune di Schilpario e Milano Assicurazioni s.p.a., in solido tra loro, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite parti civili, alle quali assegnava somme a tìtolo di provvisionale.
2. Secondo la ricostruzione operata dal giudice di primo grado il Comune di Schilpario stava eseguendo dei lavori sul margine di una strada a mezzo di una minipala munita di benna miscelatrice; la pala, condotta dal lavoratore B.G. era stata posizionata, onde versare il calcestruzzo, con la benna sollevata ad un metro e mezzo da terra in modo da consentire all'operatore a terra, nel caso il P.E., di agganciare un tubo di deflusso nell'apposito foro posto nella parte sottostante alla benna; improvvisaente la pala si era impennata in avanti e la benna aveva schiacciato il P.E., uccidendolo.
Sulla scorta degli accertamenti tecnici eseguiti dai consulenti, il Tribunale riteneva che il ribaltamento si fosse verificato a causa dell'errato abbinamento alla minipala di una benna miscelatrice che, essendo di maggiore capacità rispetto a quella standard, era stata caricata di una eccessiva quantità di calcestruzzo, compromettendo la stabilità del mezzo. Tanto era stato reso possibile dal fatto che i lavoratori non erano stati informati e formati sul pericolo di ribaltamento e sulla necessità di limitare il carico di calcestruzzo in misura tale da escludere tale pericolo, ed altresì non erano stati in grado di rendersi conto del livello di riempimento massimo consentito per la presenza di una griglia che impediva di verificare i centimetri di riempimento, per l'assenza di tacche o segni di livello, per le specifiche modalità operative (carico dei componenti e realizzazione del calcestruzzo direttamente nella benna), ed infine per la presenza di incrostazioni sulle pareti della stessa.
All'E.P. veniva quindi ascritto di aver venduto la minipala (marca New Holland LS 170) e la benna miscelatrice (marca SIMA S33) in abbinamento tra loro (avendo avuto notizia dall'acquirente del fatto che quest'ultima sarebbe stata montata sulla prima), nonostante ciò rendesse insicuro l'uso del macchinario risultante dall'abbinamento e nonostante la documentazione a corredo non indicasse la portata massima della pala. Al B.G. veniva invece addebitato di non aver fornito adeguata formazione ai dipendenti, in quanto lo stesso P.E. aveva dato indicazioni al collega sulla scorta delle quali quest'ultimo aveva riempito la benna sino alla griglia, ignorando che essa doveva essere caricata solo in parte.
La condanna dei responsabili civili veniva pronunciata dal Tribunale perché la pala meccanica, assicurata anche per il funzionamento con la benna miscelatrice, al momento dell'Infortunio stava trasportando materiale su una strada comunale, e pertanto trovavano applicazione tanto le norme sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale che quelle sulla sicurezza del lavoro.
3.1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della decisione appena riassunta, concedeva all'E.P. le attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, e riduceva la pena inflitta al medesimo ad anni uno mesi sei di reclusione, concedendo altresì i benefici di legge. Confermava, infine, ogni altra statuizione.
Il giudice di seconde cure respingeva l'assunto della difesa del B.G., secondo il quale il sindaco non riveste la qualifica di datore di lavoro ex art. 2 lett. b) d.lgs. n. 626/1994, richiamandosi ai principi espressi in materia dalla Corte di cassazione ed in particolare al principio per il quale nell'ambito della pubblica amministrazione l'attribuzione della qualifica di datore di lavoro a soggetto diverso dall'organo di vertice richiede un atto espresso con il quale si procede all'individuazione dei soggetti cui viene conferita tale qualità e in assenza di un simile atto il datore di lavoro va individuato nell'organo di direzione politica. Nella specie, la difesa dell'imputato non aveva mai dato prova dell'esistenza dell'atto di individuazione del datore di lavoro, secondo le previsioni di legge.
La Corte di Appello riteneva non fondato anche il motivo concernente la violazione del principio di correlazione tra fatto assunto nella contestazione e fatto ritenuto in sentenza.
3.2. Quanto ai motivi di appello proposti dalla difesa dell'E.P., la Corte di Appello ravvisava in essi la prospettazione di una ricostruzione alternativa dell'accadimento, priva di riscontro nelle prove acquisite. Secondo l'appellante l'infortunio si era verificato perché il conducente della minipala aveva raggiunto il punto di sversamento con la benna alzata e ciò aveva provocato il ribaltamento.
Per contro, riteneva la Corte territoriale, risultava accertato che la minipala si era approssimata con la benna abbassata al luogo ove doveva essere eseguito lo sversamento del calcestruzzo e qui si era fermata: al riguardo si citavano le dichiarazioni di R.P. e di B.G.. In posizione di fermo quest'ultimo aveva comandato il sollevamento del braccio della benna per far sì che la stessa si alzasse la misura necessaria a consentire al Pizlo di collegare il tubo di sversamento al foro posto nella parte sottostante alla benna, modalità operativa priva di alternative. Ed era da questa posizione di fermo che la minipala si era sbilanciata in avanti, rovesciando parte del carico e schiacciando il malcapitato. Tale ricostruzione era coerente con i dati fattuali emersi dalle deposizioni testimoniali e avvalorata dalle spiegazioni offerte dai consulenti tecnici, ivi compreso quello della difesa del B.G..
Siffatte conclusioni venivano mantenute ferme dalla Corte territoriale pur dopo l'analisi dei rilievi mossi dall'appellante, fondati sul fatto che nelle prove effettuate dalla difesa dello stesso, che avevano riprodotto le modalità di carico e di lavoro indicate dal teste B.G., non si era mai verificato il ribaltamento del mezzo; tale circostanza dimostrava, per l'appellante, che il ribaltamento non era stato causato dal superamento della portata massima della minipala.
Il giudice di seconde cure replicava che il c.t. aveva affermato che il livello di rischio di ribaltamento, a parità di carico, è dipendente da diversi fattori tecnici: l'altezza raggiunta dal braccio che sorregge la benna, l'estensione in lunghezza del braccio medesimo, l'inclinazione della benna e le modalità di appoggio del carico. Indicazioni che trovano corrispondenza nelle formule riportate nel libretto di istruzioni fornito dal costruttore della benna miscelatrice. Secondo i calcoli offerti dal c.t., la minipala può sollevare un carico superiore a quello di ribaltamento, che con la benna miscelatrice montata è di 1469 kg. Tale dato veniva assunto dalla Corte di Appello come decisivo e prevalente su ogni altra evidenza empirica.
Conseguenza della ricordata variabilità del livello di rischio è la difficoltà del calcolo del medesimo nelle condizioni concrete. Pertanto la targhetta apposta all'Interno della minipala non era sufficiente ed anzi era fuorviante, "essendo carente di ogni indicazione del peso dell'accessorio in dotazione (quasi doppio rispetto a quello della benna standard) e della capacità di carico con riferimento non solo ai centimetri di riempimento ma anche al baricentro della macchina nelle varie fasi operative". Per gli operatori vi era quindi un rischio incontrollabile.
In conclusione, l'imputato B.G. aveva messo a disposizione dei propri operai la minipala e la benna miscelatrice senza fornire loro alcuna formazione e informazione (i libretti di istruzione non erano mai stati aperti e vennero rinvenuti ancora sigillati). L'E.P., da parte sua, aveva fornito la minipala e la benna miscelatrice ben consapevole che esse sarebbe state utilizzate abbinate. Infatti, il Comune le aveva acquistate proprio su indicazione dell'E.P., al quale erano state rappresentate le necessità operative che si intendevano 
soddisfare con tali mezzi. Ciò nonostante essi erano stati venduti ancorché non rispondenti alle prescrizioni degli artt. 168, 169 e 171 d.p.r. 547/55. Né valeva ad escludere la responsabilità del venditore il fatto che la minipala e la benna escavatrice fossero conformi alla direttiva macchine, perché la condotta colposa consisteva nel loro abbinamento e nell'aver omesso di fornire all'acquirente, unitamente ai mezzi, anche le necessarie prescrizioni o cautele.
4. Ricorre per cassazione nell'interesse dell'imputato B.G. il difensore di fiducia avv. G..
4.1. Con un primo motivo deduce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., per essere stato condannato il B.G. in ragione di condotta omissiva colposa, laddove il capo di imputazione gli contestava una condotta commissiva colposa e non risultando fondata la motivazione con la quale la Corte di Appello ha rigettato la censura già propostale per la "perfetta corrispondenza tra il profilo colposo contestato e condanna".
4.2. Con un secondo motivo deduce violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 626/1994, laddove la Corte di Appello ha affermato la qualità di datore di lavoro del B.G. mentre, a mente della citata norma, il Sindaco di un'amministrazione comunale non può essere qualificato come datore di lavoro. La Corte di Appello è incorsa nella violazione di legge affermando che il Sindaco deve individuare un soggetto nell'ambito dell'amministrazione comunale cui attribuire la qualifica di datore di lavoro e che in assenza di tale designazione rimane titolare della posizione datoriale. L'art. 2 cit., infatti, non attribuisce al Sindaco tale qualità, conferendogli anche il potere di delegare ad altri le proprie funzioni in materia di sicurezza del lavoro; piuttosto esclude che egli sia datore di lavoro nel mentre prevede che tal'è un soggetto dell'amministrazione individuato nel "dirigente cui spettano i poteri di gestione ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale".
Sotto altro profilo si rileva che al B.G. non è mai stato contestata la violazione dell'art. 4, co. 4 d.lgs. n. 626/1994, per aver omesso di individuare il soggetto cui attribuire le funzioni datoriali, e che la prova dell'assenza di altro soggetto investito di tali funzioni compete all'accusa, siccome richiesto dall'onere di provare la colpevolezza dell'Imputato.
4.3. Con un terzo motivo deduce vizio motivazionale, in relazione all'omessa pronuncia sulla dedotta mancanza di nesso di causalità tra la condotta del B.G. e l'evento illecito.
4.4. Con un quarto motivo deduce violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. laddove la Corte di Appello "non ha applicato o ha applicato erroneamente il procedimento di eliminazione mentale senza tener alcun conto dei dati processuali emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale". Anche qualora il B.G. avesse posto a disposizione dei lavoratori il manuale d'uso e manutenzione delle macchine coinvolte nel sinistro, ciò non sarebbe valso ad evitare l'evento perché in quelli era mancante l'indicazione dei limiti di carico effettivi; qualora avesse provveduto a fornire la necessaria formazione sull'uso dei macchinari essa non avrebbe evitato l'evento perché, come riferito dal teste B.G., il corso di formazione che successivamente al sinistro venne effettuato non fornì alcuna formazione utile.
5. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato E.P. il difensore di fiducia avv. M.A..
5.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro, per essere la decisione impugnata priva di motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha sostenuto che si era verificato un eccessivo caricamento della benna miscelatrice sì da determinare il ribaltamento della minipala.
5.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge in relazione alla valutazione della prova fornita dall'imputato a mezzo simulazione tecnica. Assume l'esponente che a fronte della prova oggettiva dell'impossibilità del verificarsi del sinistro con le modalità contestate all'imputato, la Corte di Appello ha reso motivazione manifestamente illogica sostenendo che tale prova è insussistente a fronte dei calcoli effettuati da uno dei c.t. intervenuti nel processo.
5.3. Deduce, ancora, vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle deposizioni R.P. e B.G.. La Corte di Appello non ha dato riscontro alla censura mossa con l'atto di gravame, nel quale si criticava l'errata valutazione delle dichiarazioni di R.P., omettendo di analizzare il contenuto testuale della stessa, dal quale si evince che il R.P. non aveva sotto osservazione la minipala nel momento del ribaltamento.
Lamenta ancora l'esponente l'omessa motivazione in ordine ai rilievi avanzati con l'atto di appello al riguardo di quanto emergerebbe dalle fotografie scattate dai CC. ed assume che esse documenterebbero che la minipala era stata movimentata con la benna alzata e che il ribaltamento era stato causato da una errata manovra del conducente che l'aveva portata fuori dalla sede stradale
5.4. Con un quarto motivo deduce vizio motivazionale in relazione alle risultanze di talune prove e al motivo di appello concernente l'ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la richiesta di esperimento giudiziale. 
In primo luogo formula nuovamente il rilievo già svolto in ordine alla prevalenza accordata alla c.t. P. sulla prova tecnica effettuata dalla difesa dell'imputato; ravvisa inoltre l'assunzione, da parte della Corte di Appello, di un erroneo dato tecnico, offerto dal c.t. del B.G., ovvero che la minipala potesse sollevare un carico superiore a quello di ribaltamento, pari - con la benna miscelatrice in questione - a kg. 1469. Infatti, rileva l'esponente, la forza di strappo ai bracci della minipala era pari a kg. 1286 ed è quindi impossibile che, in qualsiasi condizione e con qualunque peso, essa potesse sollevare un peso che comportasse rischio di ribaltamento.
Sulla base di tali dati, conclude l'esponente, è dimostrato che la minipala si ribaltò perché "movimentata con la benna alzata".
Assume, ancora, una serie di contraddittorietà della motivazione, per aver ritenuto rilevanti diverse variabili, per aver parlato di immanenza del ribaltamento pur avendo constatato che vi era stato un precedente trasporto senza alcun ribaltamento; inoltre deduce l'omessa motivazione dell'ordinanza del 10.2.2012 di rigetto della richiesta di esperimento giudiziale o, in subordine, di espletamento di perizia d'ufficio.
5.5. Con altri motivi (VII-XI; XII-XIV; XIV-XVI) vengono dedotti vizio motivazionale e violazione di legge in ordine alla individuazione della condotta colposa attribuita all'E.P..
Viene contestata l'affermazione giudiziale della sussistenza del profilo oggettivo della colpa nonostante:
- l'organo di vigilanza non abbia mosso alcun rilievo né chiesto modifiche al macchinario;
- il produttore della benna avesse attestato la piena congruità del suo abbinamento con la minipala;
- il teste Manghi avesse attestato la congruità dell'abbinamento dei due macchinari;
- abbia la Corte di Appello negato la produzione di documenti dai quali si evince che altre società vendono benne e minipale come quelle in oggetto, abbinate tra loro;
- il sinistro sia derivato dalla violazione dell'obbligo di formazione e informazione gravante sul datore di lavoro ed i libretti di istruzione forniti dalla società dell'imputato fossero rimasti non letti (obblighi che la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto anche a carico del concessionario);
- il limite di caricamento fosse chiaramente comprensibile dal libretto di istruzione a corredo nonché con il semplice ausilio di un centimetro;
- non fosse possibile caricare la benna oltre un'altezza di cm. 24 (sicché sono errati i calcoli dell'ing. P.);
- nei manuali delle pale è indicato che l'operatore non deve porsi sotto la benna;
- l'inesistenza di altri accorgimenti per rendere evidente il limite di carico;
- in definitiva la incapacità della decisione di individuare cosa avrebbe dovuto fare in concreto l'E.P. per rendere più sicuro un macchinario che deve essere riempito sino al colmo della benna, che pur così non presenta pericolo di ribaltamento, che permette facilmente di verificare l'entità del carico.
Censura infine, il ricorrente, che la Corte di Appello ha negato la reclamata violazione dell'art. 522 cod. proc. pen., per avere il Tribunale escluso i profili di colpa specifica indicati nella contestazione e affermato la sussistenza di profili di colpa generica non indicati in quella, sulla base di una motivazione del tutto generica, non esistendo sul mercato dispositivi atti a limitare la capacità contenitiva della benna o a controllare il peso movimentato ed anzi risultando esclusq, ogni colpa per gli altri motivi già enunciati, tra i quali si ribadisce quello relativo all'esistenza di una corretta targhetta di avvertenza e alla impossibilità di apporre segnalazioni visive che tenessero conto, nell'indicazione dei livelli di rischio, di tutte le variabili evidenziate dalla Corte di Appello medesima.
5.6. Con un ulteriore motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge in relazione all'affermato nesso causale tra la condotta dell'E.P. e l'evento illecito. Assume l'esponente che se si fossero osservate le istruzioni dei libretti a corredo delle attrezzature l'evento non si sarebbe verificato; egualmente dicasi se il datore di lavoro non fosse venuto meno ai suoi obblighi, il conducente della minipala non avesse errato nel manovrarla, l'infortunato non si fosse posto al di sotto della benna. Sull'incidenza di tali cause la Corte di Appello non ha motivato, salvo che per la condotta del P.E., affermando con motivazione che si ritiene manifestamente illogica che non esisteva altra modalità operativa per agganciare il manicotto.
5.7. Con un ultimo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, per aver la Corte di Appello valutato solo equivalenti le ritenute attenuanti sulla base della assenza di una condotta risarcitoria. Assume l'esponente che il risarcimento fonda la concessione di una specifica attenuante e non può essere valorizzata in chiave negativa la sua assenza, come fatto dal decidente, perché questi avrebbe dovuto valutare altri parametri e tra questi il comportamento processuale dell'imputato, che aveva comunque provveduto a pagare personalmente la provvisionale disposta dal Tribunale. Inoltre il risarcimento prima del processo era precluso all'E.P. dalla presenza di più imputati e dalla concorrenza di più assicuratori. 
6. Ricorre per cassazione nell'interesse del responsabile civile Milano Assicurazioni s.p. a. il difensore di fiducia avv. L.P..
6.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge esponendo che la copertura assicurativa era stata prestata per l'utilizzo della minipala che fosse stato conforme al suo libretto di circolazione. La Corte di Appello ha ritenuto che la dicitura in questo leggibile 'pala miscelatrice' fosse sinonimo di benna miscelatrice laddove la pala è la macchina operatrice a terra mentre la benna è l'accessorio che si solleva e nell'intera decisione mostra di ben conoscere la differenza tra i due apparecchi.
6.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale e violazione di legge laddove la Corte di Appello ha respinto il motivo di appello che invocava la non operatività della garanzia assicurativa per essersi verificato l'infortunio all'Interno di un cantiere stradale senza alcuna correlazione con gli eventi tipici della circolazione o sosta del mezzo sulla pubblica via. La Corte di Appello ha affermato che la strada in questione non era chiusa al traffico e che non era stato predisposto un cantiere stradale così come previsto dall'art. 21 C.d.S. né interclusa la zona. Ad avviso dell'esponente il dato decisivo è che le vicende connesse alla circolazione non hanno in alcun modo interferito con l'infortunio.
6.3. A tal ultima affermazione si connette altresì il terzo motivo di ricorso. L'esponente deduce violazione di legge per essere stata affermata l'operatività dell'art. 2054 c.c. anche in assenza di violazioni di norme regolatrici della circolazione di autoveicoli e contesta la fondatezza del principio posto da Cass. civ. n. 316/2009, cui si è richiamato anche la Corte di Appello - secondo il quale presupposto dell'operatività della garanzia assicurativa per r.c.a. è il trovarsi il veicolo, in movimento o in sosta, su strada di uso pubblico o a su area a questa equiparata, senza che assuma rilievo l'uso del veicolo secondo le potenzialità sue proprie - chiedendone il superamento o quanto meno la non applicazione al caso che occupa.
 

 

Diritto

 


7. I ricorsi proposti rispettivamente nell'interesse di B.G. e di E.P. sono infondati.
8.1. Con riferimento alla posizione di B.G., va innanzitutto rilevata la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, che ravvisa la indebita immutazione del fatto sulla base della sola assenza nell'imputazione di un riferimento all'art. 40 cpv. cod. pen., pur essendo stata attribuita all'imputato dai giudici di merito una condotta colposa di natura omissiva. E' sufficiente rammentare che a dare corpo alla contestazione sovviene con carattere di assoluta prevalenza la descrizione del fatto; sicché del tutto correttamente la Corte di Appello ha evidenziato la perfetta corrispondenza tra il profilo colposo contestato e il fatto per il quale è stata riportata condanna.
8.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, va ricordato che, prima dell'entrata in vigore dell'art. d.lgs. n. 81/2008, e quindi all'epoca del fatto per cui si procede, la lett. b) dell'art. 2 D.Lvo 626/1994 (come modificato dall'art. 2 del D.Lgs. n. 242/1996) precisava che "per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario, non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale".
La previsione è stata variamente interpretata; non solo si sono formulate tesi diverse da parte di dottrina e giurisprudenza; ma anche tra le pronunce del giudice di legittimità si rinvengono soluzioni contrastanti. Il dubbio attiene in primo luogo alla necessità di uno specifico atto di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro; necessità che per alcuni non ricorre, risultando sufficiente la titolarità dei poteri indicati dalla norma e che peraltro è indispensabile, altrimenti rimanendo quella posizione in capo al vertice politico dell'ente. Detto altrimenti, la disputa è intorno al carattere costitutivo o meramente ricognitivo di un atto (dell'organo di vertice dell'ente) che attribuisca ad altri la qualità di datore di lavoro. E ciò in ragione del fatto che alla formula utilizzata dall'art. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/94 (nella quale il 'si intende' lasciava oggettivamente ipotizzare che fosse operata un'attribuzione ex lege della qualifica datoriale ai dirigenti ed ai funzionari titolari dei poteri indicati) è presto seguita la previsione dell'art. 30, co. 1 D.Lgs. n. 242/1996, per la quale entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del medesimo decreto gli organi di direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche procedono all'individuazione dei soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività.
Espresso ancora con altra nomenclatura, l'oscillazione era tra natura originaria oppure derivata della posizione datoriale del dirigente e del funzionario descritto dall'art. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/94.
Secondo una prima interpretazione adottata da questa Corte, l'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro risulta demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale. Si escludeva quindi che fosse sufficiente la collocazione nell'ambito dell'organigramma per ritenere operata l'individuazione valevole ai sensi del combinato disposto agli artt. 2, co. 1 lett. b) d.lgs. n. 626/1994 e 30 co. 1 d.lgs. n. 242/1996: "proprio per la rilevanza dei compiti e per la responsabilità che deriva dal conferimento della qualità in esame non può ritenersi che la qualità di datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2 D.Lvo 626, possa essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. L'attribuzione della qualità di datore di lavoro non può che essere espressa anche perché comporta i poteri di gestione in tema di sicurezza".
Erano dunque gli "organi di direzione politica" che dovevano procedere all'individuazione; è stato puntualmente rilevato che si tratta di una valutazione ricollegata alle caratteristiche specifiche della pubblica amministrazione che viene in considerazione, dovendosi tenere conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici. Anche tale rilievo è stato ritenuto argomento che dà conferma dell'impossibilità di una scelta non espressa e non accompagnata dai ricordati poteri di gestione alla persona fisica.
La conseguenza della mancata indicazione è stata ravvisata nella conservazione in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore di lavoro, quanto meno nel periodo successivo alla scadenza dei sessanta giorni indicati dalla legge e fino all'individuazione del datore di lavoro da parte dell'organo obbligato a questo adempimento.
Con la precisazione che agli organi di direzione politica (sindaco e giunta comunale) sono attribuiti in via originaria anche i poteri di sovrintendere alle scelte di gestione e direzione amministrativa, con il conferimento di tutti i poteri conseguenti. Anche il potere di individuare il datore di lavoro conferma che all'organo di direzione politica compete un potere originario (in tal senso soprattutto, Sez. 4, n. 38840 del 22/06/2005 - dep. 21/10/2005, loriatti, Rv. 232418).
A questa ricostruzione si sono accompagnate tesi di diverso segno. Qui è sufficiente ricordare l'affermazione per la quale "le funzioni espletate, secondo i principi già contenuti nel D.P.R. 547/1955(art.4) e D.P.R. 303/1956 (art. 4) ampiamente richiamati anche in dettaglio nel D.LGS. 626/1994, comportano di per sé obblighi di assunzione delle misure per la sicurezza e la salute dei lavoratori, a prescindere anche da atti formali di individuazione dei singoli soggetti gravati dall'obbligo di garanzia, come peraltro previsto solo in via transitoria dall'art. 30 D.LGS. 242/1996" (Sez. 4, n. 34804 del 02/07/2010 - dep. 27/09/2010, Maniago, Rv. 248349).
Ritiene questa Corte che l'interpretazione più persuasiva sia quella formulata con la sentenza in causa Ioretti. Agli argomenti in essa ricordati si può aggiungere che appare priva di pregio l'obiezione secondo la quale si verrebbe a determinare una ingiustificata disparità di disciplina fra soggetti di diritto privato, per i quali vale la concreta titolarità dei poteri gestionali e l'autonomia tipici del datore di lavoro, e pubblica amministrazione, nella quale si rende necessaria la formalizzazione del ruolo datoriale. E' agevole replicare che tra i due ambiti non vi è perfetta identità, risultando solo l'organizzazione dell'ente pubblico minutamente normata. E che, di conseguenza, l'obiettivo di meglio perseguire la tutela dei beni in gioco risulta più agevolmente conseguibile attraverso una previa e chiara individuazione del soggetto cui compete la qualifica di datore di lavoro. Né con ciò si emargina il principio di effettività (oggi consacrato nell'art. 299 d.lgs. n. 81/2008): come già sostenuto nella sentenza Ioratti, ove alla attribuzione della qualifica non corrispondesse la dotazione dei correlati poteri, datore di lavoro sarebbe da ritenere ancora e sempre l'organo di vertice politico dell'ente.
Peraltro solo l'interpretazione che qui si patrocina permette da un canto di 'esaltare', tra le diverse funzioni, quelle aventi proiezione prevenzionistica; ed inoltre di evitare (evenienza che avrebbe potuto aversi anche nel caso in esame) la concorrenza del tutto teorica di più dirigenti, in concreto mai investiti delle specifiche responsabilità in materia di sicurezza del lavoro.
8.3. Una conferma a posteriori della correttezza della tesi qui condivisa viene dalla circostanza che essa è stata sostanzialmente fatta propria dal legislatore con il d.lgs. n. 81/2008, che al secondo periodo dell'art. 2, comma 1, lett. b), con riferimento alle amministrazioni pubbliche evidenziate, recita: «per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo».
8.4. Orbene, la Corte di Appello ha fatto adeguato governo dei principi sopra ripercorsi, ai quali si è espressamente e correttamente richiamata, evidenziando in fatto che l'atto di individuazione era nella specie mancato, e ricordando, evidentemente in funzione di rafforzamento dimostrativo e non per ampliare la contestazione, come il B.G. fosse stato destinatario dell'addebito, mosso dagli organi di vigilanza, di aver omesso la nomina del r.s.p.p., alla quale è tenuto esclusivamente il datore di lavoro.
8.5. Le osservazioni svolte dal ricorrente con il terzo e quarto motivo di ricorso a riguardo della inefficacia impeditiva del comportamento doveroso omesso - che risulta non controverso - si muovono per intero all'interno di una cornice concettuale e giuridica che sembra concepire i doveri del datore di lavoro in materia di sicurezza del lavoro come limitati all'adozione delle misure che residuano da quelle che altri soggetti, pure debitori di sicurezza, devono porre in campo. Tributaria di tale prospettiva è l'affermazione secondo la quale, poiché dal libretto di istruzioni a corredo del mezzo d'opera non era possibile ricavare proficuamente indicazioni in ordine al corretto uso dello stesso nelle operazioni che dovevano essere svolte anche dal P.E., quand'anche il B.G. si fosse premurato di assicurarsi che esso fosse letto dai lavoratori l'evento si sarebbe egualmente prodotto. Infatti, il rilievo sembra escludere che il datore di lavoro potesse - ed anzi dovesse - non acquietarsi del modo in cui il venditore aveva rappresentato le modalità di esercizio del mezzo ed attivarsi qualora esse fossero in qualsiasi guisa inadeguate allo scopo di assicurare condizioni di lavoro non pericolose. La Corte di Appello ha correttamente affermato, cogliendo l'assoluta decisività dell'assunto, che proprio in ragione della insufficienza delle indicazioni traibili dal libretto il datore di lavoro si sarebbe dovuto attivare al fine di colmare il vuoto di informazioni sulla sicurezza del carico e del trasporto. D'altro canto, la formula normativa rinvenibile nell'art. 38 d.lgs. n. 626/1994, secondo la quale il datore di lavoro assicura che i lavoratori ricevano un'adeguata formazione sull'uso delle attrezzature di lavoro che devono utilizzare, non pone limiti modali; sicché il datore di lavoro deve ottemperare alla prescrizione con i comportamenti che gli sono possibili. Non c'è dubbio, al proposito, che a fronte di libretti di istruzione inadeguati il B.G. fosse in grado di pretendere dal venditore più chiare e complete indicazioni, tanto più che entrambi erano ben consapevoli della 'novità' del macchinario, risultante dall'abbinamento di pala e benna (e segnatamente della benna marca SIMA S33). Del tutto incongrue le ulteriori osservazioni del ricorrente: l'eventuale 'inutilità' del corso di formazione (peraltro misurata sull'esperienza fatta da altro lavoratore in altra occasione) non può che tradursi in inadempimento dell'obbligo formativo incombente sul datore di lavoro, il quale non può certo ritenere di aver adempiuto alla prescrizione normativa con il solo ossequio formale ad essa.
8.6. In conclusione, il ricorso del B.G. va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
9. Parimenti infondato è il ricorso proposto nell'interesse dell'E.P..
9.1. I primi sei motivi di ricorso investono la ricostruzione della dinamica dell'incidente per cui è processo sotto diversi profili. Essenzialmente, si assume che l'incidente si verificò perché l'autista del mezzo B.G. sollevò la benna mentre la minipala era in movimento; si aggiunge, non si comprende se in alternativa o in connessione causale, che il ribaltamento fu dovuto all'errata manovra compiuta dal B.G. che si portò sul limitare della strada, lì dove era un dislivello (pg. 21 ss. del ricorso). Per accreditare tale tesi si lamenta che la Corte di Appello ha errato nella valutazione della testimonianza R.P., dalla quale non sarebbe possibile dedurre che la minipala era ferma mentre veniva alzata la benna; ha motivato in modo manifestamente illogico quando ha ritenuto superabile l'esito dell'esperimento giudiziale che per il ricorrente dava dimostrazione dell'impossibilità che il ribaltamento fosse dovuto al carico del mezzo, ove la benna fosse stata alzata dalla posizione di arresto; ha motivato in modo manifestamente illogico laddove ha preso in esame il carico di ribaltamento del mezzo; ha omesso di motivare in ordine alla errata manovra del B.G..
Orbene, a fronte delle ricordate censure appare opportuno rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Si assume che la Corte di Appello non ha motivato le ragioni per cui è pervenuta a ritenere che il ribaltamento era stato dovuto all'eccessivo caricamento della benna. A pg. 21 della sentenza impugnata si richiama la testimonianza di B.G.  per affermare che la benna era stata utilizzata al limite della sua capienza; più in generale si sviluppa una ricostruzione in chiave logica, che si confronta anche con il dato per il quale "l'istruttoria ha escluso la presenza di anomalie, buche o asperità dell'asfalto che potevano incidere sulla stabilità del mezzo". Pertanto, la motivazione che si lamenta assente (pg. 12 del ricorso) è invero espressa e non risulta manifestamente illogica. 
Si assume che la Corte di Appello ha violato i criteri di valutazione della prova e reso motivazione manifestamente illogica laddove ha disatteso i risultati della simulazione fatta dalla difesa. Ma questa mostra di non voler considerare le puntuali considerazioni del giudice di seconde cure in ordine alla sostanziale irripetibilità delle precise condizioni in presenza delle quali ebbe a verificarsi il sinistro. Tale è il senso della sottolineatura della mancanza, nella prova formata dalla difesa, di elementi idonei a "intaccare la fondatezza della spiegazione tecnica offerta dal consulente, basata sull'evidenza dei numeri e dei calcoli matematici, non contrastati da altri calcoli". Tal'è il senso della cura con la quale la Corte territoriale ha richiamato la presenza di numerose variabili in grado di incidere sulla esattezza della riproduzione dell'evento verificatosi. Ancora una volta va escluso che si tratta di una motivazione manifestamente illogica; e va quindi respinta la pretesa del ricorrente di veder sostituita a quella dei giudici di merito una nuova valutazione della prova ad opera del giudice di legittimità.
Nonostante la Corte di Appello avesse stigmatizzato l'estrapolazione di singole sequenze dichiarative della deposizione del teste R.P., il ricorrente ripropone con il ricorso tale modalità rappresentativa, citando alcuni brani di quella testimonianza, che egli stesso ricorda aver occupato le pagine da 87 a 99 del relativo verbale, ed assumendo che l'interpretazione fornita dalla Corte di Appello a quella testimonianza urta con l'esito dell'esperimento già menzionato. Ma la Corte di Appello, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, ha fatto esplicito riferimento a più passaggi di quella deposizione, contenuti nelle pagine 88, 91, 92, 94; e da quanto appena osservato circa la motivata marginalizzazione della simulazione operata dalla difesa deriva l'insignificanza di questa quale criterio di valutazione della interpretazione della prova data dal giudice di seconde cure. Per tale profilo il motivo risulta aspecifico, perché non si fa carico della motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale ed altresì non soddisfacente il principio di autosufficienza del ricorso.
Del tutto generico e apparente, poi, il rilievo della mancata valutazione dell'attendibilità del teste B.G., che nella stessa prospettazione del ricorrente risulterebbe da porre in dubbio per il solo fatto di essere rimasto coinvolto egli pure nel sinistro, come conducente della minipala, al quale non risulta siano mai stati mossi addebiti di sorta.
Anche per ciò che concerne la presunta errata manovra del B.G., che avrebbe condotto il mezzo su uno scalino, il motivo appare formulare una mera censura in fatto, non risultando peraltro conforme al vero che la Corte di Appello non abbia dato risposta al corrispondente motivo di ricorso: a pg. 19 il giudice di seconde cura ha affermato di far propria la ricostruzione operata dal Tribunale e che l'istruttoria aveva escluso la presenza di condizioni del terreno tali da compromettere la stabilità del carico.
Vi è solo da aggiungere che non si tratterebbe in nessun caso di una omissione comportante l'annullamento della sentenza, posto che l'eventuale errata manovra del conducente non escluderebbe la responsabilità dell'E.P., non essendo ravvisabile in essa una causa da sola sufficiente a produrre l'evento, ai sensi dell'art. 41 cod. pen.
Per ciò che concerne la contraddittorietà della sentenza agli atti processuali, dai quali emergerebbe l'impossibilità che la minipala potesse aver sollevato un carico superiore a quello di ribaltamento, il relativo motivo risulta una volta di più non autosufficiente, posto che, per ciò che concerne i dati tecnici, esso rimanda a quanto asserito nell'atto di appello. Ciò non di meno vale rimarcare che la Corte di Appello ha affermato che sulla scorta dei calcoli operati dal consulente tecnico emergeva che la minipala poteva sollevare un carico superiore a quello di ribaltamento. Il ricorso non propone una critica di tali calcoli, limitandosi a richiamare valori che si assume essere espressi dai documenti a corredo dei macchinari.
Quanto alle pretese ulteriori contraddittorietà della motivazione (l'aver ritenuto rilevanti esistenti diverse concause, l'aver parlato di immanenza del ribaltamento pur avendo constatato che vi era stato un precedente trasporto senza alcun ribaltamento), non appare inutile rammentare che la motivazione è contraddittoria o perplessa allorquando in sentenza si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010 - dep. 29/03/2010, Olmastroni, Rv. 247229). Pertanto, non ogni caduta di coerenza argomentativa è in grado di dare vita al vizio motivazionale in parola, dovendosi pur sempre trattare di contraddittorietà che pregiudica l'intera struttura motivazionale, sia pure relativa ad uno specifico punto della decisione. Nel caso che occupa, le discrasie esaltate dal ricorso neppure sussistono, trattandosi di forme retoriche di espressione, che appaiono malamente interpretate dal ricorrente.
Infine, alla luce di quanto sin qui ricordato in ordine al percorso argomentativo delineato dalla Corte di Appello, risulta palese l'insussistenza del vizio motivazionale (motivazione apparente) lamentato dal ricorrente a riguardo dell'ordinanza del 10.2.2012 di rigetto della richiesta di esperimento giudiziale o, in subordine, di espletamento di perizia d'ufficio.
9.2. I restanti motivi di ricorso, che criticano il giudizio di responsabilità formulato nei confronti dell'E.P., sono infondati. 
Non vi è contestazione in ordine al fatto che l'E.P. fornì al Comune di Schilpario tanto la minipala che la benna miscelatrice delle quali si discute, specificamente in abbinamento tra loro. Egli assunse quindi il ruolo di venditore dei macchinari. All'imputato è stata contestata la violazione degli artt. 7, 168, 169 e 171 d.p.r. 547/1955.
A fronte della relativa indeterminatezza dell'art. 7 cit. (e oggi dell'art. 22 d.lgs. n. 81/08) l'attività interpretativa è chiamata ad eseguire un'attenta ricostruzione della fattispecie incriminatrice, non essendo ammissibile una mera opera di associazione di qualsiasi norma recante prescrizioni cautelari sulle macchine e la norma di rinvio. Ne è esempio l'art. 169 cit. La disposizione fa riferimento all'esercizio della macchina, chiaramente delimitando il proprio ambito di applicazione sia in senso oggettivo (fase di utilizzo delle macchine), che - consequenzialmente - in senso soggettivo (utilizzatore). Si tratta quindi di una disposizione le cui regole non possono essere riferite anche al produttore, costruttore, noleggiante, concessionario e venditore, proprio perché questi non esercitano l'attività con le macchine.
Ciò posto, il ricorrente formula retoricamente la domanda in ordine a quale mai avrebbe dovuto essere la condotta doverosa dell'E.P., posto che la targhetta con le avvertenze richieste era presente e pure presenti, per il ricorrente, erano gli indicatori di livello.
La risposta è quanto mai agevole. L'art. 7 dispone il divieto di vendita di macchinari non conformi alle prescrizioni in tema di sicurezza. Se un macchinario non è conforme, e lo può essere per motivi molteplici e diversi - anche perché non gestibile il rischio di ribaltamento, attesa la complessità dei calcoli relativi ai diversi livelli di rischio prospettabili dalle variabili modalità operative -, il venditore è tenuto a renderlo conforme oppure, ove impossibile, a escluderne la vendita.
Il sistema prevenzionistico, nella impostazione sottesa ai testi normativi degli anni cinquanta del secolo scorso, era informato al principio dell'azzeramento del rischio, di talché ove questo non fosse del tutto eliminabile risultava preclusa la stessa attività economica. Posto il divieto di vendita di macchinari pericolosi, il venditore deve fare ogni cosa che sia necessario a mettere in sicurezza il macchinario di cui trattasi; e se gli interventi richiesti sono di carattere strutturale, egli dovrà compierli, anche se ciò significa modificare la macchina sino a renderla del tutto diversa e nuova rispetto all'originale. Nell'impossibilità di intervenire, non sussistendo - alla stregua dei principi generali di protezione delle macchine contenuti nel capo IV del titolo terzo del d.p.R. n. 547 del 1955 (articoli 7, 68, 69, 70 e 71)- alcuna impossibilità tecnica elusiva degli obblighi di prevenzione, la macchina alla quale non siano applicabili i dispositivi di sicurezza non può essere costruita, nè venduta, nè posta in uso (in tal senso, Cass., Sez. 4, n. 41985 del 29/04/2003, P.G. in proc. Morra e altro, Rv. 227284). Sicché, ove si determini un infortunio, "l'utilizzazione della macchina o dell'impianto non conforme alla normativa antinfortunistica da parte dell'imprenditore non fa venir meno il rapporto di causalità tra l'infortunio e la condotta di chi ha costruito, venduto o ceduto la macchina o realizzato l'impianto": Cass. Sez. U, Sentenza n. 1003 del 23/11/1990, Tescaro, Rv. 186372.
Tutto ciò, ovviamente, si confronta con il principio secondo il quale l'obbligo giuridico di tacere o di non tacere presuppone la conoscenza o almeno la conoscibilità, con la diligenza richiesta all'agente modello, della situazione tipica che attiva ed attualizza l'obbligo medesimo. Il venditore deve essere stato nella condizione di poter riconoscere la non conformità della macchina; diversamente si porrebbero le basi per un addebito a titolo di responsabilità oggettiva.
La conoscibilità della quale si sta parlando non può essere ritenuta preclusa dalla attestazione di conformità rilasciata dal produttore. L'apposizione del marchio di conformità ha natura certificativa e non esonera alcun ulteriore debitore di sicurezza dall'osservanza della normativa antinfortunistica (innumerevoli le pronunce che affrontano il tema in relazione al datore di lavoro; tra esse Sez. IV, 5 giugno 2008, Stefanelli, rv. 240519 e la giurisprudenza ivi citata). L'impianto normativo, con la previsione di una rete di posizioni di garanzia, nessuna delle quali ha valenza sottrattiva, prelude all'ipotesi di un concorso di condotte trasgressive, ove ciascuno dei garanti abbia omesso di compiere quanto gli è specificamente richiesto.
Proprio perché il sistema di tutela è articolato sul principio dell'apporto contributivo ("nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative sono coinvolti tutti gli operatori ... Ognuno di essi è cioè tenuto ad esercitare il necessario controllo di regolarità prima che esca dalla sfera della sua disponibilità giuridica e di fatto col passaggio alla fase economica successiva." Sez. 3, Sentenza n. 10291 del 27/06/1986, Casali, Rv. 174024), non vi può essere alcun affidamento sulla valenza risolutiva del comportamento del garante che è intervenuto in un tempo anteriore (Sez. IV, 20 aprile 2010, Dall'Asta; ma lo stesso dicasi per il postea).
Rimane quindi confermata l'esistenza del solo limite della conoscibilità della difformità prevenzionistica del macchinario.
Nel caso che occupa l'indagine sulla conoscibilità va condotta in relazione non solo e non tanto alle due componenti separate (minipala e benna miscelatrice) quanto alla macchina risultante dall'abbinamento (così correttamente la Corte di Appello a pg. 19). 
Posto che risulta accertato nei gradi di merito che:
a) il livello di riempimento della benna era pari a 20 cm,
b) che esso era superabile, arrivando a 35 cm,
c) che la benna non aveva tacche o segni che evidenziassero il limite massimo di riempimento;
d) che anche sulla minipala mancava la indicazione del carico massimo tollerabile;
la riconoscibilità dell'assenza di tacche o segni nella benna era del tutto agevole (quanto meno di tacche e segni adeguati), così come la riconoscibilità della inadeguatezza dei valori limite era ricavabile dal libretto di istruzione della benna, che prevedeva come valore massimo quello calcolato su un riempimento non superiore in altezza a 24 cm, mentre la benna permetteva un riempimento sino a 35 cm. ovvero sino alla griglia (vd. sentenza Corte di Appello, pg. 18, nt. 4). Allo stesso modo era riconoscibile la difficoltà di calcolo per un operatore e quindi la necessità di fornire istruzioni più esplicative a corredo della macchina.
Tal ultimo è espressamente previsto dall'art. 171, che richiede apposita targa con tutte le variabili esposte. E la Corte di Appello ha puntualmente annotato: "la targhetta apposta all'Interno della minipala era del tutto insufficiente e fuorviante, essendo carente di ogni indicazione del peso dell'accessorio in dotazione (...) e della capacità di carico con riferimento non solo ai centimetri di riempimento ma anche la baricentro della macchina nelle varie fasi operative" (pg. 19).
Stante la espressa previsione di legge, diviene irrilevante che istruzioni più analitiche fossero nei libretti di istruzione.
10. Anche i tre ultimi motivi del ricorso E.P. risultano infondati.
10.1. Quanto alla violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza, è sufficiente ricordare che l'addebito mosso ad entrambi gli imputati (e sul punto valgono le considerazioni formulate per l'uno valgono anche per l'altro) contempla tanto la colpa generica che la colpa specifica. Com'è noto, la giurisprudenza di questa corte è nel senso che non viola il principio di correlazione con l’accusa la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro che, a fronte di una contestazione di colpa generica per omesso controllo dello stato di efficienza di una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori, affermi la responsabilità a titolo di colpa specifica, riconducibile all’addebito di colpa generica (Sez. 3, n. 19741 del 08/04/2010 - dep. 25/05/2010, Minardi, Rv. 247171); che quando la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione del principio di correlazione non sussiste, essendo consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata (Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007 - dep. 28/09/2007, Lanzellotti, Rv. 237469).
10.2. Circa la capacità impeditiva della condotta doverosa omessa, la motivazione sul punto, che si asserisce omessa, si rinviene a pg. 21 della sentenza.
10.3. Quanto infine al motivo concernente la motivazione con la quale la Corte di Appello ha giustificato la ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche, essa non appare né manifestamente illogica né in violazione di legge. Non manifestamente illogica poiché il riferimento all'omesso risarcimento evidenzia un elemento effettivamente in grado di delineare la personalità del reo e l'effetto sullo stesso prodotto dal reato e dalla stessa celebrazione del processo (posto che ai fini in parola non è indispensabile che si tratti del risarcimento di cui tratta l'art. 62 n. 6 cod. pen.). Neppure in contraddizione con il dettato normativo perché non vi è alcuna preclusione a considerare il risarcimento pur al di fuori dell'ambito di applicazione del menzionato art. 62 n. 6. Quanto alla complessiva valutazione dei diversi elementi disponibili, si tratta di un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità, ove non ricorrenti i vizi previsti dall'art. 606 cod. proc. pen.
10.4. Pertanto, e conclusivamente, anche il ricorso proposto nell'interesse dell'E.P. va rigettato e questi va condannato al pagamento delle spese processuali.
11. Fondato è, all'inverso, il ricorso proposto dal responsabile civile Milano Assicurazioni s.p.a.
Il tema introdotto dal ricorrente concerne la identificazione dei presupposti della responsabilità civile 'derivante da circolazione stradale'. Cosa debba intendersi con tal ultima locuzione è in certa misura controverso. La giurisprudenza di legittimità ricorda che costituisce un dato ormai acquisito (si veda sul punto anche Corte cost. 14 aprile 1969, n. 82) che il concetto di circolazione non rimanda esclusivamente al veicolo in movimento,
rappresentando 'circolazione' anche la sosta su area pubblica o ad essa equiparata. E' però interessante seguire il filo che si dipana lungo i versanti di due non coincidenti interpretazioni, proposte per dare risposta al quesito se davvero tutte le situazioni in cui si produce un danno a veicolo fermo sia riconducibile alla circolazione. Si è infatti ritenuto, a proposito dell'incendio propagatosi da un veicolo, che esso è ricollegabile alla circolazione in quanto sia dipeso da una collisione (così Cass., n. 4575/98) o comunque dal "normale utilizzo funzionale del veicolo assicurato" (così Cass., n. 5146/97), essendo necessario che si evidenzi "un particolare e specifico nesso eziologico con un determinato avvenimento attinente alla circolazione" (Cass., 20 novembre 2003, n. 17626). Si è aggiunto che "una situazione dannosa proveniente da un veicolo fermo va attribuita alla sua circolazione (ai sensi e per gli effetti dell'art. 2054 c.c.) solo quando provenga da causa comunque attinente (e non estranea) alla sua utilizzazione appunto come veicolo, senza l'interferenza di fattori esterni". Più di recente (Cass. 05/08/2004, n. 14998; Cass., 6 febbraio 2004, n. 2302) si è affermato che, poiché anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione di altri veicoli o di persone, la sosta è essa stessa circolazione e che "comprende in sè il complesso delle situazioni dinamiche e statiche in cui è posto il veicolo sulla pubblica via" (Sez. 3, Sentenza n. 3108 del 11/02/2010, Rv. 611293).
Le puntualizzazioni offerte dalla giurisprudenza civile rilevano in questa sede per la capacità di mettere a fuoco un concetto funzionale di circolazione, nel senso che essa va ravvisata quando il veicolo venga adibito allo scopo che gli è proprio (e ciò ricorre anche nell'ipotesi della sosta).
Nel caso che occupa va escluso che il danno sia derivato dalla circolazione del veicolo (la minipala dotata di benna miscelatrice), poiché l'evento non si è verificato nel percorso che questo pure aveva svolto per recarsi al punto in cui il P.E. doveva agganciare il manicotto, ma si è determinato nel compimento dell'operazione di lavoro eseguita da fermo. In questa specifica fase, che rende irrilevante ogni antecedente (incongruamente rimarcato dalla Corte di appello: pg. 12 s.), il veicolo non era più 'in circolazione', ma quale mezzo d'opera era utilizzato per l'operazione per la quale era stato realizzato. Una operazione che non è disciplinata dalle norme in materia di circolazione stradale ma da quelle dei testi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori; a dimostrazione ulteriore della estraneità del fatto dall'ambito della 'circolazione stradale'. Con ciò non si esclude che vi possano essere situazioni nelle quali si realizza un concorso dei complessi normativi; ma ciò non è nel caso di specie, perché quel che rileva non è l'aspetto 'statico' (l'essere stata la macchina adibita alla circolazione stradale e l'essersi verificato l'infortunio su strada pubblica), valorizzato dalla Corte distrettuale, bensì quello dinamico-funzionale sopra descritto, non colto dal giudice territoriale nella lettura della giurisprudenza di legittimità.
Sicché coglie il segno il ricorso del responsabile civile, sia pure unicamente laddove evidenzia che l'evento verificatosi risulta estraneo all'oggetto della polizza RCA relativa al macchinario in parola, per non essere quello riconducibile alla 'circolazione stradale'.
Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, sia pure limitatamente alla condanna del responsabile civile Milano Assicurazioni s.p.a. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili; condanna che quindi va eliminata.
 

 

P.Q.M.
 

 

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del responsabile civile Milano Assicurazioni s.p.a. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili; condanna che elimina.
Rigetta i ricorsi di B.G. ed E.P. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23/4/2013.