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Rischio rapina

Considerazioni di carattere tecnico, a cura della Commissione Nazionale Unitaria Salute e Sicurezza, relative ai contenuti del documento: “LINEE D’INDIRIZZO PER PREVENIRE O RIDURRE I DANNI FISICI E PSICHICI DEI LAVORATORI BANCARI CORRELATI ALLE RAPINE”, elaborato dalla Commissione Tecnica della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, in accordo con le OO SS Nazionali dei Bancari e con l'ABI, presentato ufficialmente a Roma il 17 marzo 2010.
 

Premessa

Per la categoria dei bancari il rischio rapina rappresenta un fenomeno diffuso (a livello europeo l’Italia continua purtroppo a registrare la percentuale più elevata), ampiamente dibattuto all’interno del Sindacato, e più volte oggetto di confronto, anche aspro, con i rappresentanti delle aziende.
Si tratta di un tema difficile da sviluppare anche per le differenti esigenze che vengono espresse dai protagonisti del confronto.
Da un lato le Banche, che hanno l’esigenza di far prevalere la tutela del patrimonio; dall’altro il Sindacato e i RLS che hanno invece l’obiettivo di elevare al massimo i livelli di sicurezza psico-fisica delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il “rischio rapina”, sia per le caratteristiche che per l’entità, “rappresenta per il lavoratore bancario non un rischio generico, cioè quello a cui qualunque persona si trova esposta per il fatto stesso che fa parte di una comunità, ma sicuramente un rischio generico aggravato in quanto viene a gravare per ragioni di lavoro sul dipendente in modo più rilevante che non sugli altri cittadini”: considerazioni importanti condivise dall’INAIL che, in ragione del consolidato orientamento della Giurisprudenza, riconosce tra i rischi professionali anche il “rischio rapina” .
Occorre inoltre aggiungere anche altri due importanti riferimenti:
- il parere espresso dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 179 del 18.2.1988 che considera lo “stress lavorativo” quale agente lesivo con azione prolungata nel tempo, quindi come causa non solo di infortuni ma anche di “malattia professionale”;
- il D.Lgs. n. 38 del 23.2.2000, art. 13 che introduce il concetto di “danno biologico”, riconoscendo la menomazione dell’integrità psicofisica del lavoratore.
Quanto sopra fa ricadere nei confronti del datore di lavoro l’obbligo di attivarsi per prevenire e tutelare i propri dipendenti dal “rischio rapina” e da quelli ad esso correlati: “stress lavoro-correlato”.
Da ciò ne deriva l’importanza che il D.V.R. (documento di valutazione del rischio) nel valutare il “rischio rapina”, oltre a considerare le ricadute fisiche e psichiche, conseguenti ad un eventuale atto criminoso ai danni del lavoratore, si tenga conto anche della tipologia di rischio che, deve essere assimilato tra i “rischi professionali” e quindi non più generico, ma rischio “generico aggravato”.
(essendo stata acclarata l’esistenza di un nesso causa/effetto con l’attività lavorativa del bancario).
È questo un aspetto non trascurabile soprattutto se finalizzato alle iniziative che il datore di lavoro deve adottare per tutelare al meglio la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.
Occorre pertanto fare chiarezza sui due concetti di safety e di security e sui Protocolli che sono firmati tra ABI e Prefetture.
I Protocolli sono accordi operativi e di collaborazione tra aziende e forze dell’ordine al fine di contrastare le azioni criminali e finalizzati esclusivamente a proteggere il patrimonio aziendale (security) - (accordi che derivano da iniziative volontarie e non da obblighi di lesse, e che peraltro non prevedono alcun tipo di coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori - RSA e RLS.
I Protocolli danno un contributo parziale in quanto orientati a “contrastare gli atti criminosi commessi contro le banche” e non sono quindi ne pretendono di essere un surrogato della “valutazione dei rischi” richiesta dal D.Lgs. 81/08.
Di conseguenza tali accordi locali non devono quindi essere confusi, né tanto meno sostitutivi delle attività di prevenzione e protezione della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici (safety) le quali sono invece considerate un obbligo di legge in capo al datore di lavoro.
Sarà compito dei Rls richiedere ai datori di lavoro che le “linee d’indirizzo” vengano assunte nel DVR e le misure di prevenzione da adottare si riferiscano a ogni singola “sede bancaria”, ovvero ad ogni singola agenzia.
 

Le rapine ai danni delle aziende di credito in Italia

Da una recente indagine ABI nel 2008 in Italia sono state consumate 2.160 rapine.
Se l’organico medio per agenzia è di 7,4 colleghi, si può ipotizzare che su una popolazione di circa 340.000 addetti, 16.000 colleghi siano stati vittime di rapine.
Questi numeri considerevoli nelle statistiche ufficiali dell’Inail sono però “invisibili”. Sono considerati “danni collaterali”, vittime senza nome.
Ciò dipende dalle scelte aziendali di non fare, comunque, alcuna denuncia all’Inali, se non in casi sporadici.
 

Le iniziative del Sindacato

La Commissione Nazionale ha da sempre affrontato il rischio rapina come elemento di grave rilevanza per la categoria, cercando di sollecitare gli organismi istituzionale a considerare questa tipologia di rischio come rischio specifico dei bancari, e ad intraprendere tutte azioni necessarie per contenerlo il più possibile. A questo proposito sono state elaborate specifiche linee di indirizzo rivolte alle strutture sindacali e si sono cercati specifici momenti di confronto con l’ABI.
A fronte di questo quadro, al quanto complesso e delicato, nel luglio del 2007 dopo un esposto del sindacato aziendale in BNL in materia di rischio rapina, la ASL di Milano, su iniziativa del Dott. Pianosi, ha emesso un dispositivo le cui motivazioni innovative hanno permesso di avviare un costruttivo confronto parallelo, di Abi e Sindacati nazionali, con la ASL milanese.
Dopo alcuni mesi di tale confronto a “distanza”, la Conferenza Stato-Regioni, attraverso una sua commissione tecnica coordinata dal Dott. Pianosi, ha avviato un tavolo istituzionale di merito sul rischio rapina insieme alle parti sociali, le cui importanti risultanze sono state tradotte in un documento di indirizzo (che vi alleghiamo) valido per tutto il settore e che unitamente alle considerazioni di carattere tecnico di seguito elencate, vi invitiamo a tenerne debitamente conto in sede di confronto aziendale.
 

Il Documento
La gestione del rischio rapina: quali problemi?

La filosofia del D.Lgs 81/08 non è certo quella di tutelare il patrimonio della banca ma di obbligare il datore di lavoro ad eliminare o ridurre al massimo tutti i rischi a cui sono esposti i dipendenti ed i clienti a seguito di un evento criminoso (Rischi particolari). Ad esso infatti il legislatore attribuisce la responsabilità di tutelare i lavoratori non da un rischio generico, ma da un rischio generico aggravato, perché connesso al tipo di lavoro svolto, è un “rischio della professione”.
- Ci sono fattori sui quali la banca non ha alcun potere di incidere, ma di cui si deve tener conto: fattori socio-economici, le caratteristiche dei luoghi in cui è collocata l’agenzia, la diffusione di fenomeni criminosi, la percezione dei rapinatori sulla vigilanza esercitata dalle Forze dell’Ordine l’entità del bottino atteso, le caratteristiche del territorio;
- ci sono rischi di subire traumi psicofisici che coinvolgono sia i dipendenti che i clienti - rischi legati al comportamento dei rapinatori e alle reazioni dei dipendenti o dei clienti - alla durata dell’evento - all’uso delle armi da parte delle Forze dell’Ordine - a danni psicofisici quando si vivono tensioni di notevole gravità o quando sono legati al timore, alla percezione, di essere coinvolti in una rapina;
- la prevenzione negli ambienti di lavoro, circa le misure necessarie per tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori, legate alla particolarità del lavoro, deve essere verificata congiuntamente tra le rappresentanze dei lavoratori ed il datore di lavoro, secondo le modalità previste dalla legge o dagli accordi collettivi.
 

La valutazione del rischio di subire una rapina

- L’ABI ha sottoscritto “Protocolli per la prevenzione della criminalità in banca” con più di 80 Prefetture con l’obiettivo di promuovere forme di collaborazione con le Forze dell’Ordine al fine di prevenire gli eventi criminosi;
- i Protocolli sono il principale riferimento utilizzato dalle banche per valutare il rischio rapina. A tale proposito l’art. 3 (la cui impostazione è stata sempre contestata dal Sindacato in quanto tende ad alleggerire le responsabilità delle banche scaricandole sulle Forze dell’Ordì ne), condiziona la possibilità di accadimento della rapina a “molteplici fattori esogeni” che esulano dall’intervento delle banche;
- tale affermazione è parziale in quanto oltre ai fattori esogeni concorrono anche altri fattori sui quali la banca può incidere: l’appetibilità (la capacità di una sede di attirare l’interesse dei rapinatori) e l’accessibilità delle sedi bancarie (l’entità del rischio che il rapinatore stima nell’entrare e uscire dalla banca);
- ogni agenzia dovrà esplicitare almeno 4 misure effettivamente adottate su un elenco di 13 al fine di valutare la congruenza tra l’appetibilità/vulnerabilità di una certa agenzia e le misure concrete adottate che devono essere:
a) sottoposte a periodica verifica e manutenzione, ben segnalate e facilmente comprensibili;
b) valutarne la loro efficacia volta a ridurre danni psicofisici, oltre a diminuire la probabilità di rapina.
 

Rischio patrimoniale (security)

L’evento criminoso colpisce il patrimonio e l’immagine dell’azienda

Il rischio rapina va gestito con attività pianificate di prevenzione e protezione dei danni patrimoniali agendo essenzialmente su due parametri:
- “l’appetibilità” del bottino (quanto denaro il rapinatore ritiene di poterne asportare);
- la “vulnerabilità” e l’accessibilità della custodia dei valori dell’agenzia (quanto è facile o difficile assaltarla).
 

Rischio salute e sicurezza per lavoratrici e lavoratori (safety)

Il datore di lavoro nel valutare il rischio riferito ad eventi criminosi collegati all’attività lavorativa del bancario, dovrà adottare misure di prevenzione e di protezione volte a prevenire traumi e danni psicofisici nel corso e a seguito di rapina.
Egli per misurare il rischio safety, ha la piena responsabilità per come viene organizzato e per come sono scelti i fattori di contrasto che condizionano l’accesso dentro il luogo di lavoro.
Tale responsabilità non può essere concorrente con quella di altri soggetti istituzionali, comprese le Forze dell’Ordine.
 

Gli obblighi del datore di lavoro

Al fine di prevenire e proteggere la salute psicofisica dei lavoratori il legislatore prescrive numerose incombenze in capo al datore di lavoro:
- ha il compito di coltivare la cultura e tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori attraverso una fattiva azione di prevenzione;
- nel redigere il DVR deve indicare ed attuare “il complesso delle disposizioni o misure anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire tutti i rischi” che possono incidere sull’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (D.Lgs. 81/08, art. 2, lett. n) e art. 28, ed art. 2087 del c.c.) che è il reale oggetto della valutazione del rischio rapina e non la tutela del patrimonio aziendale;
- ha la piena responsabilità per come vengono organizzati e scelti gli strumenti di contrasto dentro il luogo di lavoro, e non il contrasto delle azioni criminali in quanto tali che deve avvenire fuori della sede di lavoro attraverso l’intervento delle Forze dell’Ordine;
- effettua la valutazione dei rischi dopo aver consultato i RLS, (comma 2 dell’art.29), i quali possono dare un contributo prezioso attraverso le conoscenze derivanti dalla quotidiana esperienza dei lavoratori;
- effettua una specifica valutazione del rischio rapina per ogni sede che ha il concreto rischio di essere rapinata evitando di effettuare una valutazione standard da applicare a tutte le sedi.
Inoltre il datore di lavoro deve comunicare per via telematica all’Inail i dati e le informazioni relativi agli infortuni a seguito di rapina che comportino l’assenza per malattia di almeno un giorno (art. 18/81 p.r)
 

La valutazione del rischio rapina

Accanto ai Protocolli, che come abbiamo detto non sostituiscono e non esauriscono l’obbligo del datore di lavoro di effettuare una completa valutazione di tutti i rischi, è importante individuare anche atri aspetti integrativi:
- ricercare i fattori modificabili che possono aumentare il rischio di rapina (l’appetibilità e l’accessibilità);
- valutare eventuali situazioni di rischio connesse alla presenza nella sede di soggetti vulnerabili (disabili, donne in gravidanza ecc.):
- individuare una strategia complessiva che consideri tanto l’efficacia del contrasto degli atti criminosi attraverso la scelta coerente di sistemi di sicurezza di cui all’art. 4 dei Protocolli, quanto la massima tutela possibile della salute e della sicurezza dei lavoratori e clienti presenti all’interno della banca;
- definire per ciascuna sede il mix di misure più adatto a mettere in pratica la strategia prescelta;
- valutare i rischi che può determinare l’attività cosiddetta di “prelievo a domicilio o family bank”;
- prendere in considerazione i possibili effetti negativi sulla salute dei lavoratori e dei clienti delle misure assunte qualora la rapina abbia luogo;
- il rischio safety è un processo dinamico che deve tener conto dei cambiamenti tecnologici, organizzativi ed ambientali;
- le misure adottate vanno aggiornate nel tempo e sottoposte a revisione della valutazione e delle misure di prevenzione subito dopo la rapina (art. 29, comma 3, D.Lgs. 81/08).
 

Il DVR e la riservatezza delle informazioni

Tenuto conto della delicatezza e della specificità del rischio è opportuno adottare tutte le opportune cautele per garantire il massimo di riservatezza.
- i RLS. i RSPP. il medico competente e gli organi di vigilanza nello svolgimento delle loro funzioni sono tenuti al riserbo per non ridurre l’efficacia delle misure (art. 50, comma 6, D.Lgs. 81/08);
- a tale proposito il datore di lavoro deve indicare chiaramente le informazioni riservate (utilizzando appositi allegati nel DVR), dal momento che nella valutazione del rischio rapina e nelle misure conseguenti adottate, non tutte hanno carattere di riservatezza, anzi alcune di esse sono tanto più efficaci quanto più sono rese pubbliche.
- la riservatezza non può significare che ci possano essere vincoli, materiali e/o temporali, nella consegna tempestiva ai Rls del DVR, anche se come prevede la legge è consultabile solo in azienda.
 

Che fare ?

1) Prevenire e mantenere il rapinatore al di fuori del luogo di lavoro attraverso due parametri che riducono:
- l’appetibilità e l’accessibilità del bottino (erogazione temporizzata ecc.);
- la vulnerabilità della custodia dei valori (bussola, metal detector, vigilanza, rilevatore biometrico, video, perimetrazione attiva/passiva ecc.) - prevenzione e protezione di 1° livello - sono misure che se funzionanti risolvono alla radice gran parte dei danni psicofisici.
2) Superato il 1° livello di prevenzione, entrato il rapinatore in banca, occorre prevenire e contenere il rischio introdotto dal soggetto criminale, intervenendo e limitando il più possibile l’esposizione al rischio dei lavoratori e clienti (la durata del contatto) adottando e promuovendo misure integrative e comportamentali virtuosi attraverso una formazione effettiva e verificata (l’addestramento), le simulazioni al fine di limitare i rischi collegati allo stress lavoro-correlato.
 

La rapina in corso: ... è una emergenza !

Questo è un aspetto fondamentale ed innovativo nella valutazione del rischio rapina che richiede da parte dei Rls un’attenzione particolare, perché si tratta di impegnare le aziende, in via preventiva, ad assumere scelte che definiscano in modo puntuale comportamenti idonei a gestire una situazione di emergenza, ovvero una situazione che può avere un forte impatto fisico e psichico per le persone coinvolte.
Se le misure adottate non sono riuscite ad impedire l’ingresso dei rapinatori, nella sede bancaria si crea una situazione di emergenza (art. 43, D.Lgs. 81/08) in quanto i lavoratori ed i clienti si trovano esposti ad un pericolo grave ed immediato, rappresentato dal rapinatore e dalle conseguenze (fisiche e psichiche) dei suoi comportamenti.
L’emergenza ha inizio quando il rapinatore entra in banca e termina quando cessa ogni situazione di pericolo per le persone coinvolte.
Il datore di lavoro deve quindi organizzare ciò che è necessario per affrontare l’evento criminoso:
designando preventivamente i lavoratori incaricati a gestire questa emergenza (art. 18, comma 1, lettera b), D.Lgs. 81/08);
- predisponendo le misure opportune per gestire questa emergenza (art. 18, coma 1, lettera t) D.Lgs. 81/08) da realizzare secondo le disposizioni dell’art. 43, D.Lgs. 81/08, assicurando ai lavoratori le garanzie ed i diritti di cui all’art. 44, D.Lgs. 81/08 in caso di pericolo grave, ed organizzando le attività di primo soccorso (art. 45, D.Lgs. 81/08).
 

I lavoratori incaricati di gestire l’emergenza rapina

In ogni sede bancaria il preposto o chi eventualmente incaricato di sostituirlo (verificare se l’incarico viene attribuito con sub delega) deve ricevere una specifica e periodica formazione, finalizzata a gestire le situazioni di emergenza, nonché una puntuale informativa in ordine alle proprie responsabilità al fine di svolgere il proprio compito con consapevolezza.
I lavoratori occupati nelle sedi bancarie dovranno essere specificamente formati affinché possano contribuire a prevenire ogni possibile rischio di traumi psicofisici.
In particolare sarà necessario fare attenzione agli aspetti di tipo emotivo e relazionale che possono essere acquisiti sulla base di conoscenze teoriche, ma soprattutto attraverso una didattica attiva.
In entrambi i casi non si tratta di rispettare solo la legge (art. 37, comma 9, D.Lgs. 81/08), ma di investire sulla creazione di competenze utili a gestire situazioni di particolare rischio onde prevenire possibili conseguenze per le persone.
 

La gestione dell’emergenza rapina
Secondo quanto previsto dall’art. 43, D.Lgs. 81/08

Vanno definiti i rapporti con le Forze dell’Ordine affinché si tenga conto di evitare sia conflitti a fuoco all’interno della sede bancaria o nelle sue prossimità, sia interventi intempestivi che possano prolungare la permanenza del rapinatore in banca.
Vanno informati e formati i lavoratori potenziali vittime di una rapina (art. 37, D.Lgs: 81/08), tenendo conto degli aspetti emotivi e relazionali, attraverso forme di didattica attiva o simulazioni.
Anche la clientela dovrà essere messa a conoscenza, in modo chiaro e visibile, delle misure di prevenzione, relative al rischio rapina, adottate dall’azienda.
Per la gestione delle rapine sarà necessario valutare anche gli effetti delle misure adottate per la prevenzione, con riferimento a quanto previsto dall’art. 4 dei Protocolli, al fine di tutelare al massimo la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei clienti:
- la vigilanza con guardie armate i cui comportamenti non devono concorrere a conflitti armati dentro o in prossimità della sede bancaria;
- il video collegamento/video sorveglianza, la video registrazione, l’allarme anti-rapina devono avere modalità di effettuazione che evitino interventi intempestivi delle Forze dell’Ordine;
- l’efficacia dei dispositivi di custodia valori ad apertura ritardata o di erogazione temporizzata. va confrontata con il rischio che aumentino la durata della rapina
 

L’organizzazione del primo soccorso

Nel caso dovessero esserci, nonostante le misure adottate, danni psicofìsici, per il datore di lavoro assume grande importanza la corretta gestione del primo soccorso.
In caso di traumi fisici e psichici vanno prestate le prime cure sul posto, sia che si tratti di lavoratore, sia di cliente, tenendo conto realisticamente, di quanto può essere fatto da persone non professionalizzate. Qualora necessitino cure specializzate, a richiesta degli interessati, va organizzato il trasferimento al più vicino pronto soccorso.
Costituisce, inoltre, evento gravemente traumatico anche il partecipare in qualità di spettatore ad eventi gravemente scioccanti in cui sono coinvolte altre persone.
Fondamentale per l’organizzazione del primo soccorso il contributo del medico competente che, in relazione alla specificità del lavoro, dovrà predisporre l’attuazione di misure per tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori, anche attraverso una sorveglianza sanitaria specifica e coadiuvando all’attività di informazione e formazione.
Dovrà essere prerogativa dei Rls, nella definizione del DVR, avere un molo di controllo e di verifica preventiva affinché quanto previsto dalle linee d’indirizzo, in tema di gestione dell’emergenza, sia concretamente perseguito dal datore di lavoro.
 

La valutazione dei traumi psichici

Nell’ottica del massimo contenimento del danno, è opportuno, attraverso un programma di interventi, valutare la possibile esistenza di danni psichici legati a disturbi post traumatici da stress (DPTS).
Il DPTS è una risposta ritardata e protratta ad un evento stressante o a situazioni (di breve o lunga durata) di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica.
Tale rischio si può contenere attraverso il metodo del Debriefing che favorisce l’elaborazione verbale dell’accaduto in modo che le vittime non si sentano isolate e sentano il sostegno della comunità in cui vivono.
Nell’attività di valutazione precoce di eventuali danni psichici, centrale è il ruolo del medico competente che deve ricevere un adeguato addestramento.
Si dovrà tener conto anche del rischio percepito di trovarsi o ritrovarsi coinvolti in una rapina, a causa del tipo di lavoro che si svolge. Studiosi hanno dimostrato 1’esistenza di una risposta di “allarme” generalizzato che impedisce al paziente di regolare la propria reazione di paura anche in presenza di stimoli non minacciosi.
 

La vigilanza sui rischi connessi alle rapine

La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza è svolta dall’azienda sanitaria locale (ASL) competente per territorio (art. 13, D.Lgs. 81/08).
L’attività di vigilanza sulla gestione dei rischi connessi deve porsi gli scopi di:
- verificare se il datore di lavoro e i dirigenti hanno rispettato gli obblighi previsti dall’art. 18 D.Lgs. 81/08:
- verificare se nell’attuazione di tali misure siano state seguite corrette procedure (ad es. consultazione dei RLS in tutti i casi previsti dalla legge, struttura del DVR conforme a quanto previsto all’art. 28. comma 2, D.Lgs. 81/08):
- verificare l’effettiva adozione delle misure di prevenzione e protezione dichiarate nel DVR.
 

Considerazioni Conclusive
La contrattazione partecipata ed il rapporto tra RLS e RSA

Come abbiamo sempre sostenuto, la salute dei lavoratori è un bene primario, sancito dalla Costituzione, dalle norme Comunitarie e dalle leggi vigenti.
Il nostro Ordinamento, tramite due specifiche leggi, tra i vari soggetti deputati alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, affida questo difficile compito anche alle RAPPRESENTANZE dei LAVORATORI

-La L. 300/70 - Statuto dei lavoratori - individua e regolamenta la figura del RSA a cui, tra i vari compiti, gli riconosce anche il diritto/dovere di: “controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali” (art. 9).
-Il D.Lgs 81/08 (e in precedenza il D.Lgs. 626/94) individua e regolamenta la figura del RLS, attribuendogli il compito specifico di: “rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro” (art. 2, comma 1, lettera i).
Il RSA svolge un molo conflittuale, partecipativo e rivendicativo che gli consente di realizzare accordi sulle condizioni di lavoro in generale, il RLS invece, in ottemperanza a quanto previsto dal D.Lgs. 81/08 (ed in particolare dall’art. 50), svolge in modo partecipativo e collaborativo (e quindi non contrattuale), un molo specifico ed attivo, su tematiche attinenti la salute e la sicurezza.
Si tratta di due figure di rappresentanza importanti per la difesa e salvaguardia degli interessi dei lavoratori.
Due facce della stessa medaglia in quanto complementari tra loro, che se opportunamente armonizzate nel loro operare, possono essere un eccellente strumento di tutela delle condizioni di lavoro.
Ciò non significa e non deve significare che gli uni si sostituiscano agli altri e/o viceversa.
Anzi, questi due soggetti per essere vincenti e svolgere al meglio il loro compito di “rappresentanti dei lavoratori”, hanno bisogno di dialogare e di collaborare mettendo a fattor comune le proprie rispettive conoscenze, competenze ed esperienze.
Il RSA ha bisogno delle competenze specifiche, e quindi del contributo del RLS, per predisporre le piattaforme rivendicative su tematiche attinenti la salute psicofisica e la sicurezza dei lavoratori come ad es.: carichi e ritmi di lavoro - orari particolari - pressioni commerciali - ambienti di lavoro - le conseguenze psicofisiche derivanti da rapina, mobbing ecc..
Allo scopo pertanto è auspicabile che il RLS partecipi sempre, insieme al RSA, all’elaborazione ed alla negoziazione delle piattaforme rivendicative, se non altro in qualità di “tecnico/esperto”.
Il RLS, per contro, non avendo una funzione negoziale, ha bisogno delle competenze e della forza contrattuale del RSA per realizzare concretamente proposte ed iniziative importanti sulle tematiche di cui sopra, ma anche per rafforzare il suo molo, aumentandone i propri diritti di RLS in termini di agibilità, come ad es.: maggiori ore di formazione - maggiori informazioni sulle novità tecniche e legislative - maggiori modalità di relazione e confronto con i lavoratori, attraverso strumenti informatici ed assemblee ecc..
Sarebbe infatti molto utile (per il Sindacato, il RLS, ma anche per gli stessi lavoratori) se, in occasione delle assemblee sindacali dei lavoratori, fosse previsto uno spazio di discussione dedicato al tema della salute e della sicurezza in azienda.
Il RLS è un soggetto importante nel campo della prevenzione in materia di salute e sicurezza, ma nel contempo è anche il più debole.
Occorre quindi uno sforzo comune, RSA e RLS, ma soprattutto da parte del Sindacato per invertire questa tendenza, investendo maggiormente su una cultura che veda finalmente i due soggetti lavorare insieme in un modello relazionale partecipativo, pur operando in moli distinti tra loro, ma orientati in un’unica direzione.
Solo con il contributo di tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione, è possibile tendere verso un concreto coinvolgimento dei lavoratori sui temi della salute e della sicurezza in azienda, promuovendo la creazione di una comune cultura della sicurezza ed una corretta partecipazione attiva, rivolta nello specifico anche a saper meglio confrontarsi con il rischio rapina.

Roma 26 Aprile 2010

 

La Commissione Nazionale Salute e Sicurezza

Le Segreterie Nazionali