Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 gennaio 2019, n. 976 - Demansionamento e mobbing


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: TRICOMI IRENE Data pubblicazione: 16/01/2019

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'Appello di Roma ha rigettato l'appello proposto da A.A. nei confronti dell' Amministrazione provinciale di Roma, nonché l'appello incidentale condizionato proposto da quest'ultima, entrambi proposti avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma.
2. La A.A., già dipendente dell'Amministrazione provinciale di Roma con la qualifica di funzionario tecnico laureato, categoria D, poi in pensione dal 1^ gennaio 2010, con ricorso dell'11 settembre 2009, aveva adito il Tribunale assumendo di essere stata demansionata e di non aver avuto accesso agli incarichi per i quali l'art. 18 della legge n. 109 del 1994 prevedeva la corresponsione di incentivi economici in favore di progettisti, direttori e collaudatori di opere pubbliche, nonché di avere subito gravi danni in conseguenza del comportamento vessatorio e discriminatorio tenuto nei suoi confronti da numerosi dirigenti e dipendenti dell'Ente tra il 2001 e il 2007.
Chiedeva, quindi, l'accertamento del mobbing e della dequalificazione professionale subita, il risarcimento del danno da perdita di professionalità e da perdita di chances, del danno non patrimoniale, del danno all'immagine professionale e del danno biologico per un totale di euro 1.300.000,00 circa, nonché il danno morale nella misura del 30% del danno biologico.
3. Il Tribunale rigettava la domanda.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la A.A. prospettando cinque motivi di ricorso.
5. Resiste l'Amministrazione provinciale di Roma con controricorso.
6. In prossimità dell'udienza pubblica la A.A. ha depositato memoria.
7. Quale successore, ex lege n. 56 del 2014, dell'Amministrazione provinciale di Roma, si è costituita in giudizio la Città metropolitana di Roma Capitale.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell' art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 2697 cod. civ., e dei principi generali sulla ripartizione dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Assume la ricorrente che la Corte d'Appello escludeva il demansionamento in ragione del libero interrogatorio e della documentazione in atti senza precisazioni e dunque con formule di stile.
Espone di aver contestato di avere svolto le mansioni di direzione dei lavori come invece prospettato dall'Amministrazione, deducendo, anzi, lo svolgimento di mansioni riferibili alla categoria professionale A (meccanico, autista , usciere). Erroneamente, quindi la sentenza di appello, disattendeva l'art. 2697 cod. civ. e la 
disciplina riguardante la distribuzione dell'onere della prova, atteso che i fatti di causa non erano pacifici tra le parti.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata, ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell'art. 2103 cod. civ., dell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 124, 157, 163, 168, 169 del dPR n. 554 del 1999, nonché dell'art. 3, comma 4, del CCNL di comparto Enti locali del 31 marzo 1999, della declaratoria cat. D, allegato A.
Erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che le nuove mansioni affidate alla ricorrente fossero tali da escludere il demansionamento, senza raffrontarle con la declaratoria di funzionario tecnico-laureato, cat. D, posizione tecnica D3, ex Vili qualifica funzionale del CCNL Regioni ed enti locali del 31 marzo 1999, e con quelle di direttore dei lavori di cui all'art. 124 del dPR n. 554 del 1999.
Il giudice di secondo grado si era limitato a fare riferimento alle verifiche dei lavori effettuato dalla Cofatech in 113 edifici scolastici, senza fornire motivazioni in ordine alla specificità e congruità delle ragioni che giustificherebbero tale affermazione e incorrendo in errore nell'interpretare l'art. 124 del dPR n. 554 del 1999, oltre che delle norme della contrattazione collettiva sopra richiamate.
La ricorrente richiama la declaratoria contrattuale cat. D e riporta il contenuto dell'art 124 del dPR n. 554 del 1999, rilevando come dal raffronto tra gli stessi emerge che le mansioni che l'Amministrazione assume di avere conferito alla A.A. erano ben lungi dal corrispondere alle funzioni proprie del direttore dei lavori, come risulta dagli artt. 124, 157, 168 e 169 del dPR citato, nonché dagli artt. 15, 16 del capitolato di appalto approvato con DM 19 aprile 2000 n. 145, e dall'art. 71 del dPR n. 554 del 1999, come applicati nel sistema degli appalti di opere di natura pubblica, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità e contabile.
Dunque la Corte d'Appello escludeva il demansionamento senza effettuare alcun raffronto tra le mansioni di cui alla cat. D e la qualifica del direttore dei lavori ex art. 124 del dPR n. 554 del 1999, raffronto da cui non si poteva prescindere.
2.1. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi non sono fondati.
2.2. La Corte d'Appello dopo avere ricapitolato i motivi di appello ha precisato che occorreva verificare quali fossero le mansioni svolte dalla ricorrente fino al mese di novembre 2001 e quali le mansioni successivamente svolte, oltre a vedere se il demansionamento e il mancato conferimento di ulteriori incarichi realizzavano un contesto di mobbing, e infine verificare l'eventuale danno risarcibile. 
2.3. Precisa, quindi, che la controversia riguarda il periodo successivo alla determinazione dirigenziale n. 88 del 2001, allorché l'Amministrazione convenuta ebbe ad approvare la graduatoria del concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di 12 posti di funzionario tecnico (ex V. q.f.) riservata al personale già dipendente. La ricorrente si qualificava al sesto posto e veniva assunta con decorrenza 14 maggio 2001 nella categoria D, posizione economica D3, profilo professionale funzionario tecnico, venendo assegnata al servizio 2 del Dipartimento IV, Edilizia scolastica, come altri due architetti.
Avendo l'Amministrazione deciso di assegnare ai vincitori del concorso la direzione di una sezione all'interno dei servizi, alla ricorrente veniva assegnato l'incarico di direttore dei lavori della gestione del calore e degli impianti di sollevamento di tutti gli edifici scolastici del servizio 2 Dipartimento X.
2.4. Il giudice di secondo grado esamina le precedenti mansioni, rilevando che in precedenza aveva ricoperto la qualifica di Disegnatore coordinatore, in qualità di collaboratore del Capo Sezione, svolgendo mansioni di progettista per lavori di manutenzione straordinaria, ristrutturazione degli edifici scolastici provinciali.
2.5. Al momento dell'assegnazione della direzione dei lavori della gestione del calore e degli impianti (in data 3 dicembre 2001), era stato sottoscritto (novembre 2001) un appalto novennale tra l'Amministrazione e TATI Zanzi spa (poi Cofatech) per i servizi di manutenzione di tutti gli impianti termici di tutti gli immobili di pertinenza dell'Ente, con scelta organizzativa del datore di lavoro che, afferma la Corte d'Appello non veniva compiuta per privare preventivamente l'Armadio di spazi professionali.
2.6. Tanto premesso, occorre ricordare che questa Corte (Cass. n. 11405 del 2010), ha affermato che in tema di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita.
L'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della p.a., solo al criterio dell'equivalenza
formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo all'art. 2103 cod. civ. ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, cui fa riferimento ad abundantiam la Corte d'Appello, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass., S.U., n. 8740 del 2008, Cass. n. 7106 del 2014).
2.7. Nella specie la censura relativa al mancato riconoscimento del demansionamento è prospettata in modo generico e privo di rilevanza, in ragione della giurisprudenza da ultimo richiamata, con riguardo alle mansioni svolte in precedenza, che la Corte d'Appello comunque ricapitola. La doglianza si incentra da un lato sull'appalto, consistente nell'affidamento di un servizio integrato (Global Service Manutentivo) di manutenzione e gestione degli impianti tecnologici degli immobili di pertinenza dell'Amministrazione provinciale, individuati nell'allegato A "Elenco immobili ed impianti", che avrebbe compresso le proprie competenze, dall'altro, sulla mancata corrispondenza delle mansioni a quelle di direttore dei lavori secondo l'art. 124 del dPR n. 544 del 1999.
2.8. Dunque, correttamente la Corte d'Appello ha considerato l'inquadramento nella cat. D della lavoratrice in relazione all'oggetto dell'appalto, rilevando che la sussistenza del contratto di appalto non sminuiva l'inquadramento nella cat D e la funzione di direzione demandata alla lavoratrice.
In proposito occorre chiarire che la funzione di direttore dei lavori della gestione del calore e degli impianti di sollevamento in tutti gli edifici scolastici, deve essere ricondotta agli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore (direttore tecnico dei lavori), di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, con conseguente esclusione di ogni esenzione di responsabilità per l'ente committente (cfr., Cass., n. 13266 del 2000, n. 25408 del 2016), svolti nella specie mediante proprio funzionario, incaricato di soprintendere all'insieme delle attività relative al settore di competenza.
Dunque nella specie la lavoratrice con l'incarico in questione non aveva conseguito il diritto alla nomina a direttore dei lavori rispetto alle singole opere da realizzare rientranti nell'oggetto dell'appalto, ex art. 124 del dPR 544 del 1999, ma allo svolgimento di quei compiti di autorizzazione, controllo ed ingerenza propri della PA, in coerenza con quanto previsto dalla declaratoria della categoria D del CCNL 1999 enti locali, cui appartengono i lavoratori, tra cui la figura professionale di architetto, che svolgono attività caratterizzate da: elevate conoscenze plurispecialistiche ed un grado di esperienza pluriennale, con frequente necessità di aggiornamento; contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo con responsabilità
di risultati relativi ad importanti e diversi processi produttivi/amministrativi; elevata complessità dei problemi da affrontare basata su modelli teorici non immediatamente utilizzabili ed elevata ampiezza delle soluzioni possibili; relazioni organizzative interne di natura negoziale e complessa, gestite anche tra unità organizzative diverse da quella di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo diretto anche con rappresentanza istituzionale. Relazioni con gli utenti di natura diretta, anche complesse, e negoziale.
2.9. La Corte d'Appello ha rilevato che il Servizio 2, Progettazione, direzione lavori, manutenzione e ristrutturazione edilizia scolastica zona nord del Dipartimento IV (poi X) della Provincia di Roma aveva competenza in materia di progettazione preliminare, definitiva, esecutiva e direzione dei lavori per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di ristrutturazione generale, di ampliamento di edifici scolastici, di costruzione di nuove scuole, di predisposizione del programma delle opere pubbliche di edilizia annuale e triennale. Per tutti gli edifici scolastici, inoltre, il medesimo servizio era incaricato della gestione degli impianti tecnologici (termici, elettrici e idraulici), degli impianti anti-intrusione, di quelli elevatori, degli impianti di depurazione nonché della manutenzione straordinaria e ordinaria delle aree a verde.
2.10. La Corte d'Appello alla luce di quanto risultante dalla documentazione in atti poneva in evidenza che l'appaltatore doveva operare con autonoma iniziativa e sotto gli indirizzi della direzione del committente per individuare, proporre e risolvere i problemi connessi con la funzionalità, il deterioramento, la conservazione, il ripristino e l'adeguamento tecnico e funzionale degli impianti tecnologici.
2.11. In ragione di ciò, correttamente la Corte d'Appello ha affermato, con apprezzamento di fatto che si sottrae a censure, che, in presenza di detto appalto, i compiti effettivamente svolti dalla ricorrente non erano limitati a mera attività di passaggio di segnalazioni e richieste di interventi, o semplice controllo della contabilità della manutenzione, ma comportavano (come dichiarato in sede di interrogatorio libero, ma anche supportato dalla documentazione in atti e dai più elementari principi della contabilità di Stato) una pregnante attività di verifica sugli interventi effettuati e sulla regolarità contabile degli stessi. La direzione e la struttura alle sue dipendenze aveva il compito di sovrintendere al controllo della prestazione fornita con l'appalto e poteva disporre le proprie indicazioni e mediante ordini verbali e scritti preferibilmente indirizzati al responsabile tecnico dell'impresa ma anche dei collaboratori.
Quindi l'arch. A.A. doveva verificare in ogni fase i lavori dell'appaltatore, attività che comportava trasferte presso gli istituti scolastici di propria competenza. Dall'approvazione dei lavori dipendeva il riconoscimento del servizio effettuato. 
Di conseguenze le mansioni svolte risultavano, in ragione di una corretta e articolata motivazione della Corte d'Appello che, come si è sopra esposto, non si limita a fare generico riferimento ai documenti e dichiarazioni della lavoratrice e senza quindi alcun inversione dell'onere della prova come prospettato dalla ricorrente, congrue alla rivestita qualifica di funzionario tecnico laureato cat. D, e anche tali da arricchire le esperienze professionali già acquisite.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto vizio di motivazione insufficiente e contraddittora sul fatto controverso e decisivo del contenuto effettivo delle nuove mansioni attribuite alla ricorrente e sull'omesso esame dei documenti che lo comprovano ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
È censurata la statuizione della Corte d'Appello che ha ritenuto una ingiustificata insoddisfazione della ricorrente per l'attribuzione dell'Incarico di direttore dei lavori della gestione calore e degli impianti di sollevamento in tutti gli edifici del servizio 2 del Dipartimento IV, al quale peraltro era seguito l'ulteriore incarico di direttore dei lavori relativi a tutti gli altri impianti, tecnologici, mentre il servizio che le era stato affidato era certamente delicato, impegnativo rilevante, in termini di professionalità e complessità per le considerazioni già svolte.
Ed infatti, assume la ricorrente che solo sulla carta le era stato conferito l'incarico di direttore dei lavori ai sensi dell'art.124 del dPR n. 554 del 1999, ma allo stesso non era seguito l'ulteriore incarico di direttore dei lavori relativamente a tutti gli altri impianti tecnologici.
L'incarico vuoto di direttore dei lavori venne sostituito, con provvedimento datoriale prot. 138/E del 28 luglio 2006, con quello di incaricato della direzione del servizio tecnico - Dipartimento X, LL.PP., incarico inferiore a quello spettante in base all'inquadramento conseguito. Tali compiti furono ulteriormente ridotti perchè l'incarico di verificare i lavori su 113 edifici scolastici venne ridotto a una trentina di edifici. Pertanto la sentenza presenta motivazione insufficiente e contraddittoria sul fatto del contenuto effettivo delle nuove mansioni a direttore ei lavori ex art. 124 del dPR n. 554 del 1999.
3.1. Il motivo non è fondato. Come si è esposto nella trattazione dei precedenti motivi di ricorso, la ricorrente prospetta erroneamente la sovrapposizione tra le funzioni di direzione conferitele, riconducibili alle mansioni della cat. D del CCNL enti locali 1999, senza che su ciò incidesse l'appalto in corso o la quantità numerica degli edifici da verificare, e la diversa figura del direttore lavori ex art. 124 del dPR n. 544 del 1999
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 18, comma 1-bis, della legge n. 109 del 1994, come mod. dalla legge n. 191 del 1998 e del regolamento adottato dalla Giunta provinciale con deliberazione n. 672/24 del 15 giugno 2005, nonché dell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, e dell'art. 2103 cod. civ., e del principio di ragionevolezza ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Motivazione insufficiente, contraddittoria e illogica ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Con l'atto di appello si rilevava che nell'appalto del servizio aggiudicato dall'ATI Global Service non venivano corrisposti gli incentivi di cui all'art. 18 della legge n. 109 del 1994, e che dal 2001 al 2007 la A.A. riceveva solo due piccoli effettivi marginali incarichi di direttore dei lavori e due collaudi, e quindi, incarichi inferiori rispetto agli altri colleghi.
La ricorrente quindi riporta uno stralcio dell'atto di appello e parte del contenuto dei regolamenti adottati dalla Provincia in relazione all'art. 18 cit.
Deduce, quindi, che la decisione di secondo grado risultava insufficiente e contraddittoria atteso che, mentre riconosceva che la lavoratrice era stata esclusa dagli incentivi per i cd. progetti obiettivo, aggiungeva che, tuttavia, nella rotazione gli erano stati assegnati degli incarichi.
La sentenza di appello non teneva conto del fatto controverso costituito dall'avere percepito ciascun funzionario tecnico cat. D, durante l'arco temporale 2001-2009, l'importo complessivo di circa 350.000,00 euro, mentre alla A.A. era stata erogata una somma di gran lunga inferiore fino all'anno 2007, e nulla per gli anni successivi.
L'Amministrazione aveva conferito gli incarichi in violazione della disciplina regolamentare costituita dai regolamenti adottati, in violazione del principio di rotazione.
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte non fondato.
4.2. Va rilevato che è applicabile alla fattispecie l'art. 360 n. 5, cod. proc., civ. nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell'11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell'art. 366-bis cod. proc. civ., introdotta dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ., deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali l'insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. o anche fatto secondario (Cass., n. 29883 del 2017). 
4.3. Tanto premesso si osserva che la deduzione in fatto su cui il motivo si fonda anche nel richiamare la disciplina primaria e regolamentare, e cioè che altri lavoratori, funzionari cat. D, avrebbero percepito per lo svolgimento di incarichi somme ben più rilevanti di quelle percepite dalla ricorrente, con violazione del principio di rotazione e promozione della professionalità, non è circostanziata né è accompagnato dalla prospettazione della relativa tempestiva allegazione e prova nelle fasi di merito.
Né è a ciò sufficiente il riferimento nel fatto del ricorso per cassazione (pag. 5) a: «doc. 33 del fascicolo di I grado» senza alcuna esposizione del contenuto dello stesso in relazione alla statuizione di appello, al fine di far apprezzare a questa Corte la rilevanza della deduzione, atteso che il ricorrente, ai sensi dell'art. 366 cod. proc. civ., ha l'onere di riportare il contenuto degli atti processuali rilevanti, nella misura necessaria ad evidenziare la pretesa assenza di specificità
dell'Impugnazione.
Peraltro, in tema di ricorso per cassazione, la dichiarazione con la quale il ricorrente qualifichi espressamente una parte del ricorso come sede destinata all'esposizione del fatto e nella quale, pur indicando i fatti storici che hanno occasionato la controversia, ometta di individuare le ragioni giuridiche sulla base delle quali la domanda è stata introdotta, non assolve al requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto non consente una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa sostanziali e processuali (Cass., 5640 del 2018).
Va, altresì, considerato che la Corte d'Appello non ha ravvisato discriminazione in quanto gli incentivi ex art. 18 non venivano riconosciuti neppure agli altri lavoratori, e che, con affermazione non contraddittoria ha rilevato che la rotazione degli incarichi aveva fatto si che anche alla ricorrente venissero affidati alcuni progetti di manutenzione e due incarichi di collaudo, per i quali percepiva i previsti incentivi di cui all'art. 18.
La mancanza di contraddizione si apprezza considerando che gli incentivi ex art. 18 legge n. 109 del 1994, non conseguivano ex sé alle funzioni di direzione della sezione di un servizio attribuite quale funzionario tecnico, Cat. D, ma in ragione della specifica opera prestata, come nel caso del conferimento di specifici incarichi, come trova conferma nella relativa normativa.
4.4. Il tal senso è la disciplina degli incentivi in questione, come si rileva dall'esame delle relative disposizioni, per quanto qui di interesse.
Occorre ricordare che la legge n. 109 del 1994 ha previsto l'istituto degli incentivi spettanti agli Uffici per la progettazione interna agli enti pubblici. 
L'articolo 18 della legge n. 109 del 1994, nella versione originaria, consentiva di riconoscere una quota non superiore airi per cento del costo dell'opera o del lavoro in favore dell'ufficio «qualora esso abbia redatto direttamente il progetto esecutivo della medesima opera o lavoro», e dunque in presenza di una specifica attività di redazione del progetto, circostanza che trova conferma anche nella successiva disciplina.
La previsione - che inizialmente riguardava soltanto gli incentivi per la redazione di progetti esecutivi di opere o lavori pubblici - è stata innovata, una prima volta, con l'articolo 6 del decreto-legge n. 101 del 1995, conv. dalla legge n. 216 del 1995, che ha esteso l'incentivo anche ai progetti (di opere o lavori) preliminari e definitivi, alle indagini geologiche e geognostiche nonché agli studi di impatto ambientale, ed all'aggiornamento dei progetti già esistenti «di cui sia riscontrato il perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera». Con la legge 15 maggio 1997, n. 127 (articolo 6, comma 13), l'incentivo è stato esteso anche alla redazione di atti di pianificazione (il comma 1 era così sostituito: «L'1 per cento del costo preventivato di un'opera o di un lavoro ovvero il 50 per cento della tariffa professionale relativa a un atto di pianificazione generale, particolareggiata o esecutiva sono destinati alla costituzione di un fondo interno da ripartire tra il personale degli uffici tecnici dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione, qualora essi abbiano redatto direttamente i progetti o i piani, il coordinatore unico di cui all'articolo 7, il responsabile del procedimento e i loro collaboratori»). All'articolo 18 della legge n. 109 del 1994 veniva poi aggiunto, sempre dall'alt. 6, comma 13, della legge 127 del 1997 il comma 1 -bis, secondo il quale « Il fondo di cui al comma 1 è ripartito per ogni singola opera o atto di pianificazione, sulla base di un regolamento dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione».
La legge n. 109 del 1994 è stata poi oggetto di ulteriori novelle; in particolare con la legge 17 maggio 1999, n. 144 (articolo 13, comma 4) sono stati riscritti i commi 1, 1- bis e 2 dell'articolo 18 della legge n. 109 del 1994, prevedendosi: «1. Una somma non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori. (...) La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere (...).
2. Il 30 per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità ed i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 1, tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto». 
La disciplina degli incentivi veniva poi disciplinata dal decreto legislativo n. 163 del 2006 (art. 92), cui è seguito il decreto legislativo n. 50 del 2016.
Né argomenti in contrario si traggono dalla regolamentazione attuativa della Provincia, che la ricorrente richiama a sostegno delle proprie difese, in quanto la stessa non contrasta con le condizioni per l'attribuzione degli incentivi, come sancite dalla disciplina sopra illustrata, ma fissa un limite alla somma percepibile per incentivi e il principio di valorizzazione della professionalità nel conferimento degli incarichi, rispetto ai quali la censura di un trattamento deteriore rispetto agli altri funzionari, come si è sopra esposto, è inammissibile.
5. Con il quinto motivo di appello è prospettata la violazione dell'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 1223, 2043, 2049, 2059 e 2103 cod. civ., con riferimento all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Motivazione contraddittoria e insufficiente su un fatto controverso ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
La domanda di essa ricorrente si fondava non solo sul demansionamento ma anche sulla condotta discriminatoria, mentre la sentenza di appello aveva disatteso l'azione risarcitoria solo per l'insussistenza di qualsiasi forma di demansionamento, che nella specie invece sussisteva.
Inoltre la sentenza nell'escludere il demansionamento e ritenendo corretta la condotta dell'amministrazione escludeva la lamentata discriminazione, violando il principio che i poteri organizzativi dell'amministrazione devono essere esercitati nel rispetto dei diritti del lavoratore, fra i quali vi è quello di esser adibito alle mansioni conformi alla qualifica di inquadramento.
5.1. Il motivo non è fondato sia in ragione di quanto esposto nella trattazione dei motivi che precedono, sia perché la Corte d'Appello oltre al demansionamento ha escluso anche la sussistenza di discriminazione (pagg. 11-13 della sentenza), in ragione delle argomentazioni già esposte nella sentenza, affermando che l'accertata insussistenza in punto di fatto sia del demansionamento che delle lamentate condotte vessatorie o discriminatorie, esimeva dall'indagine sull'elemento doloso unificatore richiesto per la configurazione del mobbing, nonché da ogni accertamento in ordine alla sussistenza e alla quantificazione del danno risarcibile.
6. Il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
8. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00, per esborsi, euro 4.500.00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 giugno 2018.