Cassazione Civile, Sez. 3, 15 febbraio 2019, n. 4545 - Morte da annegamento del capitano di una squadra di rafting durante una gara. Contesto agonistico e normativa in materia di sicurezza sul lavoro


 

La normativa in materia di sicurezza - D.Lgs. 81/08 - contiene una regolamentazione complessiva della tutela della sicurezza in tutti i luoghi di lavoro i quali, tuttavia, non possono essere assimilati, per oggettiva diversità, al contesto agonistico nel quale si è svolta la vicenda: al riguardo, si osserva che è ben vero che l'art. 3 del Dlgs 81/2008 prevede l'applicazione della normativa "a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio", ma è del tutto evidente che la cornice nella quale si colloca tale disposizione (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro) postula lo svolgimento di un'attività lavorativa e l'esistenza di un soggetto qualificabile come datore di lavoro.
Nel caso in esame deve escludersi che ricorrano entrambi i presupposti non essendo stato dimostrato (dai ricorrenti a ciò onerati) che il Comitato operasse come datore di lavoro rispetto agli atleti che partecipavano alla gara.


 

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: DI FLORIO ANTONELLA Data pubblicazione: 15/02/2019

 

 

Ritenuto che

 


1. D.S. e DI.S., anche in qualità di eredi di R. S., nonché B. S. e BO. S. ricorrono, affidandosi a sette motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Trento che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di rigetto della domanda di risarcimento danni da loro avanzata per la morte della congiunta BR.S., capitano della squadra bosniaca di rafting, evento verificatosi, per annegamento, a seguito del capovolgimento del raft a bordo del quale ella si trovava durante una gara che si era svolta nel corso del Campionato Europeo del 2010.
2. Gli intimati hanno resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.
 

 

Considerato che
1. Con il primo, secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, i ricorrenti deducono, ex art. 360 co 1 n° 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2050 c.c in quanto:
a. i giudici d'appello avevano omesso di indicare i criteri di valutazione della responsabilità, e cioè se ricorresse l'ipotesi di cui all'art. 2050 o quella regolata dall'art. 2043 c.c ( primo motivo);
b. il rafting doveva considerarsi un'attività pericolosa e ad elevatissimo rischio,per cui la Corte territoriale doveva ricorrere alla regola probatoria prevista dall'art. 2050 c.c e valutare se i convenuti avessero fornito la prova liberatoria necessaria per essere esonerati da ogni responsabilità ( secondo motivo);
c. la norma sostanziale era stata violata, unitamente all'art. 2697 c.c, in quanto la Corte aveva errato nel ritenere sufficiente ad escludere la responsabilità del Comitato Organizzatore Grandi Eventi Val di Sole l'astratta conformità dell'organizzazione della gara al Regolamento International rafting federation race rules deH'1.4.2010, mentre avrebbe dovuto concretamente verificare anche l'avvenuta adozione di ogni misura di sicurezza possibile al fine di evitare eventi dannosi, indagine che i giudici d'appello non avevano effettuato.
2. I motivi sono infondati.
Il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge assumendo, in sintesi, che la Corte territoriale aveva omesso di valutare le censure proposte con riferimento agli elementi caratterizzanti la qualificazione della fattispecie, ed aveva altresì ignorato la ripartizione degli oneri probatori prevista in relazione all'art. 2050 c.c, applicabile in ragione della particolare pericolosità dell'attività sportiva che aveva generato il tragico evento.
2.2. Si osserva, tuttavia, che la sentenza impugnata mostra di aver esaminato tutti i motivi proposti ( cfr. pag. 16 della sentenza sub II "MOTIVI D'APPELLO"), indicandoli specificamente: anche se la motivazione che viene articolata per ciascuna censura risulta non corrispondente con la numerazione della preliminare elencazione, si osserva che le critiche sollevate con i motivi in esame non colgono la complessiva ratio decidendi del percorso argomentativo articolato.
I giudici d'appello, infatti, hanno proceduto ad un preliminare esame delle condotte dei soggetti coinvolti a vario titolo nella vicenda ( cfr. pag. 17 della motivazione primo cpv ) per verificare se, con riferimento ad esse, poteva desumersi, anche in funzione di un corretto inquadramento della ripartizione degli oneri probatori, l'applicabilità della disciplina dell'art. 2050 c.c. piuttosto che quella dell'art. 2043 c.c o se, come ha poi in definitiva statuito, non ricorresse nessuna delle due ipotesi, non potendo la morte della S. essere dipesa da alcuna forma di negligenza specifica o generica delle parti convenute.
Lo sviluppo della successiva motivazione, tenuto conto del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale la valutazione della specifica pericolosità di un'attività è rimessa all'insindacabile valutazione del giudice di merito, dimostra che la Corte sia partita dalla verifica delle emergenze istruttorie alla luce dei più stringenti oneri previsti dall'art. 2050 c.c per la parte convenuta , essendo state analizzate le condotte asseritamente colpose del OPSA ( organizzazione facente capo alla Croce Rossa Italiana ) secondo gli specifici rilievi mossi dalla parte attrice ( collocazione inidonea del punto di soccorso, mancata presenza di un kayak di supporto, la non conformità al regolamento dell'organizzazione della gara ed i cinque errori evidenziati dal CTU in sede penale: cfr. pag. 18,19 e 20 della sentenza impugnata ) rispetto ai quali, con motivazione congrua e logica, è stato affermato, che la struttura organizzativa aveva ottemperato ad apprestare le misure idonee a far fronte al grado di pericolosità insito nella gara sportiva che aveva il compito di sovrintendere sotto il profilo della sicurezza.
2.3. Al riguardo, si osserva che questa Corte ha avuto modo di chiarire che "ai fini dell'accertamento della sussistenza della responsabilità ex art. 2050 cod. civ., il giudizio sulla pericolosità dell'attività svolta - ossia l'apprezzamento della stessa come attività che, per sua natura, o per i mezzi impiegati, rende probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell'evento dannoso da essa causato, distinguendosi, così, dall'attività normalmente innocua, che diventa pericolosa per la condotta di chi la eserciti od organizzi, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all'art. 2043 cod. civ. -, quando non è espresso dal legislatore, è rimesso alla valutazione del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivata. Rispetto a tale accertamento di fatto, l'onere di provare la sussistenza di un'attività pericolosa incombe su chi invoca l'applicazione dell'art. 2050 cod. civ." ( cfr. Cass. 2220/ 2000 ).
Ed, ancora, è stato ritenuto che "l'accertamento in concreto se una certa attività, non espressamente qualificata come pericolosa da una disposizione di legge, possa o meno essere considerata tale ai sensi dell'articolo 2050 cod. civ. implica un accertamento di fatto, rimesso in via esclusiva al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivato." ( cfr. Cass. 1195/2007; Cass. 10268/2015)
2.4. Pertanto, in relazione al vizio dedotto in rubrica, il primo motivo è inammissibile perché l'impostazione criticata della motivazione non assume rilevanza decisiva rispetto alla soluzione della controversia e, in relazione al percorso logico successivamente sviluppato, risulta immune da possibili censure; il secondo risulta assorbito da quanto argomentato sul primo; ed il terzo è, altresì, inammissibile perché la Corte ha esaminato l'operato dell'organizzazione non solo in relazione alla formale applicazione del Regolamento indicato, ma formulando anche valutazioni sostanziali delle misure apprestate che consistono in argomentazioni di merito, incensurabili in sede di legittimità ( cfr. gli arresti sopra richiamati).
3. Con- il quarto motivo, si deduce, ex art. 360 co 1 n° 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 16, 31 e 32 Dlgs 81/2008 in quanto la Corte d'appello aveva omesso di considerare che il Comitato Organizzatore era incorso in una grave negligenza visto che aveva l'obbligo di nominare un responsabile della sicurezza avente i requisiti di legge ed aveva altresì il dovere di vigilanza sull'operato dei delegati.
3.1. Il motivo è infondato.
I ricorrenti assumono che il soggetto nominato dal Comitato Organizzatore come responsabile della sicurezza della gara ( F.B. ) non aveva le competenze necessarie a svolgere tale compito: da ciò deducono la violazione del Dlgs 81/2008 che, pur riguardando le misure previste per i luoghi di lavoro, doveva essere applicato, secondo la tesi prospettata, a tutti i settori ed a tutte le tipologie di rischio, inclusi, quindi, quelli riguardanti le attività sportive. Deducono, inoltre, che non poteva essere assegnato alcun rilievo alla circostanza che il F.B. non fosse un dipendente del comitato, in quanto l'art. 2 co 1 lett. a) Dlgs 81/2008 equiparava le prestazioni riconducibili a volontariato a quelle dei lavoratori, e l'art. 16 stesso testo disponeva, in via generale, che il delegato dovesse possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti per la specifica natura delle funzioni delegate.
3.2. Il rilievo non trova riscontro nella normativa invocata che contiene una regolamentazione complessiva della tutela della sicurezza in tutti i luoghi di lavoro i quali, tuttavia, non possono essere assimilati, per oggettiva diversità, al contesto agonistico nel quale si è svolta la vicenda: al riguardo, si osserva che è ben vero che l'art. 3 del Dlgs 81/2008 prevede l'applicazione della normativa "a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio", ma è del tutto evidente che la cornice nella quale si colloca tale disposizione (Testo. Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro ) postula lo svolgimento di un'attività lavorativa e l'esistenza di un soggetto qualificabile come datore di lavoro.
3.3. Nel caso in esame deve escludersi che ricorrano entrambi i presupposti non essendo stato dimostrato ( dai ricorrenti a ciò onerati ) che il Comitato operasse come datore di lavoro rispetto agli atleti che partecipavano alla gara. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi e, pertanto, la censura deve essere rigettata.
4. Con il quinto motivo, ancora, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c in relazione all'art. 112 epe , lamentando che i giudici d'appello avevano del tutto omesso di pronunciarsi sui profili di responsabilità sussistenti in relazione alla norma richiamata.
4.1. La censura è inammissibile.
Con la sentenza impugnata, infatti, è stata esaminata la specifica questione ed è stato escluso, con riferimento a tutte le esaustive argomentazioni sviluppate nella precedente motivazione, che potessero ravvisarsi profili di responsabilità "sia con riguardo all'art. 2050 ( ove applicabile ) che all'art. 2043 c.c (applicato dal primo giudice)" ( cfr. pag. 24 della sentenza ):  tanto premesso, la censura maschera una richiesta di rivalutazione di merito della controversia, preclusa in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua, logica e certamente al di sopra della sufficienza costituzionale come quella contenuta nella sentenza impugnata ( cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018 ).
5. Con il sesto motivo, ancora, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 196 epe, nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e cioè la mancata rinnovazione dell'accertamento peritale.
Il motivo è complessivamente inammissibile.
5.1. Deve premettersi che alla controversia in esame è applicabile, ratione temporis, l'art. 348ter u.co cpc, vigente per i giudizi d'appello introdotti con citazione notificata dopo il trentesimo giorno dall'entrata in vigore della L. 134/2012: l'impugnazione risulta iscritta a ruolo nel 2016 e la sentenza impugnata è stata depositata nel 2017 ed ha confermato la pronuncia di primo grado.
Trattandosi di c.d. "doppia conforme", non è dunque ammissibile la proposizione di un motivo ricondotto al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
5.2. La censura, tuttavia, non può trovare ingresso in questa sede anche nella sua prima parte , in cui si deduce la violazione dell'art. 196 epe in quanto la Corte d'Appello avrebbe omesso di rinnovare la CTU, fondando la propria decisione su parti della perizia effettuata in sede penale.
5.3. Si osserva, al riguardo, che questa Corte ha avuto modo di chiarire che "in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto"( cfr. Cass. 17693/2013; Cass. 22799/2017 ): il principio che attiene al libero convincimento del giudice ed alla sua funzione di peritus peritorum, è estendibile anche all'ipotesi, come quella in esame, in cui l'accertamento peritale utilizzato nel giudizio civile ( sia pur con notazioni critiche ) sia stato espletato in sede penale.
6. Con il settimo motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 91 cpc sulla regolazione delle spese: assumono che, essendo state respinte anche alcune censure delle altre parti che si erano costituite, la Corte aveva errato nel porle esclusivamente a loro carico non riconoscendo la soccombenza reciproca.
6.1. Il motivo è inammissibile.
E' stato al riguardo affermato, con orientamento ormai consolidato,che "in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Il sindacato della Corte di Cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale esse non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, tanto nell'ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. ( cfr. ex multis Cass. 19613/2017 ).
7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto , a norma del comma Ibis dello stesso art. 13.
 

 

PQM

 


La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore del Comitato organizzatore Grandi Eventi Val del Sole in € 6000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi ; ed in favore degli altri controricorrenti in € 8000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi per ciascuno oltre che, per tutti, accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto , a norma del comma Ibis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile del 28.11.2018.