Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 febbraio 2019, n. 4813 - Infortunio mortale di un dipendente comunale


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DE FELICE ALFONSINA Data pubblicazione: 19/02/2019

 

 

 

Rilevato che

 


la Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vasto, ha rigettato la domanda del Comune di Schiavi di Abruzzo, accogliendo il ricorso incidentale di L.F. e M.F. e di I.G., rispettivamente figlie e coniuge di A.F., operaio comunale deceduto a causa di un infortunio sul lavoro, riconoscendo a ciascuna le somme di Euro 125.000 a titolo di danno morale per la perdita del congiunto, di Euro 33.185 a titolo di danno da lucro cessante, di Euro 3000 per danno tanatologico, nonché di complessivi Euro 3.481 quale residuo delle spese funerarie, detratto quanto rimborsato dall'INAIL per tale ultima causale;
la Corte territoriale, riscontrando una concorrente responsabilità del Comune di Schiavi di Abruzzo quale datore di lavoro e della Provincia di Chieti quale assegnataria del tratto stradale su cui si era verificato l'infortunio mortale, ha condannato i due Enti in solido al pagamento della somma complessiva di Euro 487.036,35 a favore delle appellanti incidentali, riconoscendo integralmente i danni domandati, senza applicare alcuna riduzione della somma a favore del Comune a titolo di compensano lucri cum damno per detrazione di quanto già erogato dall'INAIL a titolo di rendita vitalizia;
avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione il Comune di Schiavi di Abruzzo sulla base di tre motivi;
L.F. e M.F. e I.G. resistono con tempestivo controricorso;
la Provincia di Chieti resiste con tempestivo controricorso;
tutte le parti hanno depositato memoria.
 

 

Considerato che

 


con il primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n.5, il Comune deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., del novellato art. 115 c.p.c. e dei principi in materia di onere della prova - travisamento della prova tra apparato motivazionale e contenuto degli atti del procedimento - palese incompatibilità";
la sentenza impugnata avrebbe travisato la pacifica e accertata dinamica dell'evento: a) omettendo di considerare le risultanze del procedimento penale, b) trascurando le risultanze della CTU disposta in primo grado, c) mancando di tener conto della condotta omissiva dell'Amministrazione provinciale di Chieti; d) omettendo
di considerare l'apporto della condotta del lavoratore alla causazione dell'evento; e) • svolgendo una lettura fuorviante del materiale probatorio scaturito all'esito della prova testimoniale;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n.5, il Comune deduce ancora "Violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., del novellato art. 115 c.p.c. e dei principi in materia di onere della prova - violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla diseguale efficienza causale e violazione dei principi rinvenienti nell'art. 41 c.p.";
il motivo, strutturato come il precedente quanto all'asserito travisamento della ricostruzione dei fatti da parte del giudice dell'Appello, s'incentra nello specifico sulla mancata valutazione di cause concorrenti alla causazione dell'evento, sì come riferita per un verso alla violazione da parte della Provincia di Chieti dell'obbligo di garantire la sicurezza della circolazione nel tratto di strada provinciale ove si era verificato l'infortunio, per altro verso al concorso di responsabilità del lavoratore, assentatosi volontariamente dal luogo di lavoro per recarsi in una zona collocata fuori dal cantiere;
col terzo e ultimo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 e n.5, il ricorrente lamenta "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2059 c.c.; dei principi dettati dalle Sezioni Unite di San Martino in tema di danno differenziale, nonché omesso esame di un documento decisivo costituito dall'attestato INAIL 18/12/2005 prodotto sub indice (fascicolo di parte convenuta oggi ricorrente) atti e documenti sub n.19 recante l'importo di Euro 342.955,18 erogato - violazione art. 437 c.p.c. in ordine alla produzione in appello di nuovi documenti e violazione dell'onere della prova sul lucrum cessante assorbito dalla rendita INAIL - limitazione dell'azione risarcitoria al c.d. "danno differenziale"";
il ricorrente contesta la determinazione del quantum della condanna risarcitoria, muovendo dal presupposto che la sentenza gravata - che aveva riformato sul punto la pronuncia del primo Giudice il quale aveva detratto dalla somma di Euro 342.955,18, asseritamente versata dall'INAIL alle odierne controricorrenti l'importo dovuto per il risarcimento da danno biologico - avrebbe erroneamente condannato il Comune a corrispondere alle odierne controricorrenti la superiore somma di Euro 85.507,16 sulla base della mera indicazione da esse prospettata nell'appello incidentale nel primo grado di giudizio; la Corte territoriale avrebbe, in concreto, mancato di valutare la nota dell'INAIL richiamata in rubrica, dalla quale risultava l'assunzione di un impegno economico corrispondente a Euro 342.955,18; l'odierno ricorrente domanda, pertanto, a questa Corte di accertare il diritto delle congiunte del L.F. e M.F. a percepire soltanto la differenza tra quanto già ricevuto dall'INAIL e quanto rivendicato a titolo di danno morale, previa dimostrazione dell'esistenza e dell'entità del pregiudizio subito con elementi probatori di fatto, di cui, nel caso in esame, sarebbe mancata allegazione;

i primi due motivi esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili ed anche infondati;
la Corte, richiamandosi alla dinamica dei fatti così come ricostruita nella sentenza di primo grado (p.2 della motivazione), ha compiuto una ricostruzione dettagliata ed esauriente delle circostanze che avevano determinato il decesso in servizio di A.F.;
ha accertato che il lavoratore era dipendente del Comune di Schiavi di Abruzzo e che svolgeva, insieme ad altri operai, lavori relativi alla pubblica illuminazione in un cantiere posto a ridosso di un ponte rientrante nella competenza della Provincia, dal quale precipitava;
ha quindi argomentato che - per sua stessa ammissione - il Comune aveva più volte allertato la Provincia della rischiosità di quel ponte che aveva parapetti bassi e pericolosi, e pertanto poteva dirsi che esso era ben cosciente delle condizioni in cui i suoi operai erano costretti ad operare;
benché consapevole, il Comune aveva mancato di adottare misure per scongiurare ‘ il pericolo, venendo meno alla propria responsabilità datoriale, della quale costituisce parte integrante l'obbligo di prevenzione ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., e non aveva inoltre dato notizia alla Provincia dello svolgimento dei lavori perché questa potesse disporre una messa in sicurezza, anche provvisoria;
questi essendo alcuni dei passaggi salienti del ragionamento della Corte d'Appello, nessuna censura può muoversi all'iter logico seguito, coerente nell'individuare l'esatto margine di responsabilità dell'Ente, atteso che il rispetto dell'obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro impone sempre una tutela mirata alla specificità del rischio (Cass. n.17314/2004; Cass. n.6337/2012; Cass. n. 14468/2013; Cass. n.2005 /2016);
da tale affermazione consegue, secondo la Corte d'Appello, che ai fini della delimitazione della responsabilità del Comune debba ritenersi irrilevante che il luogo dell'incidente fosse di pertinenza della Provincia, ponendosi la sentenza gravata in piena consonanza con la giurisprudenza di questa Corte, là dove la stessa ritiene che l'adozione delle misure prescritte dalla legge corrisponda soltanto a standard minimali (cfr. le decisioni di cui al precedente capoverso); 
quanto alla prospettazione, al fini dell'efficienza causale (art. 41 del cod. pen.), di un concorso del comportamento del lavoratore alla causazione dell'Infortunio, la Corte territoriale ha affermato, con motivazione esente da vizi logico - argomentativi, che dalle evidenze probatorie non era risultata alcuna cesura del nesso causale per il fatto del lavoratore: in particolare, non era stato provato né che l'infortunio si fosse verificato al di fuori dell'attività lavorativa, né che A.F. si fosse reso autore di una qual si voglia condotta abnorme (Cass. n.11950/2005; Cass. n.18786/2014);
in merito al bilanciamento delle colpe, la Corte d'Appello ha accertato che il Comune non aveva apportato elementi di prova tali da suffragare una maggiore responsabilità della Provincia;
si deve pertanto concludere che i primi due motivi si limitino a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, di cui censurano l'apprezzamento in quanto difforme da quello auspicato dal ricorrente, mirando così a un riesame del merito non consentito nel giudizio di legittimità (Cass. n. 3881/2006; Cass. n.828/2007; Cass. n. 7972/2007; Cass. n.25332/2014);
il terzo motivo, che si appunta su una presunta erronea quantificazione del danno stimato a carico del Comune, presenta un assorbente profilo di inammissibilità;
il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe calcolato l'ammontare del danno basandosi su documenti prodotti per la prima volta in appello dalle congiunte del lavoratore, disattendendo così il principio del divieto di produzione in appello di nuovi documenti (art. 437 cod. proc. civ.); avrebbe invece erroneamente trascurato di valutare il contenuto della nota dell'INAIL del 18/12/2005, prodotta in atti fin dal primo grado dal ricorrente, dalla quale si poteva desumere che, avendo l'ente già versato alle controricorrenti Euro 342.955,18, la somma residua a carico del Comune a titolo di danno da lucro cessante avrebbe dovuto essere decurtata in proporzione al valore della rendita, così come sopra calcolata dallo stesso ente erogatore;
il motivo non merita accoglimento, atteso che parte ricorrente non trascrive e non produce il ricorso incidentale proposto dalle congiunte del L.F. e M.F., dal quale poter dedurre che le stesse non avevano prodotto, già in quella sede, i documenti sul cui determinante rilievo il Giudice dell'Appello ha accertato che la cifra dovuta a titolo di rendita ai superstiti era inferiore a quella indicata dal Comune, e che perciò il danno dovuto non avrebbe subito alcuna decurtazione a titolo compensativo, dovendo essere riconosciuto "...nella sua integralità" (p. 3 sent.) ;
è pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte che, in base alla previsione dell'art. 366, co.l, n.6 cod. proc. civ., novellato dal d.lgs. n.40 del 2006, il ricorso per cassazione che non contenga la specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a suo fondamento e non specifichi in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto, è inammissibile (Sez. Un. n.28547/2008; Sez. Un. n.7161/2010);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1 bis dell'art.13 del d.P.R. n.115 del 2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 4000 a favore della Provincia di Chieti ed Euro 6000 a favore delle altre parti a titolo di competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e d agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nell'Adunanza Camerale del 12 dicembre 2018