Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 aprile 2007, n. 8710 - Frattura del femore del dipendente comunale durante la pulizia delle scale esterne antincendio: nessuna responsabilità se il datore di lavoro ha fatto tutto il possibile per evitare l'infortunio


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATTONE Sergio - Presidente
Dott. ROSELLI Federico - Consigliere
Dott. DE RENZIS Alessandro - rel. Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 


sul ricorso proposto da:
T.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Carso 63, presso lo studio dell'Avv. Francesco Buriana, rappresentato e difeso dall'Avv. Marchese Giovambattista del foro di Bergamo per procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cicerone 49, presso lo studio dell'Avv. Sveva Bernardini, rappresentato e difeso dall'Avv. Bernardini Antonio,
unitamente e disgiuntamente, con l'Avv. Pier Enzo Baruffi del foro di Bergamo per procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
per la cassazione della sentenza n. 179/04 della Corte di Appello di Brescia del 22.04.2004/3.08.2004 nella causa iscritta al n. 285 del R.G. anno 2003;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.01.2007 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis, udito l'Avv. Francesco Burigana, per delega dell'Avv. Giovambattista Marchese, per il ricorrente e l'Avv. Ermanno Prastaro, per delega dell'Avv. Pier Enzo Baruffi, per il controricorrente;
sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
 

 

Fatto

 

 

Con ricorso al Tribunale di Bergamo, ritualmente depositato, T.L. esponeva:
-di essere dipendente del Comune di Milano - (OMISSIS) con mansioni di manutentore;
-che in data 5.2.1996, mentre era intento a pulire le scale esterne antincendio, era scivolato sul ghiaccio riportando la frattura del femore;
-che al momento dell'infortunio non indossava idonee calzature, che non gli erano state fornite, non essendo gli scarponcini in dotazione antighiaccio ed in ogni caso non essendo stato adeguatamente istruito e controllato rispetto all'uso delle stesse calzature.
Tutto ciò premesso, il T. chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente all'infortunio sul lavoro.
Il Comune di Milano si costituiva contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto del ricorso.
All'esito l'adito Tribunale di Bergamo, escussi i testi ammessi, con sentenza n. 301 del 2003 respingeva il ricorso. Tale decisione, a seguito di appello del T., è stata confermata dalla Corte di Appello di Brescia con sentenza n. 179 del 2004.
Il giudice di appello ha condiviso le conclusioni del primo giudice ribadendo che nel caso di specie non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di responsabilità a carico del Comune per l'infortunio in questione, giacchè l'ampia discrezionalità di movimento e di mansioni dei manutentori, tra i quali il T., non poteva che determinare una altrettanto ampia discrezionalità nella scelta dell'uso delle misure antinfortunistiche di cui erano dotati, in relazione alla situazione climatica, alle condizioni del terreno e delle scale. In questa situazione, ad avviso del giudice di appello, non poteva configurarsi un obbligo del direttore della Casa Vacanza di andare a verificare di volta in volta se fossero state adottate misure appropriate o, come nel caso di specie, se il lavoratore indossasse gli scarponi in dotazione o altri scarponi di sua proprietà meno idonei a prevenire il pericolo di scivolamento sul ghiaccio.
Il T. ricorre per cassazione con due motivi.
Il Comune di Milano resiste con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. In via preliminare il controricorrente eccepisce improcedibilità del ricorso per cassazione per decorrenza dei termini di cui agli artt. 325 - 326 c.p.c..
L'eccezione è infondata, atteso che la sentenza di appello è stata notificata il 15 settembre 2004 e il ricorso per cassazione è stato ritualmente notificato, con rispetto del termine previsto dall'art. 325 c.p.c., il 15 novembre 2004, cadendo il sessantesimo giorno il 14 novembre 2004, che era domenica.
2. Con il primo motivo del ricorso il T. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ., nonchè vizio di motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Il ricorrente sostiene che la sentenza di appello ha dato una lettura approssimativa delle risultanze istruttorie, giacchè non ha tenuto in considerazione il comportamento colposo del Comune di Milano, il quale, oltre a non esercitare i doverosi controlli, non aveva distribuito ai dipendenti, ed in particolare ai manutentori addetti alle pulizie esterne, le necessarie calzature antiscivolo, tanto più che nel caso di specie non si era in presenza di eventi anomali od imprevedibili.
Lo stesso ricorrente aggiunge che l'ente resistente non ha fornito la prova contraria in ordine alla propria responsabilità, non potendosi, a suo avviso e contrariamente all'assunto del giudice di appello, demandare al singolo dipendente la discrezionalità della scelta di idonee calzature alternative a quelle regolamentari antiscivolo.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla contestata responsabilità ex artt. 2043 - 2051 cod. civ..
In particolare il T. osserva che la sentenza impugnata è carente anche per non avere fatto riferimento ai motivi di gravame circa la responsabilità del Comune ai sensi degli artt. 2043 - 2051 cod. civ., in relazione al fatto illecito di natura colposa ovvero per cose in custodia, fatto illecito consistito quantomeno nel non avere reso sicura ed affidabile una via di fuga. Gli esposti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono privi di pregio e vanno pertanto disattesi in base alle considerazioni che seguono. Secondo costante orientamento di questa Corte è devoluta al giudice di merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l'unico limite dell'adeguata e congrua motivazione del criterio adottato (ex plurimis Cass. sentenza n 9834 del 1995; Cass. sentenza n. 10896 del 1998).
Il giudice di appello ha accertato con congrua e logica motivazione, sulla base delle prove testimoniali raccolte (in particolare deposizione teste Ivo P.), che ai manutentori (tra cui il T.), al momento dell'assunzione con contratto a termine, venivano consegnati gli indumenti di lavoro e due paia di calzature, le scarpe basse per guidare e gli scarponi antinfortunistici, aventi la lamina antiforo e il puntale di ferro, con suole di gomma a carrarmato.
Lo stesso giudice ha osservato che a fronte di tale accurata descrizione delle calzature, con particolare riferimento alle caratteristiche antisdrucciolo (putitale, lamine, carrarmatura), sarebbe stato onere dell'appellante provare la loro inidoneità a prevenire infortuni, come quello in questione.
Ad ulteriore sostegno delle esposte argomentazioni il giudice di appello ha evidenziato che i manutentori godevano di ampia discrezionalità di movimento e di mansioni, il che si rifletteva anche nella scelta delle misure antinfortunistiche, con la conseguente esclusione dell'obbligo del direttore delle Casa vacanza di verificare di volta in volta l'uso delle misere appropriate, o, come nella fattispecie, se il lavoratore indossasse gli scarponi in dotazione o altri scarponi di sua proprietà meno idonei a prevenire il pericolo di scivolamento.
Il ricorrente da parte sua si è limitato a sottoporre all'esame di questa Corte una diversa valutazione e qualificazione della condotta delle parti in termini di responsabilità ai fini dell'adozione delle misure antinfortunistiche, ed in particolare della condotta del datore di lavoro, rispetto a quella del giudice di appello, sorretta, come già detto, da congrua e logica motivazione, e quindi non censurabile in sede di legittimità.
Per quanto riguarda in particolare il denunciato vizio di violazione dell'art. 2087 cod. civ. corre l'obbligo di richiamare il principio di diritto affermato da questa Corte, secondo il quale dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro da tale norma che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norma di fonte legale o suggerita dalla tecnica, ma concretamente individuati (Cass. n. 10510 del 2004; Cass. n. 6018 del 2000, Cass. n. 7792 del 1998).
Nell'esaminare il caso di specie la Corte di Appello si è attenuto all'esposto principio di diritto non riscontrando, come già evidenziato in precedenza, una condotta dolosa o colposa del Comune di Milano, il quale aveva fatto tutto il possibile per prevenire gli infortuni concretamente individuabili, come quello in esame, fornendo ai manutentori, come già detto, tutto il necessario materiale (indumenti di lavoro e due paia di calzature, le scarpe basse per guidare e gli scarponi antinfortunistici, aventi la lamina antiforo e il puntale di ferro, con suole di gomma a carrarmato), del cui uso gli stessi manutentori erano stati edotti in precedenza.
3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 25,00 oltre e 1.500,00 per onorari, IVA, CAP e spese generali.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2007