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Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 settembre 1988, n. 5048 - Sparo durante una rapina: responsabile l'istituto di credito che omette la manutenzione dei dispositivi di sicurezza all'ingresso



 

 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati Dott. Salvatore ANTOCI Presidente " Giuseppe ALVARO Consigliere " Onofrio FANELLI Rel. "
" Gaetano BUCCARELLI "
" Salvatore SENESE "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 


sul ricorso proposto
da
S.P.A. ASSICURAZIONI GENERALI, in persona dei legali rappresentanti protempore elettivamente domiciliata in Roma - Via Cicerone, 49 presso l'Avv. Antonio Bernardini che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
Ricorrente
contro
R.P., elettivamente domiciliato in Roma - Via Archerusio, 6 presso l'Avv. Letterio Tripodo rappresentato e difeso dall'Avv. Carmelo Biondo giusta procura speciale a margine del controricorso;
Controricorrente nonché contro:
BANCA DI MESSINA;
Intimata
e sul secondo ricorso n. 2958-86 proposto da: MONTE DI PASCHI DI SIENA, quale successore a titolo universale in tutti i diritti alla Banca di Messina S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore elettivamente domiciliato in Roma - Via Achille Papa, 21 presso l'Avv. Walter Testa rappresentato e difeso dall'Avv. Lorenzo Scarcella giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale, unitamente agli Avv.ti Renato Scognamiglio, Roberto Bruchi e Walter Testa giusta procura speciale atti notar Alberto Carli del 26-10-1987 Rep. n. 103691; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro R.P., come sopra elettivamente domiciliato rappresentato e difeso;
Controricorrente al ricorso incidentale nonché contro:
S.p.A. ASSICURAZIONI GENERALI;
Intimata
Per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Messina in data 27-6-1985 Dep. il 6-8-1985 (R.G. n.581-84);
udita - nella pubblica udienza tenutasi il giorno 11-11-1987 - la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dott. Fanelli;
uditi gli Avv.ti Bernardini e Scognamiglio;
udito il P.M. nella persona del Sost.Proc.Gen.Dott. Antonio Martone che ha concluso per l'accoglimento del 3° motivo del ricorso principale e assorbimento del 1° e 2° motivo del ricorso principale. Accoglimento del ricorso incidentale.
 

 

Fatto

 


Con ricorso depositato il 27 maggio 1981 R.P. si rivolgeva al Pretore di Rometta, e premesso di essere dipendente della Banca di Messina in servizio presso l'agenzia di Saponara, assumeva che il 2 gennaio 1978 mentre stava attendendo alle sue abituali prestazioni di "sportello" si era verificata una rapina, nel corso della quale uno dei rapinatori esplodeva al suo indirizzo un colpo di pistola che gli procurava grave lesione all'emitorace destro; che in conseguenza delle lesioni riportate residuavano a suo carico esiti invalidanti in misura pari al 15% della capacità lavorativa; che, pertanto, aveva diritto al risarcimento del danno da parte della Banca di Messina sia per violazione dell'obbligo specifico di "tutela delle condizioni di lavoro" sancito dallo art. 2087 c.c. per non avere adottato le necessarie ed idonee misure prudenziali di sicurezza per eliminare il pericolo di danni gravi alla persona dei suoi dipendenti quali un servizio di vigilanza all'esterno ed all'interno e quei mezzi di difesa consentiti dalla tecnica moderna.
Costituitasi in giudizio la Banca di Messina contestava integralmente il contenuto del ricorso; preliminarmente chiedeva di potere chiamare in giudizio le Generali Assicurazioni dalle quali pretendeva essere garantita; eccepiva la incompetenza del giudice del lavoro e la propria carenza di legittimazione passiva; deduceva mezzi istruttori.
Veniva autorizzata la chiamata in giudizio della S.p.A. Assicurazioni Generali, che, costituitasi in giudizio, contestava integralmente il contenuto dell'atto di chiamata in causa: eccepiva l'incompetenza per territorio del Pretore di Rometta e l'incompetenza funzionale del medesimo giudice; e la inammissibilità della domanda di garanzia; e deduceva subordinatamente il rigetto delle domande per l'intervenuta prescrizione ex art. 2952 comma secondo c.c.. Espletata l'istruttoria il Pretore di Rometta con sentenza del 12 giugno 1984, dichiarava la propria competenza funzionale e territoriale, condannava la Banca di Messina a risarcire al R.P. i danni subiti nella misura complessiva di L.8.000.000; e le Assicurazioni Generali a rimborsare alla Banca di Messina quanto a suo carico liquidato in favore del R.P.. Su appello principale delle Assicurazioni Generali e incidentale del R.P., il Tribunale di Messina con sent. 6 agosto 1985 confermava la decisione di primo grado. Ribadita la propria competenza per territorio e per materia, il Tribunale, in ordine al terzo motivo dell'appello della S.p.A. Generali Assicurazioni, con cui si lamentava che erroneamente il Pretore aveva ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione, osservava che, a parte la formulazione generica ed equivoca delle doglianze, l'appellante si era limitato ad affermare testualmente che "in relazione ad ogni pure ipotetico diritto da contratto, non è stato utilmente interrotto il decorso annuale né dell'assicurato né della contraente Banca"; e al riguardo rilevava essere risultato pacifico, nessun contrasto essendo insorto al riguardo tra le parti, che la Banca di Messina aveva regolarmente denunciato alla Compagnia Assicurazioni Generali l'episodio in cui era rimasto vittima il R.P., e che prima dell'inizio del giudizio l'appellante aveva partecipato attivamente alle trattative intercorse precedentemente all'inizio del giudizio per eliminare la vertenza offrendo addirittura la somma di lire 1.800.000, onde non era dubbio che la generica e gratuita eccezione di prescrizione doveva essere rigettata perché palesemente infondata. Quanto al rilievo dell'appellante secondo cui erroneamente il Pretore aveva ritenuto la Banca di Messina responsabile ex art. 2087 c.c. nei confronti del R.P. condannandolo al pagamento in favore di quest'ultimo a titolo di risarcimento del danno alla somma di lire 8.000.000, perché la suddetta norma era stata dettata per ipotesi ben diverse, osservava il Tribunale che l'art. 2087 c.c. fa obbligo agli imprenditori di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Orbene tutti i testi escussi nel primo grado del giudizio avevano concordemente riferito: che si accedeva all'agenzia della Banca di Messina di Saponara attraverso una porta a vetri a due ante; che la apertura di tale porta avveniva dall'interno mediante un pulsante azionato da un impiegato; che il congegno di apertura automatico di tale porta era difettoso tant'è che spesso la porta rimaneva aperta e che erano i clienti, su richiesta degli impiegati, che provvedevano a chiuderla e qualche volta erano gli stessi impiegati che uscivano fuori dall'agenzia attraverso una porta laterale (dall'interno era impossibile raggiungere la porta d'ingresso perché impediti dal bancone che divideva in due la sala) per chiudere la porta d'ingresso rimasta aperta; che in precedenza si erano verificate nell'agenzia altre due rapine; e che il giorno in cui si era verificato il fatto delittuoso dedotto in giudizio ed in seguito al quale il R.P. aveva riportato le lesioni personali il dispositivo di chiusura automatica della porta di ingresso non era funzionante (vedi dichiarazioni di OMISSIS).Non v'era dubbio quindi che la Banca di Messina non avendo provveduto a porre in essere tutti quegli accorgimenti idonei a tutelare l'integrità fisica dei suoi dipendenti aveva violato per colpevole omissione la norma di cui all'art. 2087 c.c., specie ove si consideri che in precedenza l'agenzia di Saponara aveva subito altre rapine e che la direzione generale della Banca era perfettamente informata della grave situazione di insicurezza in cui operavano i dipendenti dell'agenzia di Saponara. A sua volta la Banca di Messina, con appello incidentale, aveva chiesto il rigetto delle domande avanzate dal R.P.; ma al riguardo, riteneva indubbia il Tribunale la responsabilità della Banca in ordine all'evento dannoso dedotto in giudizio, perché, come già evidenziato, essa Banca di Messina era da ritenersi responsabile del danno riportato dal R.P. per violazione dell'art. 2087 c.c. per le causali innanzi indicate e che avevano trovato il loro fondamento nelle dichiarazioni rese dai testi. Avverso tale decisione ricorre per tre motivi la Soc, Assicurazioni Generali; resistono con controricorso la Banca di Messina, che propone altresì ricorso incidentale per un motivo, ed il R.P., per contrastare il terzo motivo del ricorso principale e l'unico dell'incidentale; ha presentato memoria il Monte dei Paschi di Siena, che ha incorporato la Banca di Messina.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, avendo per oggetto la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). 2. Col primo motivo di ricorso, denunciando violazione all'art. 1891 c.c., omesso esame di punti decisivi, e assoluta carenza di motivazione, lamenta la ricorrente Società che la polizza, da qualificarsi a favore di terzi ex art. 1891 c.c., stipulata dalla Banca di Messina con essa impresa assicuratrice, non era stata mai invocata dall'assicurato R.P., sicché la controversia esulava dai rapporti contrattuali posti in essere dalla detta polizza. Ciò nonostante il Pretore ha egualmente condannato essa società Assicurazioni Generali a tenere indenne la Banca di Messina di quanto questa era tenuta a pagare al proprio dipendente. E sebbene col sesto motivo di appello e con la comparsa conclusionale, reiterando le difese già avanzate in prime cure, la società Assicurazioni Generali avesse dedotto che la domanda spiegata nei suoi confronti era inammissibile per non essersi il R.P. giovato della polizza, e che la rivalsa nei confronti di essa ricorrente non poteva neppure basarsi sulla clausola di cui alla lettera g) delle condizioni particolari stampate sulla polizza, il Tribunale ha confermato la sentenza di primo grado ignorando del tutto la detta censura.
3. Il motivo è fondato. In effetti nel motivo sub 6) dell'atto d'appello la società Assicurazioni Generali aveva dedotto essere infondato e immotivato il riconoscimento giudiziale dell'obbligo della società assicuratrice di rendere indenne la Banca di quanto questa era tenuta a pagare all'attore, ed avere erroneamente il Pretore ritenuto detta società obbligata in virtù della polizza stipulata, perché il R.P. non si era giovato della polizza che lo riguardava, né aveva azionato un diritto che da questa derivasse, ed aveva, invece, agito ex art. 2087 c.c.; essere inoperante la condizione particolare di cui alla lett. g); non esistere fra la Banca e la società un autonomo rapporto di assicurazione r.c.; ed aveva conseguentemente concluso per la mancanza di qualsiasi obbligo di essa società a rimborsare alla banca quanto da questa corrisposto al R.P.. Ciò stante, vanamente il resistente replica non contenere il sesto motivo d'appello alcuno specifico motivo d'impugnazione tanto che per la sua estrema genericità non aveva potuto essere preso in considerazione dal Tribunale. In realtà, una specifica e argomentata censura, come si è visto, esisteva, per di più ampiamente illustrata nel successivo scritto difensivo; ma il Tribunale non ne ha tenuto alcun conto, neppure per implicito, essendosi esclusivamente occupato della questione della prescrizione e di quella relativa alla responsabilità della Banca di Messina. La omessa pronuncia è dunque evidente, e comporta l'accoglimento della censura.
4. Poiché la questione della sussistenza in capo alla Banca del diritto di rivalsa nei confronti della Società assicuratrice è pregiudiziale rispetto alla questione di prescrizione eccepita dalla Società Assicurazioni che forma oggetto del secondo motivo di ricorso principale, questo va dichiarato assorbito.
5. Non così il terzo motivo del medesimo ricorso, e l'unico motivo di ricorso incidentale, che attengono al rapporto fra la Banca e il R.P.. Con detti motivi sia la Società Assicurazioni Generali che la Banca di Messina sostengono essere inapplicabile alla specie la norma invocata dal R.P., cioè l'art. 2087 c.c., di cui si denuncia la violazione, e negano quindi che possa essere affermata una responsabilità della Banca verso il suo dipendente.
6. La censura è infondata.
In effetti il Tribunale ha dato per scontata l'applicazione dell'art. 2087 c.c., limitandosi a riprodurne il testo, e passando poi tout court ad esaminare se in concreto la Banca avesse o meno adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti; per giungere alla conclusione che, non avendo posto in essere tutti gli accorgimenti idonei, essa datrice di lavoro aveva per colpevole omissione violato detta norma. Occorre, dunque, verificare quella indimostrata premessa, compito che, attenendo alla interpretazione della norma che si assume violata, deve essere direttamente compiuto dal giudice di legittimità, se del caso correggendo ed integrando la manchevole motivazione della sentenza impugnata.
7. Orbene, l'art. 2087 c.c. viene generalmente ritenuto volto a tutelare il prestatore d'opera da rischi generici rispetto a quelli specificamente previsti dal sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, e quindi a coprire rischi comunque rientranti nel complessivo ambito di tale normativa protettiva.
Tant'è che tale disposizione viene definita come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, posta a tutela di situazioni non direttamente contemplate ma in esso ricomprensibili, anche con responsabilità diretta del datore di lavoro, non riversabile sull'assicurazione obbligatoria. Ma appunto perché norma di chiusura, volta a ricomprendere ipotesi e situazioni non espressamente previste, una disposizione siffatta, come del resto tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica, che ha una dinamicità ben più accentuata di quella dell'ordinamento giuridico, legato a procedimenti e schemi di produzione giuridica necessariamente complessi e lenti. Orbene , il quesito che si pone è se anche i problemi relativi alla sicurezza del la lavoratore non in senso strettamente igienico- sanitario, ma collegati - pur sempre con riguardo alla sua integrità fisico-psichica - a situazioni di ordine pubblico e di criminalità, non esistenti, almeno nelle dimensioni successivamente assunte, allorché la norma era stata posta, siano ricomprensibili nel generico e perciò elastico campo d'applicazione della norma in discussione. La risposta, sebbene involgente delicate problematiche sia di ordine giuridico che in ordine socio-economico, sembra potersi dare in senso affermativo.
8. Indubbiamente nuovi problemi di sicurezza e di conseguente tutela dell'integrità fisica dei dipendenti da aggressioni esterne, si sono negli ultimi anni posti a molte imprese che, per il tipo di attività svolta, sono nella realtà dei fatti diventate bersaglio di azioni criminose. Tant'è che le stesse, ed in primo luogo le aziende di credito, notoriamente hanno provveduto a tutelare non tanto e non solo i loro beni, quanto e soprattutto la sicurezza fisica dei propri dipendenti e del pubblico con mezzi, umani e-o tecnici, sempre più efficienti e sofisticati. Il problema si pone sullo stesso piano di quello concernente nuove organizzazioni del lavoro o nuovi procedimenti produttivi, che pongano problemi di tutela della salute o dell'integrità fisica del lavoratore prima inesistenti, e comunque non previsti dalla pur minuziosa disciplina normativa di prevenzione degli infortuni e di tutela igienico-sanitaria del lavoro. Nell'un caso come nell'altro l'art. 2087 c.c. reca - a prescindere da una particolare tutela antinfortunistica o igienico- sanitaria - un principio di autoresponsabilità dell'imprenditore, il quale, indipendendemente da specifiche disposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti e le misure necessarie ad evitare il verificarsi di lesioni di quel primario bene del lavoratore, come di ogni persona, che è la salute e l'integrità fisica (cfr. Cass. 2 marzo 1984, n. 1478). E' stato infatti ritenuto che l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dallo art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo, come fonte della suddetta responsabilità, la norma dell'art. 2087, la quale impone un obbligo dell'imprenditore di adottare, indipendentemente dalle disposizioni antinfortunistiche predisposte dalla legge in via generale o in relazione a determinate attività lavorative, tutte le cautele necessarie, secondo l'esperienza e la tecnica, a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti , anche quando questi siano stati regolarmente assicurati; ove di verifichi uno degli eventi suddetti, per i quali non vi sia luogo a prestazioni assicurative, legittimamente il lavoratore rivolge la sua pretesa risarcitoria nei confronti del datore di lavoro - senza che nel relativo giudizio siano contraddittori necessari gli enti previdenziali competenti - essendo a tal fine onerato della dimostrazione del danno subito e della sua causale relazione con la nocività dell'ambiente di lavoro, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere predisposto tutte le cautele necessarie ai sensi del citato art. 2087 cod. civ. (Cass. 2 dicembre 1983, n. 7224). Ne è invocabile in contrario la sentenza 5 gennaio 1980, n.28, massimata nel senso che dall'ambito di applicazione dell'art. 2087 sono esclusi i danni materiali e morali derivati al lavoratore dal comportamento di terzi estranei all'azienda, perché trattasi di un mero obiter dictum, enunciato ad abundantiam dalla Corte, in una causa di licenziamento in cui, fra l'altro, si deduceva anche violazione di detta norma, ma senza una specifica pretesa risarcitoria ad essa collegata.
9. Il detto obbligo di tutela sussiste nei confronti dei dipendenti, ma non pure nei confronti della indistinta massa del pubblico che in ragione dell'attività dell'impresa si trovi a frequentare i locali della stessa, tant'è che esattamente questa Corte ha escluso la sussistenza di un obbligo di protezione nei confronti dei clienti della banca (Cass. 14 aprile 1983, n. 2619 e 2 febbraio 1983, n. 908), ritenendo non sufficiente un mero collegamento spaziale fra l'agente dannoso e la cosa in custodia, e necessario invece che detto fattore di pregiudizio si inserisca nella struttura della cosa stessa sì da provocarne un'intrinseca attitudine lesiva. Ma già in relazione a tale fattispecie è stato rilevato come sia possibile far ricorso alla categoria degli obblighi di protezione, accedenti all'obbligazione principale (sia essa contrattuale o extracontrattuale) per poter fondare la pretesa della vittima che, nel corso dello svolgimento di operazioni bancarie all'interno dell'azienda, subisca lesioni per effetto dell'azione criminosa di terzi; e, quanto al nesso di causalità - che non rappresenta uno schema fisso, ma consiste soltanto in una serie causale di fatti che acquista giuridica rilevanza in quanto si riproduca regolarmente nelle medesime circostanze - è stato ritenuto agevolmente dimostrabile che, nel momento attuale, la diffusione della attività criminosa è tale da far considerare quella bancaria, nei locali cui accede il pubblico, una attività quanto meno occasione di rischio per il pubblico e per i dipendenti, stante la prevedibilità della irruzione di terzi con disegni criminosi nei locali aperti al pubblico.
10. Ma, a prescindere dalla questione riguardante la responsabilità della banca verso i suoi clienti, un tale obbligo deve comunque ritenersi sussistente nei confronti dei dipendenti non in applicazione della disciplina generale della responsabilità civile (art. 2043 o 2050 c.c.), bensì in applicazione di quella norma, pur sempre generale ma entro un più circoscritto ambito settoriale, che è costituita dall'art.2087 c.c..Invero, una volta che un determinato tipo di attività lavorativa venga a trovarsi nella realtà dei fatti esposto a rischi prima inesistenti (e quando ciò si verifichi, quando cioé possa intendersi superata una certa soglia che attribuisca rilevanza al rischio, è un dato rilevabile mediante ricorso a nozioni e dati di comune esperienza o statistici, così come può essere considerato a rischio un nuovo macchinario o un nuovo procedimento di lavorazione, non inquadrabile nella specifica normativa antinfortunistica), tanto da rendersi necessari, sempre in concreto, un nuovo tipo di organizzazione nel lavoro e accorgimenti e misure atti a prevenire quel rischio, non vi è ragione perché una siffatta realtà debba essere trattata diversamente da quella per così dire tradizionale, pur impegnando entrambe identici problemi di tutela dell'integrità fisica del lavoratore in quanto tale. Insomma, l'art. 2087, per le sue caratteristiche di norma aperta, vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima di adeguamento di essa al caso concreto.
11. Il caso in discussione non risulta finora essersi presentato in giurisprudenza né essere stato esaminato dalla dottrina, ma, per le dimensioni assunte nella realtà effettuale del fenomeno delle aggressioni criminose a determinati tipi di impresa (banche, gioiellerie, farmacie, ecc.) irrompe nell'ordinamento con la forza appunto delle cose. Trattasi di uno di quegli interessi emergenti, che non sono stati ancora espressamente considerati e valutati dal legislatore, alla cui inevitabile lentezza l'ordinamento stesso è in grado di sopperire con la predisposizione di clausole generali, nella cui volutamente lata e indeterminata formulazione l'interprete, in sede dottrinaria come in sede giurisprudenziale, può appunto cogliere già nel loro nascere nuove esigenze meritevoli di tutela ed attribuire loro (ove appaia consentito alla stregua dell'ordinamento, dal suo insieme e in primo luogo sulla base dei principi costituzionali), veste e dignità di posizioni soggettive tutelate.
E' significativo il fatto che i nuovi interessi trovino frequentemente un loro referente normativo nella carta costituzionale, nei cui enunciati spesso è dato rinvenire posizioni soggettive in nuce, o non ancora compiutamente disciplinate dal legislatore ordinario, che peraltro consentono un flessibile adeguamento dell'ordinamento alla realtà sociale.
12. Una clausola generale che, come si è detto, si presta a ricevere nuovi contenuti è appunto proprio quella di cui all'art. 2087: e principio atto a giustificare questa sua nuova valenza è quello del diritto - di derivazione costituzionale - alla salute e all'integrità fisica, ormai acquisito per via di interpretazione giurisprudenziale (del giudice costituzionale, ordinario, amministrativo) in molteplici applicazioni. Proprio di recente la Corte costituzionale ha avuto modo di tornare a ricordare e precisare che (sent. 18 dicembre 1987, n. 559) il valore primario assegnato al diritto alla salute dallo art. 32 cost. comporta che la sua tutela debba spiegarsi non solo in ambito pubblicistico (al che ha provveduto la legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978), ma anche nei rapporti fra privati, ove la salute rileva come posizione soggettiva autonoma, e che, nell'ambito della generale garanzia assicurata a tutti i cittadini, una tutela privilegiata spetta ai lavoratori, nei cui confronti essa si svolge tanto sotto il profilo sanitario che sotto quello economico, in particolare, sotto quest'ultimo profilo, con "l'imposizione all'imprenditore di un rigoroso dovere di garantire la sicurezza dei lavoratori (art. 2087 c.c.), che si pone come condizione per il legittimo esplicarsi dell'iniziativa economica privata ( art. 41, secondo comma, cost.)"; e, sotto tal profilo, "la tutela della salute del lavoratore nell'ambito del rapporto di lavoro si realizza, tra l'altro, riversando entro certi limiti sull'imprenditore il rischio della malattia", e, più in generale, della lesione della integrità fisica del dipendente; venendo siffatto specifico rilievo della tutela della salute nell'ambito del rapporto di lavoro ad incidere sulla definizione del punto di equilibrio tra i contrapposti interessi in esso dedotti ed implicando una più ampia concezione della corrispettività "per la ragione che nel rapporto il lavoratore impegna non solo le proprie energie lavorative ma - necessariamente e in modo durevole - la sua stessa persona, coinvolgendovi una parte dei suoi interessi e rapporti personali e sociali." 13. La presenza nell'ordinamento di un siffatto diritto di così ampio spettro consente dunque di ritenere che una sua lesione in ambiente o in costanza di lavoro, pur se non collegata direttamente all'uno e all'altro, in quanto inferta da terzi estranei (ma il caso, del resto, non è sconosciuto al diritto, - di matrice giurisprudenziale - ove si pensi allo infortunio in itinere) possa rientrare nell'ampia previsione dell'art. 2087, che quella integrità fisica è volto appunto a proteggere. E' vero che l'art. 2087 ha a monte tutta una complessa normativa di prevenzione antinfortunistica e igienico- sanitaria (Cass. 7224-83, cit.), mancante in un caso come quello in esame.
Ma è pur vero che proprio la complementare - rispetto a quella specifica ora citata - tutela generica apprestata dall'art. 2087 presuppone, come si è detto, la mancanza di norme preventive ed impegna la diretta responsabilità dell'imprenditore.
Non può invero pensarsi che l'ordinamento lasci esclusivamente a carico del lavoratore (salvo ciò che può dargli - come ad ogni cittadino - il sistema sanitario nazionale) un danno alla sua salute, occasionato proprio dalla attività lavorativa , senza che né la collettività attraverso il sistema antinfortunistico né il datore di lavoro contribuiscano a risarcirlo.
Quanto al primo, a parte la estraneità alla presente controversia di una questione del genere, esso sembra fuori causa per la insormontabile difficoltà di inserire un evento, quale quello di specie, nelle previsioni di cui al testo unico delle disposizioni antinfortunistiche (art. 1-8 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124).
Non rimane quindi che il secondo, cui l'art. 2087 consente, senza strappi ai principi, di addossare, sia pure entro i limiti sopra indicati, quel rischio insieme ai vari altri che l'esercizio di un'impresa in sé comporta.
14. Un siffatto dovere di protezione, del resto collegato - come ha rilevato anche la Corte costituzionale - al rischio d'impresa, comporta che debba essere l'imprenditore a valutare se l'attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione.
Obbligo che, proprio alla stregua dei dati di esperienza (che includono anche parametri di frequenza statistica generale, per tipo di attività, o particolare con riferimento alla singola unità produttiva) avrà un contenuto non teorizzabile a priori, ma ben individuabile nella realtà alla stregua delle tecniche di sicurezza comunemente adottate.
Trattasi di una obbligazione ex lege accessoria e collaterale rispetto a quelle principali proprie del rapporto di lavoro, come tale involgente la diligenza nell'adempimento ex art. 1176 c.c., eventualmente correlata alla natura dell'attività esercitata, e comunque improntata nella sua esecuzione a quei criteri di comportamento delle parti di ogni rapporto obbligatorio costituiti, ex art. 1175 e 1375 c.c., dalla correttezza e buona fede, ormai ampiamente valorizzati dalla giurisprudenza.
15. Con specifico riferimento all'attività bancaria, il contenuto degli obblighi a tutela dell'integrità fisica dei dipendenti va individuato nella predisposizione di misure di sicurezza idonee a salvaguardare dette persone da possibili danni.
Che, del resto, rischi e mezzi di tutela del genere ben siano presenti nel settore bancario è dimostrato dall'attenzione già da tempo in proposito dedicata dai contratti collettivi di categoria, i quali generalmente rimettono ai contratti integrativi aziendali la tutela delle condizioni igienico-sanitarie dell'ambiente di lavoro e le garanzie volte alla sicurezza del lavoro (contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale impiegatizio delle Casse di risparmio 22 luglio 1976, parte IN, art. 130; 6 maggio 1980, cap. XIV, art. 129, 130; 9 marzo 1983, cap. XIV, art. 141; contratto collettivo per il personale direttivo delle aziende di credito 27 luglio 1977, cap. XVIII, art. 76; 7 luglio 1983, capitolo XVIII,art. 76; contratto collettivo per il personale impiegatizio delle stesse, 23 luglio 1976, cap. XVIII, art. 131, cap. XX, art. 135; 18 aprile 1980, cap. XVII, art. 134 cap. XX, art. 139).
E che le garanzie di sicurezza attengono alla ipotesi che forma oggetto della presente controversia, oltreché già emergere chiaramente dalla loro distinzione rispetto alla tutela igienico-sanitaria, inequivocabilmente risulta dalla "raccomandazione" annessa a detta clausola, secondo cui "con riferimento alle vive istanze manifestate in argomento dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, l'Assicredito raccomanda di voler sovvenire i lavoratori dipendenti - che vi si trovino maggiormente esposti in ragione delle mansioni esplicate - dalle conseguenze di eventuali attività criminose svolte da terzi nei confronti dell'azienda datrice di lavoro".
E analoga raccomandazione si legge in calce all'art. 144 (di tenore analogo ai già citati) del contratto collettivo 30 aprile 1987 (per quadri, impiegati, ecc.), in cui si aggiunge, rispetto alla precedente raccomandazione, la indicazione di quella assicurativa quale forma di sovvenzione.
Ancora, in forza del contratto collettivo per il personale delle Casse rurali e artigiane 29 settembre 1983, cap. XI (sicurezza nel lavoro), art. 48 (misure di sicurezza), le parti si impegnano a coordinare, occorrendo a livello nazionale, condizioni e programmi di sicurezza del lavoro; e, in caso di risoluzione del rapporto per morte od invalidità perdurante del dipendente derivante da azione delittuosa a danno dell'azienda o per ragioni di lavoro, l'azienda medesima nella scelta per assunzione darà la preferenza ad un familiare convivente ed a carico del dipendente assunto; e il contratto collettivo per il personale direttivo delle medesime Casse rurali 21 luglio 1987, all'art. 68 reca analoga disposizione, mentre l'art. 69 prescrive l'obbligo di assicurare il personale direttivo anche dai rischi di rapina. Tali previsioni dei contratti collettivi del settore creditizio (qui utilizzati unicamente come elemento extratestuale di interpretazione nella norma di legge) consentono di far ritenere ormai acquisito anche nel convincimento delle parti sindacali la sussistenza di quel rilevante rischio per i dipendenti da azioni criminose di terzi, che giustifica la proposta interpretazione estensiva dell'art. 2087.
16. Onde può e deve ritenersi che il datore di lavoro, il quale in una siffatta situazione di rischio prevedibile e accettabile alla stregua dei comuni criteri di diligenza, o addirittura disciplinata in sede collettiva nazionale o aziendale, non abbia predisposto, o, ancor peggio, pur avendoli predisposti non abbia - come nella specie - mantenuto in efficienza gli adeguati mezzi di tutela, debba rispondere ex art. 2087 c.c. dell'evento lesivo nei confronti del dipendente.
Invero, il dovere di sicurezza non si esaurisce nella predisposizione delle misure di protezione, ma include altresì quello di mantenerle in stato di funzionamento e di efficienza: basti ricordare la giurisprudenza, soprattutto penale, di questa Corte secondo cui il conferimento a terzi dell'incarico di controllare e revisionare gli impianti non vale ad esonerare l'imprenditore dal dovere di vigilare sulla funzionalità degli stessi (Cass. pen. 16 dicembre 1975, Ascoli). E' peraltro a carico del dipendente l'onere di dimostrare, oltreché il danno subito, la sua relazione causale con il rischio ambientale specifico e la sussistenza di questo rischio (come probabilità e non come mera possibilità), mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver predisposto adeguate misure di tutela cui esso datore di lavoro è tenuto in conseguenza del concreto insorgere e sussistere di quel rischio, e di aver esercitato diligente sorveglianza per mantenerle in efficienza. (cfr. Cass. 7224-83).
In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, e conseguentemente va dichiarato assorbito il secondo e vanno rigettati il terzo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; con cassazione della impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio della causa ad altro giudice, che provvederà anche quanto alle spese del giudizio di cassazione.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbito il secondo; rigetta il terzo motivo e il ricorso incidentale; cassa il relazione alla censura accolta l'impugnata sentenza e rinvia la causa, per nuovo esame, al Tribunale di Patti, che provvederà anche sulle spese della presente fase.
Così deciso il Roma l'11 novembre 1987.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 SETTEMBRE 1988