Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 aprile 1996, n. 3510 - Caduta da una pilotina


 


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Romano PANZARANI Presidente
" Vincenzo TREZZA Consigliere
" Massimo GENGHINI Rel. "
" Giuseppe IANNIRUBERTO "
" Grazia CATALDI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 


sul ricorso proposto
da
G.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell'Avvocato VINCENZO RINALDI, che lo rappresenta e difende unitamente all'Avvocato GIOVANNI OTTOLIA, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
CORSIGLIA SOC, PRUDENTIAL COMP ITALO BRITANNICA ASSIC, in persona del legale rappresentante pro tempore; elettivamente domiciliati in Roma presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'Avvocato VITTORIO NATIVI; giusta delega in atti;
Controricorrenti
avverso, la sentenza n. 1799/93 del Tribunale di GENOVA, depositata il 03/07/93; N.R.G. 4926/92;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/95 dal Consigliere Relatore Dott. Massimo GENGHINI;
udito l'Avvocato Dott. Vittorio NATIVI;
udito il P.M. in persona del Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
 

 

Fatto

 


Con ricorso depositato il 21 marzo 1987, G.E. esponeva al pretore di Genova che il 9 aprile 1974, salendo, per motivi di lavoro, sulla pilotina della s.p.a. Corsiglia, presso la quale lavorava come impiegato a La Spezia, aveva rilevato dei difetti di funzionamento nella stessa imbarcazione, talché il giorno successivo si era recato sulla medesima per accertamenti; a causa di un improvviso distacco del natante dalla banchina, cadeva in mare battendo la testa contro il molo e riportando lesioni con conseguente invalidità permanente; chiedeva pertanto, nei confronti della datrice di lavoro e della soc. Prudential, con la quale la prima era assicurata, il risarcimento dei danni.
Si costituivano le società convenute che resistevano alla domanda; la soc. di assicurazioni, in particolare, eccepiva la prescrizione.
Il pretore respingeva la domanda.
Contro la sentenza proponeva appello il G.E., al quale resistevano entrambe le convenute.
Il tribunale rigettava il gravame ritenendo in particolare:
a) non sussistere un obbligo assicurativo dell'impiegato Eliseo G.E. presso l'INAIL, non rientrando le mansioni svolte tra quelle per le quali è previsto tale obbligo, ed essendo l'uso della pilotina limitato all'accesso sulle navi che non erano attraccate alla banchina, ma alla fonda, e, pertanto, da considerarsi un uso non "normale".
b) l'uso di detta pilotina, in ogni caso, non poteva considerarsi equiparabile all'attività pericolosa degli impiegati addetti a macchine o congegni pericolosi (art. 10 del d.P.R n. 1124 del 1965);
c) lo stesso lavoratore aveva dichiarato "nello scendere dalla barca per salire sul molo ho messo un piede in una corda scivolando in avanti" e finendo in acqua battendo la testa contro il molo; dalle modalità stesse dell'incidente, poteva escludersi ogni responsabilità del datore di lavoro, non ravvisandosi alcuna omissione colposa di cautela da parte del datore di lavoro o del suo dipendente.
d) quanto alla polizza assicurativa, questa aveva il carattere di polizza a favore di terzo e non di polizza per l'assicurazione della responsabilità civile, talché non pertinente appariva il richiamo all'art. 2952, quarto comma, cod. civ.; fondata era l'eccezione di prescrizione sollevata dalla soc. assicurativa ai sensi del primo comma dell'art. 2952 cod. civ., in quanto dagli atti esibiti risultava una mancanza di atti interruttivi dall'ottobre 1978 al giugno 1980.
Contro questa sentenza il lavoratore ha presentato ricorso illustrato da memoria; si è costituita depositando procura speciale la s.p.a. Corsiglia; non si è costituita la società assicurativa.
 

 

Fatto

 


Con il primo motivo del ricorso, il lavoratore si duole per la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1218 e 2087 cod. civ., nonché all'art. 4 del T.U. n. 1124 del 1965 (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), in quanto erroneamente è stato escluso l'obbligo di assicurare il G.E. con l'INAIL, atteso che l'uso della pilotina era collegata con la sua prestazione e comportava i rischi a ciò connessi, equiparabili all'uso di un autoveicolo, per il quale non si dubita della necessità dell'assicurazione infortuni; quanto alla discontinuità nell'uso, ciò rilevava ai fini dell'ammontare del premio non dell'obbligo assicurativo; dagli elementi probatori specificamente indicati dal ricorrente emergeva la "normalità" dell'uso della pilotina da parte del G.E., che anzi, unitamente ad altro lavoratore, era munito anche di patentino per poterla pilotare.
Il primo motivo è fondato.
Come è stato recentemente ribadito dalle S.U. di questa Suprema Corte (sent. 14 aprile 1994 n. 3476, riguardante proprio una fattispecie di impiegati e dirigenti della Fincantieri che per ragioni di lavoro erano obbligati a recarsi abitualmente, anche se saltuariamente, a bordo delle navi in corso di costruzione, riparazione o trasformazione), il requisito della manualità delle mansioni non è indispensabile ai fini della insorgenza dell'obbligo assicurativo antinfortunistico dei lavoratori subordinati, rilevando invece il fattore oggettivo dell'esposizione a rischio, di guisa che la qualifica di impiegati ed il fatto che i titolari di detta qualifica non abbiano un contatto diretto con gli apparecchi e gli impianti di cui all'art. 1 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, non escludono la sussistenza dell'obbligo suddetto, qualora questi lavoratori siano costretti, dall'esercizio delle loro mansioni, a frequentare non occasionalmente ambienti (trattasi evidentemente di rischio ambientale), in cui operano le fonti di rischio di cui all'art. 1 anzidetto (in tal senso anche Cass. 25 luglio 1991 n. 8333, 17 ottobre 1987 n. 7684, 6 febbraio 1986 n. 764, specificamente richiamate dalla sentenza n. 3476 delle S.U.). La dottrina e la giurisprudenza, invero da tempo, hanno affermato che nella genesi dell'infortunio non interviene soltanto il fattore lavoro, in funzione di causa occasionale, ma numerose altre possibili componenti causali; l'occasione o causa occasionale, si coglie ogni volta che il lavoro determina la esposizione del lavoratore all'azione lesiva, cioé allorché il rischio in seguito al quale è conseguito l'infortunio deriva dal lavoro svolto.
E' stato altresì precisato che il lavoro, mentre è causa occasionale (e non causa efficiente o esclusiva) dell'infortunio, è invece causa del rischio, che appunto per questo è professionale e rientra nell'assicurazione.
Le componenti causali dell'evento sono non solo il caso fortuito, la forza maggiore, il fatto del terzo, ma la stessa colpa dell'assicurato e la colpa o il dolo dell'assicurante; tuttavia, perché tali componenti causali attribuiscano qualificazione professionale all'infortunio sul lavoro, è necessario che questo si sia verificato "in occasione di lavoro", cioé che il lavoro ne sia la causa occasionale. Il lavoro, poi, deve essere causa del rischio, e questo può essere generico (é tale quello che incombe su qualsiasi individuo) e specifico (ed è quello che incombe esclusivamente su quel tipo di lavoratore, o, altrimenti, è aggravato da quella specifica lavorazione).
Per quanto concerne la colpa del lavoratore assicurato, deve sottolinearsi come l'imprudenza, la negligenza, l'imperizia rientrano nel rischio assicurato quando ineriscono ad una condotta e ad un comportamento, che ancorché determinati da circostanze straordinarie, siano comunque inerenti all'esecuzione del lavoro ed in connessione con lo svolgimento del medesimo.
In punto di fatto, per quanto attiene alla fattispecie in esame, si deve ricordare che il G.E. si era recato sulla imbarcazione - affidata ad un operaio, e della quale egli si serviva per recarsi a bordo delle navi in rada - per verificare la natura ed i rimedi alle disfunzioni riscontrate nella medesima il giorno prima dell'incidente.
Risultava altresì che nel porto di La Spezia la soc. Corsiglia aveva una pilotina e che due erano i dipendenti della società che si recavano a bordo delle navi per l'attività di procacciamento di affari, ma che "normalmente vi andava il G.E. quale responsabile dell'ufficio".
Il tribunale riteneva inesatta l'affermazione dell'appellante che il G.E. usasse normalmente la pilotina, "perché la circostanza non è stata confermata da teste alcuno, ma anche perché contrasta con l'evidenza essendo noto che in porto le navi di regola sono attraccate alle banchine e non occorre alcun natante per recarvisi sopra."
Inoltre il tribunale affermava: "In ogni caso l'utilizzazione più o meno saltuaria della pilotina non può certo equipararsi all'attività pericolosa degli impiegati addetti a macchine e congegni pericolosi di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965; osta a tale equiparazione sia il tipo di mezzo, l'ambiente ove opera (brevi tratti di mare non trafficati, certamente come una normale strada), la semplicità delle operazioni richieste (il G.E. aveva, tra l'altro, il patentino) e, in ogni caso, l'assoluta non provata continuità dell'uso del mezzo in questione".
In sintesi gli elementi per i quali il tribunale ha escluso l'obbligo assicurativo con l'INAIL, sono:
a) l'uso non continuo del natante;
b) la non equiparabilità dell'uso del natante all'attività pericolosa degli addetti a macchine pericolose (art. 10 del T.U.);
c) l'ambiente non pericoloso (breve tratto di mare non "trafficato");
d) la semplicità delle operazioni da compiere. Le censure mosse in ordine alla sufficienza e congruità della motivazione, invero colgono nel segno; ed infatti:
a) l'uso del natante - posto che il medesimo fosse fonte di rischio - non si richiedeva che fosse continuo, bastando, per generare l'obbligo assicurativo, che fosse saltuario, purché non meramente sporadico ed occasionale; nel caso in esame più elementi, risultanti dagli atti, avrebbero dovuto richiamare l'attenzione del giudicante, indipendentemente dal fatto che mancassero testi sulla circostanza dedotta, - e di essi è mancata qualsiasi valutazione: era innanzi tutto indicativo il fatto che la società avesse una pilotina in quel porto, non essendo per l'imbarcazione individuato alcun uso diverso da quello prospettato, il che appare logicamente (id est: economicamente) incompatibile con un uso meramente eventuale; non meno suscettibile di opportuna valutazione risultava la circostanza che il G.E. fosse munito di patentino per il pilotaggio di quella imbarcazione, non risultando che potesse servirgli per altra incombenza; del pari significativa, ai fini di una valutazione per quanto qui interessa, risultava la circostanza che, riscontrate il giorno prima delle malfunzioni della pilotina, il G.E. il giorno successivo si recasse ad ispezionare il natante per accertarne la natura, non essendo tale incombenza e tale sollecitudine di per sé riferibile ad un uso meramente saltuario; infine si imponeva altresì la valutazione in ordine alla sufficienza delle banchine - che, invero, ben raramente sono sufficienti nei porti -, e la frequenza con la quale le navi alla fonda in rada attendevano il loro turno per caricare e scaricare merci;
b) il natante, l'imbarcazione, la pilotina, sono veicoli considerati dalla legge intrinsecamente pericolosi; tanto è vero che sussiste l'obbligo di assicurazione degli equipaggi addetti agli stessi, in mare, nei laghi e nei fiumi, per veicoli commerciali, industriali, di trasporto, da diporto e per la pesca (art. 1, comma secondo n. 11); questa Suprema Corte, invero, da tempo, ha individuato i pericoli insiti nella navigazione per il semplice fatto della permanenza a bordo per ragioni di lavoro (Cass. 20 luglio 1963 n. 1997, 28 aprile 1971 n. 1246, 6 giugno 1975 n. 2283, 21 luglio 1975 n. 2874);
un'isolata pronuncia che, anche per la peculiarità della fattispecie, potrebbe risultare contrastante con questi principi (Cass. 17 aprile 1985 n. 2551), non può condurre ad una diversa valutazione soprattutto tenuto conto dell'insegnamento delle S.U. di questa Suprema Corte del quale già si è fatto cenno; nel caso in esame - va ricordato - che, in punto di fatto, è stato accertato che il G.E. si era recato sulla imbarcazione per verificare la natura ed i rimedi alle disfunzioni riscontrate nella pilotina il giorno prima dell'incidente; la impugnata sentenza nel ricordare più volte come la pilotina fosse affidata ad un operaio e per negare la sussumibilità della fattispecie nella previsione dell'art. 1 del T.U., sembra attribuire rilevanza alla circostanza che il G.E. non fosse "addetto" alla imbarcazione, ma, in tal modo, ha trascurato di prendere in considerazione il fatto che il lavoratore, in modo non saltuario ma ricorrente, si recava per ragioni di lavoro su quella imbarcazione, e la utilizzava, subendone tutti i rischi connessi;
c) la identificazione dell'"ambiente" nel tratto di mare da percorrere, è sicuramente erronea: ai fini che qui interessano, proprio per non essere il G.E. "addetto" alla pilotina, quest'ultima
- e non il tratto di mare - costituiva l'ambiente a rischio nel quale egli era chiamato a svolgere le sue mansioni; ed i rischi sono quelli insiti nella navigazione, tra i quali sicuramente preminente è proprio quello della caduta in mare;
d) del tutto irrilevante ai fini del decidere è la richiamata semplicità delle operazioni da compiere: così come in fattispecie più volte esaminate (uso di montacarichi, di ascensori, di elettrodomestici, di macchine elettrocontabili, di macchine informatiche) e che non mette conto di richiamare poiché hanno persino avuto conferma da parte della Corte Costituzionale (sentt. n. 114 del 9 giugno 1977, n. 221 del 16 ottobre 1986), la semplicità delle manovre e la entità del rischio possono incidere sulla entità del premio, ma la misura del rischio, ancorché modesta, non può elidere l'obbligo assicurativo.
Dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, come incisivamente ricordato dalla richiamata sent. n. 3476 del 1994 delle S.U., si evince che la lettura dell'art. 4 in relazione all'art. 1 del T.U., per essere corretta e non in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, "deve rispondere al principio che tutti i lavoratori dipendenti, sottoposti al medesimo rischio, devono fruire della stessa tutela assicurativa, a prescindere dalla qualifica anche impiegatizia": non vi è pertanto alcun dubbio che se vi era un obbligo assicurativo per il pilota di quella imbarcazione, del pari vi era un obbligo assicurativo per il dipendente che in quello stesso "ambiente" svolgeva non occasionalmente le sue mansioni. Ciò che rileva, infatti, come si è visto, non è la entità del rischio, ma la natura del medesimo.
Il primo motivo deve pertanto essere accolto. Con il secondo motivo si censura la sentenza per mancata applicazione e violazione degli artt. 1176, 1218 e 2050 cod. civ. in relazione all'art. 2087 cod. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), in quanto aveva omesso di considerare che l'infortunio doveva porsi a carico dell'imprenditore per responsabilità obbiettiva dovuta al fatto di avere richiesto al G.E. di svolgere una attività pericolosa.
Il motivo è fondato.
L'art. 1 del T.U. n. 1124 del 1965, reca esplicitamente: "Sono considerati come addetti a macchine, apparecchi, o impianti tutti coloro che compiono funzioni in dipendenza e per effetto delle quali sono esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto dalle macchine, apparecchi o impianti suddetti". E, come si è visto, il secondo comma al n. 11 prevede proprio i lavori a bordo di natanti di ogni genere, come nel caso che ne occupa, nel quale il G.E. si era recato a bordo di quel natante per accertare le cause delle malfunzioni riscontrate il giorno precedente; quanto all'obbligo di assicurare il pilota della imbarcazione, rilevante ai fini della esistenza del rischio ambientale, questo è posto dall'ultimo comma dell'art. 4 del T.U. n. 1124 del 1965.
Anche dalla giurisprudenza su richiamata, si evince che nella navigazione uno dei rischi, insiti nella instabilità (rollio e beccheggio) del mezzo, è proprio la caduta in mare; sono queste, del resto le ragioni per le quali, secondo quanto si è esaminato, incombeva al datore di lavoro provvedere alla assicurazione contro gli infortuni.
Con il terzo motivo si impugna la sentenza per violazione degli artt. 1218, 2050 e 2087 cod. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per aver omesso di considerare che incombeva alla società di provare di aver posto in essere ogni cautela per impedire l'infortunio, ed altresì di provare che nessun elemento di negligenza era riscontrabile nella condotta del suo dipendente addetto alla conduzione della pilotina; l'avere dichiarato il G.E. di essere caduto per avere messo il piede in una corda, non era sufficiente per escludere la sussistenza di elementi colposi da parte del conducente la pilotina, ed escludere la presunzione di responsabilità.
Anche questo motivo è fondato. Invero, posto che i movimenti di una imbarcazione (come e quando si verificano) non sono prevedibili, dipendendo dal moto ondoso, e, tuttavia, non possono certo per questo ritenersi eccezionali, occorreva, in concreto, in quelle circostanze di fatto accertare: a) se la imbarcazione era ormeggiata o no; b) in caso affermativo, se l'ormeggio era tale da contenere i movimenti della imbarcazione; c) se in ogni caso, in relazione alle condizioni del mare e dell'ormeggio, la presenza di funi sulla tolda, nel punto di sbarco, fosse giustificata; d) se la pilotina fosse munita di adeguate battagliole.
Accertamenti, questi, che sono del tutto mancati sulla base della mera considerazione della "semplicità delle operazioni richieste", e della circostanza irrilevante che il G.E. fosse munito di patentino.
E' poi appena il caso di ricordare che per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. 2 marzo 1984 n. 1478, 29 luglio 1986 n. 4860, 7 marzo 1987 n. 2417, 6 luglio 1990 n. 7101, 17 novembre 1993 n. 11351) la responsabilità civile dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure di sicurezza generiche e specifiche, che, in relazione alla concreta pericolosità del lavoro siano idonee a tutelare la integrità fisica del lavoratore è esclusa solo in caso di dolo di quest'ultimo o nel caso di rischio elettivo, generato da una attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso; sicché la eventuale colpa del lavoratore, dovuta ad imprudenza, negligenza od imperizia, non elimina quella del datore di lavoro; spetta a quest'ultimo provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore ad interrompere il nesso di causalità.
Con il quinto motivo, che logicamente deve essere esaminato prima del quarto, il ricorrente si duole per la errata applicazione degli artt. 1891 e 1920 cod. civ., per la violazione dell'art. 2952 cod. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) in quanto ha escluso che la polizza fosse a copertura della responsabilità civile, ed ha ritenuto che fosse a favore del terzo, trascurando gli elementi testuali specificamente indicati, dai quali era dato desumere il contrario, ed in particolare non considerando l'art. 1 delle condizioni speciali integrative delle condizioni generali, dal quale risultava che "tutti i dipendenti assicurati dalla Corsiglia (vi era qui un apposito elenco) restavano coperti anche per gli avvenimenti a bordo di navi e galleggianti in porti, ferrovie, aeroporti".
In tal senso l'assicurazione per i sinistri anche fuori dell'attività lavorativa, richiamata dalla motivazione della sentenza impugnata, era un elemento meramente accessorio.
Il motivo è fondato per quanto attiene alla insufficienza della motivazione in ordine alla qualificazione del contratto di assicurazione come "a favore di terzo" e non come "della responsabilità civile". La motivazione della impugnata sentenza non ha posto in rilievo gli elementi sui quali la giurisprudenza ha tradizionalmente posto la differenza tra il contratto di assicurazione della responsabilità civile ed il contratto a favore di terzi, e, sebbene la peculiarità del contratto di assicurazione contro gli infortuni dei dipendenti si limiti al fatto che lo stipulante ed obbligato al pagamento del premio è un soggetto diverso dall'assicurato, rilevando solo sul piano dei motivi l'intenzione di realizzare finalità proprie di un'assicurazione sulla responsabilità civile in relazione alla riduzione dell'eventuale obbligo risarcitorio per l'importo corrispondente alla prestazione assicurativa (Cass. 10 dicembre 1993 n. 12188); tuttavia è mancata la disamina dell'art. 21 delle condizioni generali di contratto, dal quale si evince il collegamento tra
assicurazione e responsabilità civile, tenuto conto dell' "accantonamento" dell'indennità in caso di controversia, e del suo "computo" nel risarcimento al quale il contraente risultasse obbligato a seguito di sentenza o di transazione.
Nei motivi di gravame, invero, l'appellante aveva mosso una specifica censura sul punto, rilevando come dall'insieme delle norme contrattuali, e, in particolare dalla circostanza che la società assicurante, datrice di lavoro degli assicurati, intendesse assicurare, tra l'altro, i propri dipendenti dai danni connessi al fatto di recarsi a bordo delle navi, e quindi proprio il rischio del quale trattasi.
Orbene la affermazione che la polizza fosse "congegnata come tipica polizza a favore di terzo", non appare in alcun modo tener conto di tale elemento, che, anzi, sembra contraddire la affermazione che non vi sia "cenno" alla responsabilità del datore di lavoro, posto che, secondo ogni evidenza tale finalità è implicita nella natura del rapporto esistente tra le parti e nella ragione per la quale i detti dipendenti si recavano a bordo delle navi; elementi del tutto trascurati nella motivazione.
Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione dell'art. 2952 cod. civ. e mancata applicazione del quarto comma della stessa norma (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), per non aver collegato la sospensione della prescrizione prevista nel quarto comma dell'art. 2952 con la durata del termine di prescrizione di cui al secondo comma del detto art. 2952 cod. civ. trascurando di considerare che il credito non era liquido ed esigibile sinché non fosse intervenuta la pronuncia del giudice del lavoro e, in ogni caso, che il termine di prescrizione rimaneva sospeso a seguito della richiesta del danneggiato.
Questa censura è strettamente connessa e consequenziale a quella svolta nel quinto motivo, già in precedenza esaminata per ragioni di priorità logica.
Anche tale motivo è fondato. Invero la non applicabilità della disposizione di cui al quarto comma dell'art. 2952 codice civile sulla sospensione del corso della prescrizione, è stata ritenuta dal Tribunale sul presupposto che la polizza di assicurazione stipulata dalla datrice di lavoro con la soc. Prudential non contemplasse il rischio della responsabilità civile, il che, come illustrato in relazione al quinto motivo, non considera le norme contrattuali (e, in particolare, l'art. 21) e la finalità emergente dalla natura del rapporto e perciò il collegamento che può ravvisarsi tra l'assicurazione e, per l'appunto, la responsabilità civile; con le relative implicanze - all'esito della necessaria indagine di merito - circa il possibile verificarsi della sospensione della prescrizione e la determinazione dei relativi termini.
Consegue in relazione alle ragioni esposte l'accoglimento del ricorso, la cassazione della impugnata sentenza ed il rinvio per nuovo esame al tribunale di La Spezia, il quale provvederà anche in ordine alle spese del procedimento di cassazione, dando applicazione ai seguenti principi di diritto:
in una fattispecie di impiegati o di dirigenti di una azienda che, per ragioni di lavoro, siano obbligati a recarsi abitualmente, anche se saltuariamente a bordo di navi, sia pure in corso di costruzione, riparazione o trasformazione, il requisito della manualità delle mansioni non è indispensabile ai fini della insorgenza dell'obbligo assicurativo antinfortunistico dei lavoratori subordinati, rilevando invece il fattore oggettivo dell'esposizione a rischio, di guisa che la qualifica di impiegati ed il fatto che i titolari di detta qualifica non abbiano un contatto diretto con gli apparecchi e gli impianti di cui all'art. 1 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, non escludono la sussistenza dell'obbligo suddetto, qualora questi lavoratori siano costretti, dall'esercizio delle loro mansioni, a frequentare non occasionalmente ambienti (trattasi evidentemente di rischio ambientale), in cui operano le fonti di rischio di cui all'art. 1 anzidetto;
la responsabilità civile dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure di sicurezza generiche e specifiche, che, in relazione alla concreta pericolosità del lavoro siano idonee a tutelare la integrità fisica del lavoratore, è esclusa solo in caso di dolo di quest'ultimo o nel caso di rischio elettivo, generato da una attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso; sicché la eventuale colpa del lavoratore, dovuta ad imprudenza, negligenza od imperizia, non elimina quella del datore di lavoro; spetta a quest'ultimo provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore ad interrompere il nesso di causalità.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame del gravame al tribunale di La Spezia il quale provvederà anche in ordine alle spese del procedimento di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Lavoro della Corte suprema di Cassazione, il 7 novembre 1995.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 15 APRILE 1996