Cassazione Penale, Sez. 4, 28 febbraio 2019, n. 8774 - Frattura del femore del lavoratore autonomo che cade da una scala portatile. Preposti e prassi contra legem da verificare


 

... La incontestabile presenza dei preposti avrebbe dovuto comportare la puntale verifica da parte della Corte territoriale circa l'eventuale instaurazione o meno, nella concreta situazione data (connotata da un certo tipo di organizzazione aziendale, da elevato numero di cantieri aperti, da pluralità di dipendenti e da nomina di preposti), di una prassi aziendale contra legem di tolleranza di condotte pericolose, verifica che è necessaria nel caso di specie, in ossequio al principio secondo cui «In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche» (v. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un'ipotesi di lesioni colpose, cfr. Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CENCI DANIELE data Udienza 27.11.2018

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 18 gennaio 2018 la Corte di appello di Bologna, in integrale riforma di quella emessa all'esito del giudizio abbreviato il 23 luglio 2015 dal G.i.p. del Tribunale di Bologna, decisione con la quale E.Z. era stato assolto dal reato di lesioni colpose gravi in danno di S.C., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 30 aprile 2014, sentenza appellata dal Procuratore generale, ha ritenuto l'imputato colpevole, conseguentemente condannandolo alla sanzione stimata di giustizia (concesse le circostanze attenuanti generiche, due mesi di reclusione, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena).
2. E.Z. è imputato del reato di lesioni colpose gravi in danno di S.C., con violazione della disciplina antinfortunistica, poiché, in qualità di presidente del Consiglio di amministrazione della s.r.l. E.Z., affidataria di lavori di ristrutturazione con oggetto la sostituzione di cinquantadue infissi presso l'immobile sede del Comando regionale Carabinieri Emilia Romagna, per non avere verificato le attrezzature e le modalità operative con cui venivano eseguiti i lavori da parte del lavoratore autonomo S.C., incaricato della installazione degli infissi, che il 30 aprile 2014, nonostante il piano operativo di sicurezza (acronimo P.O.S.) contemplasse nell'elenco delle attrezzature utilizzabili solo ponti su ruote, detti "trabatelli", sicché S.C. eseguiva le lavorazioni utilizzando una scala portatile, dalla quale, mentre si accingeva a smontare una delle finestre da sostituire, cadeva, verosimilmente a causa dello scivolamento della scala, malgrado la presenza di gommapiuma sui piedi della stessa, procurandosi la frattura del femore della gamba sinistra.
3. Il Tribunale ha assolto l'imputato, con la formula "per non avere commesso il fatto", valorizzando sia le deleghe scritte, acquisite in atti, conferite da E.Z. il 20 gennaio 2014 ad A.B. quale "preposto e capocantiere ai fini della sicurezza" e al geometra F.D. quale "responsabile tecnico e preposto", essendosi ritenuta la piena idoneità dei delegati all'assunzione del ruolo di responsabili in tema di sicurezza, sia la accertata costante presenza giornaliera di A.B. in cantiere, fatta eccezione unicamente il giorno dell'infortunio, in cui era impegnato altrove nello smaltimento di materiale edile, ed anche in considerazione della ritenuta inesigibilità della costante presenza di E.Z., in ragione dell'elevato numero di cantieri, ben settantacinque, che la s.r.l. di E.Z. aveva, come documentato, in attività al momento dei fatti, nel mese di aprile 2014 (pp. 3-5 della sentenza del G.i.p.).
4. La Corte di appello, accogliendo l'impugnazione del Procuratore generale, ha, invece, valutato essere la sentenza di primo grado affetta da errore di diritto, in particolare stimando che le deleghe conferite al dipendente A.B. e al direttore tecnico F.D. fossero prive del necessario contenuto di attribuzione dei poteri di gestione e di spesa che sono tipici del datore di lavoro; ha, inoltre, ritenuto di escludere che la ditta di E.Z. avesse «quelle notevoli dimensioni, affermate dalla difesa, che avrebbero impedito la corretta gestione del rischio da parte del medesimo, trattandosi di una impresa dotata di circa 20 dipendenti compresi gli impiegati e che usava gestire l'esecuzione delle commesse ricevute affidandole a singoli lavoratori autonomi. Di talché l'imputato era nella condizione di potere adempiere agli oneri a suo carico di salvaguardia delle condizioni di lavoro e di predisposizione delle misure antinfortunistiche» (v. pp. 2-5 della motivazione della sentenza impugnata).
5. Ha presentato tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, tramite difensore, affidandosi a quattro motivi con cui denunzia violazione di legge (il primo, il secondo ed il quarto motivo) e difetto di motivazione (il primo, il terzo ed il quarto motivo).
5.1. Con il primo motivo (pp. 2-6 del ricorso), in particolare, si censura vizio di motivazione ed omissione di pronunzia, stante la omessa giustificazione in ordine al mancato accoglimento delle ragioni a sostegno della conferma dell'assoluzione dell'imputato e del rigetto dell'appello del P.G., ragioni che erano state illustrate nella memoria difensiva depositata il 12 gennaio 2018, con tre allegati (documentazione richiamata e materialmente allegata al ricorso, n. 4).
In particolare, nella memoria si era sottolineato che era dimostrato sia che nel cantiere era presente un preposto ai fini della sicurezza, debitamente formato ed in grado di attendere ai propri compiti, sia che era materialmente impossibile per l'imputato / datore di lavoro verificare la puntuale ottemperanza alle disposizioni del P.O.S., essere, come documentato, contemporaneamente presente in tutti i cantieri aperti, peraltro dislocati in un'area molto vasta.
Inoltre nella ulteriore memoria, intitolata "brevi note di udienza", depositata il 12 gennaio 2018 (citata ed allegata al ricorso, n. 5), si era richiamato il principio della teoria della "gestione del rischio", di cui all'insegnamento della S.C., Sez. 4, n. 49821 del 21 dicembre 2012, che, per scongiurare attribuzioni di responsabilità da mera posizione molto prossime alla responsabilità oggettiva, ritiene che nelle organizzazioni complesse, tale essendo - si ritiene - la ditta in questione, che il giorno dell'infortunio aveva aperti ben settantacinque cantieri in provincia di Bologna, deve ritenersi responsabile il soggetto titolare della posizione di garanzia che, in concreto, poteva / doveva gestire il rischio che ha causato l'infortunio.
Non avere - si ritiene - speso la Corte territoriale una parola per confutare le argomentazioni difensive contenute nella richiamata memoria ed incentrate sulla teoria della "gestione del rischio" integrerebbe, al contempo, difetto motivazionale ed omissione di pronunzia, vizio quest'ultimo pacificamente ricorribile (si richiama Sez. 2, n. 9053 del 28 febbraio 2018).
5.2. Con il secondo motivo (pp. 6-8 dell'impugnazione) lamenta erronea applicazione di legge penale e di altre norme giuridiche di cui occorre fare applicazione con riferimento al negato riconoscimento del preposto in materia di sicurezza quale figura garante del bene tutelato (la salute dei lavoratori) e soggetto in grado di gestire il rischio infortunio sul lavoro in luogo del datore di lavoro in un'organizzazione complessa nel caso in cui il sinistro sia occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa e non da scelte gestionali di fondo, con conseguente esclusione della responsabilità del datore di lavoro.
In particolare, la sentenza impugnata sarebbe illegittima ed erronea nella parte in cui (alla p. 4) assume che «l'unica possibilità di esclusione di una responsabilità penale in capo [... al datore di lavoro sia] la formate delega di funzioni in materia di sicurezza», così trascurando la rilevanza della teoria della "gestione del rischio" nelle organizzazioni complesse, secondo cui, appunto, «nei contesti lavorativi più complessi la responsabilità di un infortunio sul lavoro occasionato dalla concreta esecuzione di una prestazione lavorativa sia riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto mentre permane una responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui l'incidente derivi da scelte gestionali di fondo» (così alla p. 7 del ricorso), teoria avallata anche da giurisprudenza di legittimità, di cui si è detto.
Passando dal generale al particolare, infatti, assume il ricorrente che la causa dell'infortunio, avere utilizzato cioè una scala a pioli anziché un trabatello su ruote, dimostri che la mera verifica dell'utilizzo della misura antinfortunistica in questione, prevista dal P.O.S., non afferisca ad una scelta gestionale di fondo ma a un difetto di vigilanza del preposto, soggetto non solo quotidianamente presente in cantiere (come espressamente accertato nella sentenza di primo grado, alla p. 5) ma anche in concreto in grado di gestire e di governare, anche intervenendo direttamente, il rischio in questione.
5.3. Mediante il terzo motivo (pp. 8-11 del ricorso) E.Z. si duole della - ritenuta - manifesta illogicità della motivazione, con riferimento al negato riconoscimento in capo al datore di lavoro della sussistenza di un oggettivo impedimento alla gestione del rischio a causa della complessa e notevole dimensione dell'azienda, oltre che della omessa rinnovazione dell'istruttoria in presenza di una riforma in peius della sentenza assolutoria.
Nell'escludere, infatti, le rilevanti dimensioni dell'azienda la Corte di appello ha valorizzato soltanto il numero dei dipendenti, circa venti, come riferito dal teste F.D. (p. 4), trascurando tuttavia l'ampiezza dell'area dimensionale ed organizzativa della stessa ditta, essendo incontestata la contemporanea apertura di cantieri in ben settantacinque località diverse, oltre che il legittimo ricorso alla collaborazione di lavoratori "esterni".
Inoltre, la Corte di merito, alla stregua degli insegnamenti delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 18620 del 14 aprile 2017), avrebbe dovuto rinnovare l'esame del teste F.D. sul tema delle dimensioni dell'azienda, valutato dalla Corte di merito in maniera difforme da come valutato dal G.i.p.
5.4. Con l'ultimo motivo si denunzia promiscuamente violazione di legge (artt. 163-164 cod. pen.) e difetto motivazionale della sentenza che, nel non concedere la pena sospesa all'imputato, peraltro incensurato, imprenditore stimato e perfettamente inserito nel contesto sociale, non ha fornito alcuna giustificazione circa la mancata concessione del beneficio in questione.
 

 

Diritto

 


l. Il ricorso è fondato.
1.1. Va premesso che la Corte di appello di Bologna, con motivazione congrua, logica ed immune da vizi rilevabili in sede di legittimità, esaminati i documenti in atti e valutatone il contenuto, ha escluso che l'imprenditore abbia conferito ad altri una valida delega, con la conseguenza della permanenza della posizione di garanzia in capo E.Z..
1.2. Tanto premesso, la incontestabile presenza dei preposti - A.B. e F.D. - avrebbe dovuto comportare la puntale verifica da parte della Corte territoriale circa l'eventuale instaurazione o meno, nella concreta situazione data (connotata da un certo tipo di organizzazione aziendale, da elevato numero di cantieri aperti, da pluralità di dipendenti e da nomina di preposti), di una prassi aziendale contra legem di tolleranza di condotte pericolose, verifica che è necessaria nel caso di specie, in ossequio al principio secondo cui «In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche» (v. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in un caso di omicidio colposo; in conformità, in un'ipotesi di lesioni colpose, cfr. Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004, Policarpo, Rv. 228344; principio risalente a Sez. 4, n. 17941 del 16/11/1989, Raho, Rv. 182857).
1.3. Al fine dell'accertamento indicato sarà necessaria da parte del giudice del rinvio la rinnovazione istruttoria secondo quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-267492), principio di recente ribadito dal massimo consesso giurisdizionale (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785-269786), limitatamente, tuttavia, alle prove dichiarative ritenute decisive («Costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova - ai fini dell'esito della condanna»: Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, cit., Rv. 267491).
2. Discende, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso (risultando l'ultimo assorbito), la decisione in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.
Così deciso il 27/11/2018.