Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 marzo 2019, n. 6275 - Tante assenze dal lavoro della collaboratrice scolastica. Legittima la verifica sulla idoneità al servizio 


 

 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA Data pubblicazione: 04/03/2019
 
 
 
 Rilevato che
 1. la Corte di Appello di Campobasso ha respinto l'appello di M.G.O. avverso la sentenza del Tribunale di Larino che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca nonché di E.DP., volta ad ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni che, a suo dire, sarebbero stati cagionati dalla condotta vessatoria tenuta dal dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo di Campo Marino;
 2. la Corte territoriale ha ritenuto condivisibili le argomentazioni espresse dal Tribunale, alle quali ha rinviato per motivare la pronuncia di rigetto dell'appello, aggiungendo che correttamente il E.DP., basandosi sulla certificazione dell'Inail, aveva ritenuto che l'assenza successiva al 13 marzo 2009 non poteva essere imputata a causa di servizio;
 3. il giudice d'appello ha evidenziato, inoltre, che le richieste di visite fiscali trovavano giustificazione nelle determinazioni assunte dall'Istituto previdenziale e che ragionevole, anzi doverosa, doveva ritenersi l'iniziativa volta a provocare l'accertamento dell'idoneità al servizio dell'M.G.O., giacché quest'ultima in un periodo di tempo di poco superiore ai due anni era rimasta assente per 383 giorni;
 4. sulla base di detti rilievi la Corte territoriale ha escluso che la condotta del dirigente scolastico fosse stata ispirata da finalità vessatorie;
 5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.G.O. sulla base di tre motivi, ai quali hanno resistito con tempestivo controricorso E.DP. ed il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca;
 6. la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. insistendo per l'accoglimento del ricorso.
 
 
 Considerato che
 1. con il primo motivo di ricorso è denunciata «carenza di motivazione in merito al mancato espletamento dell'istruttoria; violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4; violazione e falsa applicazione artt. 115-416 c.p.c. in relazione all'art. 360» ( così testualmente la rubrica del motivo);
 1.1. richiamata la definizione di mobbing fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, la ricorrente sostiene che dovevano essere ammessi i mezzi istruttori richiesti e che i giudici di merito avrebbero dovuto esercitare i poteri officiosi di cui all'art. 421 cod. proc. civ.;
 1.2. aggiunge che le circostanze dedotte nell'atto introduttivo non erano state specificamente contestate dai convenuti ed infine si duole dell'omessa pronuncia « su quanto richiesto da parte ricorrente»;
 2. la seconda censura, formulata ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata «violazione e falsa applicazione del d.l. 25 giugno 2008 e degli artt. 17 e 20 C.C.N.L. Comparto Scuola; insufficiente e contraddittoria motivazione; falsa ed erronea applicazione delle norme di legge relative alle assenze per malattia per causa di servizio» perché entrambi i giudici di merito, nella valutazione delle risultanze processuali, non avrebbero tenuto conto dell'ontologica diversità fra infortunio sul lavoro e infermità per causa di servizio;
 2.1. la ricorrente sostiene, in sintesi, che il certificato dell'Inail si riferiva all'inabilità temporanea derivata dall'infortunio sul lavoro verificatosi il 15 gennaio 2009, mentre i certificati medici del 16 e 31 marzo 2009 facevano riferimento a «causa di servizio», ossia alle conseguenze del trauma distruttivo della spalla destra, riconosciuto, appunto, come dipendente da causa di servizio il 3 aprile 2009;
 2.2. il dirigente scolastico, pertanto, non poteva disattendere le certificazioni mediche ed applicare all'assenza la disciplina contrattuale prevista per la malattia comune, giacché, qualora l'inabilità derivi da causa di servizio il lavoratore non può essere sottoposto a visita fiscale e ha diritto a ricevere l'intero trattamento retributivo, senza decurtazione alcuna;
 3. il terzo motivo, rubricato «Art. 2 Decreto n. 206 del 18.12.2009 determinazione delle fasce orarie di reperibilità per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia. Violazione e falsa applicazione. Illegittimità delle visite mediche dell' 11 e del 14 aprile 2009. Violazione e falsa applicazione articolo 71, 1° comma, del decreto n. 112/08 convertito in legge n. 133/08 - illegittimità della decurtazione stipendiali», addebita alla sentenza impugnata la violazione della normativa richiamata in rubrica ed insiste nel sostenere che l'attestazione del medico curante sulla dipendenza da causa di servizio della patologia doveva ritenersi sufficiente per escludere la decurtazione stipendiale ed anche l'obbligo del rispetto delle fasce di reperibilità;
 4. il ricorso è inammissibile per plurime ragioni concorrenti;
 4.1. la sentenza impugnata è chiara nel rinviare per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado sicché, al fine di assolvere all'onere di specificazione imposto dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., la ricorrente avrebbe dovuto riportare nel ricorso il tenore della sentenza di primo grado che, secondo quando si legge nella decisione gravata, era «da ritenersi come riportata e trascritta» in quella d'appello;
 4.2. hanno affermato, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte che «in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l'onere ex art. 366, n. 6, c.p.c. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l'atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali» ( Cass. S.U. n. 7074/2017); 
 5. il motivo di ricorso con il quale la ricorrente si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori e della violazione del principio di non contestazione è parimenti formulato senza il necessario rispetto del richiamato art. 366 n. 6 cod. proc. civ. nonché dell'art. 369 n. 4 cod. proc. civ., perché: non sono trascritte nel ricorso le istanze non accolte dai giudici di merito; non sono riportati, nelle parti rilevanti, le allegazioni in fatto contenute negli scritti difensivi delle parti; non sono fornite indicazioni in merito all'allocazione nel fascicolo processuale degli atti sui quali è fondata la censura;
 5.1. è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui «la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare - elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto - non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione.» ( Cass. n. 9748/2010 e fra le più recenti negli stessi termini Cass. n. 8204/2018);
 5.2. quanto, poi, al principio di non contestazione ribadisce il Collegio che, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata "pacifica" tra le parti, il principio di specificità dei motivi di ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica, perché il giudice di legittimità deve essere posto innanzitutto in condizione di verificare ex actis la decisività e la fondatezza della censura ( cfr. fra le più recenti Cass. 24062/2017);
 5.3. analoghe carenze presenta il ricorso quanto al contenuto della documentazione posta a fondamento della seconda censura, con la quale la ricorrente addebita alla Corte territoriale di avere errato nella valutazione dei certificati rilasciati dall'INAIL e dai medici curanti;
 6. infine va evidenziato che la Corte territoriale ha escluso qualsivoglia intento vessatorio, rilevando, da un lato, che la certificazione dell'istituto previdenziale giustificava il comportamento del dirigente scolastico, dall'altro che l'avvio del procedimento volto ad accertare l'idoneità al lavoro doveva ritenersi iniziativa doverosa, a fronte di assenze protrattesi in un arco temporale di due anni per 383 giorni;
 6.1. si tratta di un accertamento di merito sull'insussistenza del necessario elemento soggettivo che caratterizza il mobbing, che non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come modificato dal d.l. n. 83/2012, applicabile ratione temporis in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 23 maggio 2014; 
 6.2. il richiamato art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;
 6.3. l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;
 6.4. il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. solo qualora il ricorrente indichi il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività";
 6.5. dette condizioni non ricorrono nella fattispecie, sicché il ricorso si deve ritenere inammissibile in tutte le sue articolazioni, perché anche la denuncia di violazione di legge è strettamente connessa alla valutazione delle risultanze processuali effettuata dalla Corte territoriale;
 7. alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;
 7.1. sussistono le condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quaterd.P.R. n. 115 del 2002.

 
 
 P.Q.M.


 
 
 La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate quanto a E.DP. in € 3.000,00 per competenze professionali ed in € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, e, quanto al MIUR, in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.
 Così deciso nella Adunanza camerale del 16 gennaio 2019