Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2019, n. 10852 - Caduta mortale durante i lavori di posa in opera delle tubazioni sul prospetto di un'abitazione. Carenza motivazionale e annullamento con rinvio


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 24/01/2019

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Palermo, con sentenza del 26 marzo 2018, confermava integralmente la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Termini Imerese del 7 marzo 2017 con la quale P.A. veniva condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente all'aggravante contestata, alla pena di anni uno di reclusione, per i reati p. e p. dagli artt. 18, c. 1, lett. f), 55, c. 5, lett. e), 77, c. 4, lett. h) e 87, c. 3, lett. e), d.lgs. n. 81/2008 (capi A e C dell'imputazione) e dall'art. 589, c. 2, cod.pen. (capo D), perché, in qualità di datore di lavoro di I.R., adibito alle mansioni di posa in opera di tubazioni sul prospetto di una abitazione, per colpa generica e specifica consistita nella violazione delle disposizioni antinfortunistiche contestate agli altri capi, cagionava la morte del lavoratore, il quale cadeva al suolo da un'altezza di circa otto metri, perdendo la vita.
2. I giudici di merito ricostruivano pacificamente l'infortunio. Nella mattina del 6 ottobre 2015, I.R., dipendente della ditta individuale di P.A., incaricata dell'esecuzione dei lavori di metanizzazione presso un'abitazione sita in Polizzi Generosa, nell'intento di terminare l'impianto di tubatura unitamente al fratello I.S, perdeva l'equilibrio dalla scala montata sul terrazzino al secondo piano dell'abitazione, cadendo al suolo, da un'altezza di circa otto metri e perdendo così la vita.
3. All'esito del giudizio abbreviato, veniva accertato che il P.A. non aveva formato il lavoratore sull'utilizzo della cintura di sicurezza e degli altri dispositivi di protezione individuale, dispositivi che infatti egli non indossava, e che il POS, pure redatto, non era stato firmato dall'I.R., che ricopriva anche il ruolo di RLS (responsabile dei lavoratori per la sicurezza). La responsabilità del datore di lavoro veniva dunque considerata certa, essendo l'infortunio dipeso dal mancato controllo, da parte dell'imputato, circa il corretto ed effettivo utilizzo da parte del lavoratore dei dispositivi di protezione, oltre che dalla mancanza di un'adeguata formazione del medesimo circa l'utilizzo dei dispositivi in discorso. Veniva, peraltro, escluso che la condotta del lavoratore potesse dirsi abnorme, in quanto posta in essere nell'espletamento delle proprie mansioni specifiche.
4. L'imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, elevando tre motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in ordine alla errata ricostruzione del sinistro da parte dei giudici di appello, i quali non avrebbero tenuto in alcuna considerazione i motivi di gravame sviluppati con l'atto di appello, limitandosi a ritenere provato il fatto sulla base di mere deduzioni e di prove indirette.
4.1. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla prova del fatto che il lavoratore avesse appoggiato il piede sulla ringhiera, che stesse utilizzando una chiave a stella, che stesse montando un raccordo di metallo e, infine, che avesse perso l'equilibrio per uno squilibrio o per uno sforzo. La Corte d'Appello non aveva poi correttamente valutato il fatto che l'I.R. aveva partecipato a specifici corsi di formazione per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, nonché il contenuto del DVR, peraltro firmato dall'I.R. quale RLS, il quale dimostra la conoscenza e la capacità di utilizzo, da parte del lavoratore, dei dispositivi di protezione individuale e, conseguentemente, l'ottemperanza agli obblighi di formazione e di addestramento da parte del P.A., come peraltro confermato anche dal Bruno Giovanni, sentito dalla difesa in sede di indagini difensive. Evidenzia ancora il ricorrente che nel DVR era espressamente previsto l'utilizzo, per i lavori in quota, di cinture di sicurezza, imbracature, elmetti ed indumenti di protezione.
4.3. Con il terzo motivo, si lamenta infine violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'abnormità del comportamento del lavoratore. In un contesto normativo improntato alla collaborazione fra datore di lavoro e lavoratori - nel quale dunque gli obblighi di sicurezza sono ripartiti - non vi è dubbio che non sia affatto prevedibile che un lavoratore, fornito di cinture di sicurezza e di scala, ritenga di dovere stare in precario equilibrio sulla ringhiera di un balcone. Al contrario, è ragionevole che il datore di lavoro faccia affidamento sull'osservanza delle misure antinfortunistiche da parte del lavoratore.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è fondato sotto il profilo della carenza motivazionale, avendo la Corte territoriale omesso di fornire adeguata e puntuale risposta alle ragioni di gravame formulate dalla difesa dell'imputato.
2. Nella sentenza di primo grado il G.u.p. trascrive parte del contenuto della notizia di reato in cui "si presume" che il lavoratore "abbia perso l'equilibrio dalla scala montata sul terrazzino al secondo piano dell'abitazione, cadendo al suolo, per cause accidentali, da un'altezza di circa 8 metri (secondo piano)" e che al momento dell'incidente egli "non indossava alcun dispositivo di protezione individuale".
Riporta poi le dichiarazioni del fratello della vittima, il quale non aveva assistito all'incidente ma si era allontanato lasciando l'operaio "sul balcone al secondo piano dell'abitazione...posizionato su una scala...rinvenuta a terra a suo fianco...", da cui il teste ha presunto che avesse perso l'equilibrio cadendo giù.
Infine, ricostruisce la dinamica dell'infortunio ritenendo "con alto grado di probabilità" che l'I.R., dopo essere salito sulla scala poggiata sulla parete del balcone ove stava lavorando, avesse poggiato un piede sulla ringhiera e l'altro sul gradino e per un eccessivo sforzo o per altra causa non accertata aveva perso l'equilibrio ed era precipitato al suolo trascinando con sé la scala medesima.
In quel momento era certo che il lavoratore non stesse facendo uso dei dispositivi di protezione individuale, messi a sua disposizione dal P.A., ossia il casco e le cinture di sicurezza, poi rinvenuti all'interno del furgone utilizzato quel giorno dall'operaio per recarsi sul luogo di lavoro.
La responsabilità del P.A. è stata quindi collegata all'inottemperanza del preciso obbligo datoriale di adottare le misure di sicurezza individuali e soprattutto di un controllo continuo e pressante per imporre e garantirsi da parte dei lavoratori il rispetto delle norme prevenzionali, al fine di evitare che essi - sia pure per leggerezza o superficialità - potessero sfuggire alla tentazione di trascurarle.
3. Nella sentenza di appello La Corte di Palermo, sintetizzando quanto già argomentato dal G.u.p., ha fornito una scarna risposta ai motivi di gravame, con i quali la difesa aveva evidenziato l'esaustivo adempimento da parte del P.A. di tutti gli obblighi di organizzazione della prevenzione dei rischi nel cantiere, ivi compresi quelli di formazione ed informazione del lavoratore (egli stesso responsabile del servizio di protezione e prevenzione R.S.P.P.), a fronte di un'azione imprevedibile della vittima che avrebbe poggiato un piede sulla ringhiera così perdendo l'equilibrio nel corso dell'operazione di montaggio della tubazione cui era intento; aveva anche escluso il difensore la presenza sul cantiere del datore di lavoro durante lo svolgimento di tale mansione e dunque la sua consapevolezza "visiva" delle modalità rischiose con cui l'I.R. stava procedendo.
4. Ed allora, posta una dinamica del fatto non accertata ma descritta in maniera probabilistica e facendo ricorso a presunzioni ed il rinvenimento dei dispositivi di protezione individuale messi a disposizione del lavoratore (e non indossati) la Corte avrebbe dovuto fornire una risposta più approfondita e più adeguata alle censure sottoposte al suo esame di merito, dando conto sia delle ragioni in fatto sulle quali l'appellante aveva sollecitato un preciso esame, e sulle quali aveva lamentato una risposta non convincente e non aderente al compendio probatorio acquisito in primo grado, sia affrontando nel caso concreto le questioni di diritto - riproposte nell'odierno ricorso (ottemperanza all'obbligo di redazione del D.V.R. e del P.O.S., affermazioni apodittiche sulla inesistenza di misure di protezione individuale, principio di "affidamento", rapporto "collaborativo" tra datore di lavoro e operaio, competenza del lavoratore quale R.S.P.P. e sua avvenuta formazione, eccentricità e/o esorbitanza del comportamento dell'operaio) - e la loro valenza ai fini dell'accertamento della penale responsabilità dell'imputato.
5. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2019