Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2019, n. 10840 - Infortunio dell'operaio serramentista durante la sostituzione di alcune lastre di vetro. Mancanza di guanti con polsiere e omessa formazione


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 12/12/2018

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Milano con sentenza del 21/5/2018, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Milano con cui M.A., datore di lavoro di R.D.D., ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen. era condannato alla pena di mesi tre di reclusione ed al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite, INAIL e R.D.D. .
2. La vicenda riguarda l'infortunio patito dal dipendente della soc. Vetraria Omissis s.r.l., di cui il M.A. era presidente del consiglio di amministrazione, operante nel settore della lavorazione, del taglio e della installazione del vetro. Il R.D.D., operaio serramentista, dipendente della impresa, era stato incaricato della sostituzione di alcune lastre di vetro dai serramenti montati nell'abitazione di tal V.G.. L'operaio, intento a smontare il vetro dall'infisso, avvalendosi di un taglierino per favorire il distacco del vetro dall'anta, in seguito alla improvvisa rottura della lastra, si procurava una lesione grave, consistita nella lesione all'arteria ulnare destra ed una lesione tendinea da cui derivava una malattia della durata di 609 giorni.
I giudici di merito hanno ravvisato a carico di M.A. profili di responsabilità generica e specifica. In particolare, quanto alla colpa specifica, hanno addebitato al ricorrente la violazione dell'art. 17, comma 1, d.lvo 81/08 in relazione all'art. 28 del medesimo decreto legislativo, per non avere il ricorrente valutato tutti i rischi relativi all’esecuzione dei lavori di sostituzione delle lastre di vetro e per non aver individuato le conseguenti misure di prevenzione e protezione da adottare, in modo da garantire la sicurezza del lavoratore. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito non erano state messe a disposizione del dipendente attrezzature adeguate al lavoro da svolgere (consistito nella sostituzione di lastre di vetro da serramenti già installati, operazione che prevedeva lo smontaggio degli infissi stessi, nonché la rimozione dello stucco di sigillatura ed il rimontaggio delle lastre di vetro, con rischio di rottura o sfondamento di queste ultime); non si era provveduto affinchè il dipendente ricevesse un'adeguata informazione sui rischi specifici cui era esposto in relazione all’attività da svolgere nonché sulle normative di sicurezza e sulle misure e le attività di protezione che andavano adottate.
3. L'imputato ha proposto ricorso per Cassazione formulando un unico motivo di ricorso contenente molteplici doglianze, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, travisamento della prova e del fatto; erronea applicazione dell'art. 590 cod. pen.
Rappresenta la difesa che nella pronuncia di condanna entrambi i giudici di merito non si sono soffermati adeguatamente sulla condotta serbata dallo stesso lavoratore e sul nesso causale, inquadrando la vicenda in un ambito di responsabilità datoriale di tipo omissivo.
Nella pronuncia di primo grado si assumerebbe in modo aprioristico che alla persona offesa non poteva rimproverarsi alcun comportamento imprudente e nella sentenza di appello si afferma che la prassi da anni seguita in azienda riguardante lo smontaggio dei vetri era inadeguata ed incompleta atteso che non prendeva in considerazione l'ipotesi del tutto prevedibile della possibile resistenza del silicone che rendeva difficoltosa l'estrazione del vetro.
Lamenta la difesa che non sarebbe stato accertato il nesso causale tra l'azione doverosa addebitata al ricorrente e l'evento verificatosi.
L'esatta ricostruzione dei fatti dovrebbe portare a ritenere che il lavoratore abbia esercitato una indebita ed anomala pressione all'atto della rimozione del vetro per vincere la resistenza del silicone, che determinava la perdita di equilibrio del lavoratore e la frantumazione del vetro. Tale dato oggettivo sarebbe stato male interpretato dai giudici di merito: la condotta tenuta dalla parte civile sarebbe stata esorbitante ed anomala rispetto alle regolari procedure da seguire ed insegnate al dipendente, tale da escludere la riferibilità dell'evento lesivo al datore di lavoro. Prova di ciò si ricaverebbe dalla inchiesta promossa da personale dell'Asl di Como che avanza dubbi sulla dinamica dell'infortunio, evidenziando che potrebbe essere stata esercitata una anomala pressione sul vetro.
Nel caso di reati commissivi omissivi l'accertamento del nesso causale, evidenzia la difesa, richiede una duplice operazione, che implica la necessità di compiere un giudizio controfattuale, aggiungendo mentalmente l'azione doverosa che è stata omessa.
Poiché nel caso in esame non sarebbe stata ricostruita con certezza la dinamica dell'infortunio, non sarebbe possibile ricostruire l'esistenza del nesso causale tra l'eventuale specifica omissione ascrivibile al datore di lavoro e l'evento lesivo. Sul punto le due sentenze sarebbero lacunose. Le risultanze probatorie non sono state attentamente vagliate, anzi sarebbero state travisata, come risulterebbe dalle deposizioni dei testi T. e B.. In tema di prevenzione e protezione antinfortunistica la società del M.A. sarebbe stata sempre molto scrupolosa, avvaledosi di esperti professionisti.
 

 

Diritto

 


1. I motivi di doglianza risultano infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato.
2. La Corte d'appello, condividendo l'impianto motivazionale del primo Giudice, dopo attenta analisi della dinamica del fatto, ha evidenzato che il dipendente non era stato formato adeguatamente in merito ai rischi derivanti dalla lavorazione che andava ad eseguire e che non era stato munito di guanti idonei, dotati di specifici "bracciali antitaglio" che avrebbero sicuramente evitato l'evento, così pervenendo ad una corretta individuazione delle norme violate.
Occorre anche premettere che non può venire in considerazione in questa sede la ricostruzione del fatto e la rivalutazione del quadro probatorio offerto dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, poiché tali aspetti esulano dal giudizio proprio della Corte di Cassazione. Compito del giudice di legittimità non è infatti quello di ricostruire e rivalutare i fatti diversamente dal giudice di merito, ma di sindacare la correttezza del ragionamento applicato e delle valutazioni espresse nella motivazione, in relazione al quadro probatorio come rappresentato nella stessa sentenza. Devono quindi ritenersi non ammissibili o comunque inconferenti ie osservazioni contenute a pagina 9 del ricorso, che propongono una diversa lettura del fatto attraverso il richiamo ad una serie di elementi (presenza dei dispositivi di protezione in azienda; regolare svolgimento dei corsi di formazione ad opera di personale qualificato; assidua raccolta di informazioni dai lavoratori; assenza di verbali sanzionatori elevati nei confronti del datore di lavoro al momento dell'inchiesta) asseritamente mal valutati o pretermessi dai giudici, che restituirebbero una versione della vicenda opposta a quella offerta in sentenza. Invero, il sindacato di legittimità deve essere esercitato sul procedimento logico seguito dal giudice per pervenire al giudizio di attribuzione del fatto, verificando se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti) e di correttezza del ragionamento (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).
3. La prima doglianza contenuta nel motivo di ricorso pone il problema della abnormità della condotta del lavoratore. Si afferma nell'atto di impugnazione che la condotta tenuta dal R.D.D. sarebbe stata decisamente anomala rispetto alle regolari procedure seguite ed insegnate, avendo egli esercitato una pressione eccessiva sul vetro al fine di liberarlo dal serramento, con la conseguenza che si sarebbe interrotto il nesso di causalità tra l'omissione contestata ai datore di lavoro e l'evento.
L'affermazione contiene già in sé un dato che non ha trovato riscontro in atti e che riguarda la formazione del lavoratore e le informazioni necessarie per lo svolgimento del compito a cui era stato adibito.
Sul punto i giudici di merito hanno avuto modo di rilevare -in alcun modo contrastati dal ricorrente - che il DVR, integrato dalla procedura del 14/5/09, non prevedeva in modo adeguato tutti i rischi collegati alla fase di sostituzione dei vetri di serramenti già in opera. 
La criticità riguardante la mancata previsione dei rischio connesso a tale fase e di più dettagliate indicazioni per il compimento di tate operazione nel documento di valutazione, si era tradotta in una carenza di procedure specifiche volte a regolamentare in sicurezza la fase dello smontaggio del vetro, per il quale era del tutto prevedibile che si potesse porre un problema di particolare resistenza offerta dal sigillante, come avvenuto nel caso in esame. La linea difensiva sul punto è carente di argomentazioni volte a smentire la fondatezza dell'assunto recepito dai giudici in sentenza, il quale risulta essere del tutto immune da censure.
D'altro canto, è ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio in base al quale il datore di lavoro è tenuto ad analizzare e individuare con il massimo grado di attenzione, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda - avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro - e, all'esito, è tenuto a redigere e sottoporre a periodico aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008 (così ex multis Sez. 4, Sentenza n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253 - 01).
4. La dedotta abnormità del comportamento del lavoratore è anch'esso argomento affrontato in modo del tutto corretto dai giudici di merito. Di contro, le censure articolate con il ricorso non evidenziano vizi del ragionamento svolto dai giudici, ma ripropongono sostanzialmente una diversa interpretazione del compendio probatorio.
Sul punto appare sufficiente un richiamo alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, per rilevare come la decisione dei giudici di merito sia del tutto coerente con i principi da essa ricavabili, atteso che l'obbligo di prevenzione si estende anche agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. E' significativo inoltre rilevare che, in ogni caso, nell’Ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento [ex multis Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227].
5. Deve essere infine respinta la doglianza che riguarda la lamentata insufficienza argomentativa circa la inesistenza del nesso di causalità tra te violazioni individuate dai giudici di merito e l'infortunio occorso al lavoratore.
I Giudici di merito pongono bene in evidenza che, ove il lavoratore fosse stato adeguatamente informato e fosse stato dotato di guanti con polsiere, esistenti da tempo in commercio, l'infortunio non si sarebbe verificato. Dunque è stato praticato il giudizio controfattuale secondo lo schema tipico che riguarda i reati omissivi.
Infine, il vizio di travisamento della prova lamentato nel ricorso è assolutamente privo di argomenti a supporto. Nell'atto di impugnazione è contenuto un generico richiamo a due testimonianze, senza nessun apporto esplicativo da parte della difesa.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2018