Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 18 marzo 2019, n. 7559 - Ipoacusia di natura professionale. Soglia minima indennizzabile


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 18/03/2019

 

 

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 21.2.2017, la Corte d'appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato per intervenuta prescrizione la domanda di rendita per malattia professionale proposta da G.A. nei confronti dell'INAIL;
che avverso tale pronuncia G.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che parte ricorrente ha depositato memoria;
 

 

Diritto

 


che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2735 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto la valenza di confessione stragiudiziale alle dichiarazioni da lui rese al medico INAIL in data 10.4.2008, dalle quali si evinceva che egli era stato costantemente informato dei risultati delle visite disposte ex L. n. 626/1994 che contenevano una diagnosi di ipoacusia di natura professionale;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame della documentazione medica e degli accertamenti peritati compiuti per avere la Corte territoriale accreditato le conclusioni del CTU di seconde cure secondo il quale l'ipoacusia lamentata avrebbe attinto la soglia indennizzabile nel gennaio 2005;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 135, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte di merito ritenuto che egli avesse avuto piena consapevolezza sia dello stato morbigeno che dell'avvenuto raggiungimento della soglia minima indennizzabile già nel gennaio 2005;
che, con riguardo al primo motivo, va rilevato che la Corte di merito, pur asserendo che le dichiarazioni rilasciate dall'odierno ricorrente ai sanitari INAIL avrebbero avuto natura confessoria, ha nondimeno valutato dette dichiarazioni non già come prova legale, bensì come mero elemento istruttorio da valutare comparativamente con le ulteriori allegazioni di parte e con l'esito della CTU (cfr. in part. pag. 6 della sentenza impugnata), di talché, riguardando un'affermazione del tutto priva di conseguenze sul decisum, la doglianza è priva di interesse ex art. 100 c.p.c., essendosi chiarito che l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio patito dalla parte, sicché l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (cfr. Cass. nn. 20128 del 2015, 15363 del 2016);
che il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in ragione del tenore delle censure svolte, e sono palesemente inammissibili, dal momento che, indipendentemente dalle modalità con cui le censure sono state formulate nella rubrica di ciascuno di essi, mirano all'evidenza ad un riesame della documentazione acquisita al processo e utilizzata dai giudici per pervenire all'accertamento (di fatto) circa il momento in cui il ricorrente avrebbe avuto contezza che lo stato morbigeno da cui era affetto aveva attinto la soglia minima indennizzabile, documentazione della quale propongono una diversa e soggettivamente più appagante lettura;
che, al riguardo, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, specie a seguito della riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell'art. 54, dd. n. 83/2012 (conv. con 1. n. 134/2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere autonomamente decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell'omesso esame di singoli elementi istmttori, qualora - come nella specie - il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014); che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

 

P. Q. M. 

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 19.12.2018.