Cassazione Penale, Sez. 4, 18 marzo 2019, n. 11677 - Caduta mortale dal capannone industriale. Lavori in quota e assenza di dpi


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 20/11/2018

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza in data 25.10.2017, sull'appello dell'imputato, confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva riconosciuto L.A.G. colpevole del reato di cui all'art. 589 I e II comma cod.pen., con inosservanza delle disposizioni concernenti la sicurezza sul lavoro in conseguenza della caduta dalla copertura di capannone industriale del proprio dipendente T.F., e con il riconoscimento della circostanza attenuante generica dell'intervenuto risarcimento del danno prima del giudizio, lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione.
2. In particolare al L.A.G. era contestato di non avere fornito al dipendente dispositivi di sicurezza idonei a prevenire cadute dall'alto e di avere omesso la prescritta formazione ed informazione al dipendente il quale non aveva alcuna qualifica per eseguire lavori in quota.
A fronte della impugnazione dell'imputato, il quale contestava di avere mai ordinato al dipendente di eseguire interventi di manutenzione sulla sommità del capannone e assumeva che la causa dell'infortunio era da attribuirsi ad una sconsiderata, imprevedibile e eccentrica iniziativa del T.F., il giudice distrettuale rappresentava come vi fosse prova agli atti (rappresentata dalla testimonianza di almeno due dipendenti e uno di essi aveva coadiuvato il T.F. negli interventi sopra la copertura) che il datore di lavoro era consapevole degli interventi manutentivi dei propri dipendenti, i quali venivano svolti in una prospettiva di garantire l'andamento, la sicurezza e la continuità delle lavorazioni che si svolgevano all'interno dello stabilimento.
In particolare evidenziava che sebbene detti interventi manutentivi non fossero stati specificamente ordinati dal datore di lavoro, gli stessi servivano a scongiurare la propagazione di infiltrazioni di acqua piovana all'interno dell'area destinata alla produzione (di prefabbricati), ponendo in pericolo la integrità degli stampi e dei quadri elettrici, rappresentando al contempo che il L.A.G. si era lamentato delle percolazioni intervenute nei giorni precedenti all'infortunio; assumeva poi che i testi avevano riferito che l'attività di manutenzione in oggetto era usuale ed alla stessa provvedevano sovente i manutentori G. e T.F. in assenza di specifiche precauzioni, utilizzando un percorso particolarmente articolato e disagevole, avvalendosi di scale e, una volta sulla copertura essi operavano in assenza di alcun presidio volto a prevenire la caduta dall'alto.
Rilevava altresì che a conforto di profili dì responsabilità in capo al L.A.G. vi era la circostanza che il T.F. aveva operato in unione ad altro dipendente (G.), che poi aveva ammesso la circostanza mentre in un primo momento aveva omesso di riferire in merito su richiesta datoriale, e che in prossimità del corpo inanime del dipendente precipitato era stato rinvenuto un presidio anticaduta, di cui peraltro era stato escluso l'impiego da parte del dipendente, così da fare ritenere il tentativo di inquinamento del teatro del sinistro.
Il giudice di appello era pertanto ad escludere che l'evento fosse dovuto al fatto proprio del dipendente, abnorme, esorbitante ed estraneo al campo di controllo e di prevedibilità della figura tutoriale e dall'altra parte riconosceva profili di colpa nei confronti dell'imputato in ragione dell'inosservanza degli obblighi cautelari specifici di formazione, informazione e predisposizione di idonei presidi antinfortunistici.
4. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo vizio di mancanza di motivazione e di violazione nella valutazione della prova sotto il profilo dell'assoluta eccentricità e imprevedibilità della condotta del lavoratore e dell'assenza di una specifica posizione di garanzia in capo al ricorrente in relazione allo specifico intervento sulla copertura, dovendosi fornire credito alle dichiarazioni dello stesso ricorrente il quale aveva escluso di avere destinato gli operai a detti pericolosi interventi, avendo al contrario inibito qualsiasi accesso al tetto della copertura, la cui manutenzione era usualmente demandata a ditte esterne.
4.1 Con una seconda articolazione lamentava vizio motivazionale sulla individuazione della prova sulle cause e sulle modalità della caduta, in ordine alla violazione di precise regole di prevenzione e sul nesso causale tra le asserite violazioni e l'infortunio.
 

 

Diritto

 


1. Va preliminarmente evidenziato, in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p,,
comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato". La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione. Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.
2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti, atteso che l'articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità della parte ricorrente, mentre le censure da questa proposte finiscono sostanzialmente per riproporre, anche graficamente, argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.
2. In particolare la Corte territoriale ha indicato una serie di elementi a sostegno del proprio convincimento in punto di sussistenza tanto del rapporto di causalità omissiva quanto dell'elemento soggettivo del reato, argomenti con i quali la difesa della ricorrente non mostra di confrontarsi ma finisce per riproporre il contenuto dei motivi di gravame già articolati dinanzi al giudice di appello.
Sotto il profilo causale è indubbio che il lavoratore fosse intento a svolgere un'attività di manutenzione di un bene aziendale con mezzi assolutamente inadeguati per operare in quota e privo della necessaria formazione laddove, pur destinato a mansioni inerenti alla realizzazione di prefabbricati, per pacifica emergenza della istruttoria dibattimentale (teste G. e S,), lo stesso era impegnato in periodici interventi di manutenzione del fabbricato in cui si svolgeva l'attività aziendale e in particolare nella riparazione della copertura dello stabilimento. Il giudice di appello sul punto evidenziava come tali interventi si rendessero necessari a causa dello stato di degrado del bene (costituito da pannelli in eternit e lucernari in plexiglass) a causa di infiltrazioni di acqua piovana che avrebbero potuto compromettere i risultati delle lavorazioni (stampi in cemento) o danneggiare i quadri elettrici, di talché assumeva che l'infortunio realizzatosi costituiva, sulla base di giudizio contro fattuale, fondato su criteri probabilistici di elevata credibilità razionale in una valutazione di logica processuale, sviluppo del tutto adeguato di condotta funzionalmente collegata alla prestazione lavorativa.
4. Sotto diverso profilo poi, in relazione alla deduzione del comportamento abnorme del lavoratore, è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché il rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o -lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere escluso unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento (La Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011 23292; 5.3.2015 n. 16397). Non pare dubbio - e il giudice di appello ne ha dato conto in motivazione - che il lavoratore sia stato intento alla esecuzione di un compito che rientrava nell'ambito di attribuzioni che gli venivano richieste o quantomeno in prestazioni periodiche, di regola svolte in coordinamento con altro dipendente, che il datore di lavoro riconosceva come necessarie tanto da accettarne la esecuzione da parte dei propri dipendenti i quali, a loro volta, ne avvertivano la necessità, e quindi la obbligatorietà, in una prospettiva di continuità del ciclo produttivo.
5. Va infine rilevato che nei motivi di ricorso il L.A.G. neppure è in grado di fornire una logica ricostruzione alternativa della vicenda, essendosi limitato ad affermare che la persona offesa, del tutto improvvidamente e senza autorizzazione, si era issato sulla sommità del capannone facendo uso di mezzi inadeguati, laddove la manutenzione straordinaria veniva curata da ditta specializzata che operava in sicurezza con proprio personale.
Appare evidente la incoerenza di una tale prospettazione che omette di considerare che l'infortunato si era posto a eseguire tale pericoloso incombente non da solo ma in unione ad altro lavoratore della stessa ditta e subito dopo il termine dell'orario di lavoro, mentre la istruzione dibattimentale ha consentito di accertare che lo stesso datore di lavoro, nei giorni precedenti la data del tragico infortunio, si era lamentato del problema rappresentato dalle infiltrazioni di acqua nell'area della lavorazione in presenza delle maestranze, paventandone i deleteri effetti sulla produzione, in tale modo inducendo il dipendente infortunato, già in passato aduso a interventi del genere a provvedere alla riparazione della falla con mezzi di fortuna.
6. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, il giudice di merito ha fornito ampia evidenza delle cause e delle modalità dell'infortunio, evidenziando come il lavoratore si fosse posto a operare sulla sommità della copertura, la quale presentava alcuni lucernari in plexiglass inidonei a reggerne il peso di talché, in assenza di strumenti di prevenzione in quota (linee vita, funi o possibilità di aggancio di cinture di sicurezza o imbracature) e di idonea formazione sul punto, l'errore del dipendente aveva determinato la precipitazione all'Interno del capannone nell'ambito di una meccanismo causale che, come sopra evidenziato, era stato innescato dalla colpevole inosservanza di specifiche regole cautelari da parte del prevenuto.
7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.