Cassazione Penale, Sez. 4, 20 marzo 2019, n. 12407 - Fuoriuscita di schizzi di gomma fusa durante un test su uno pneumatico a gomma piena. Valutazione dei rischi e misure di sicurezza: responsabilità del datore di lavoro e del dirigente


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 06/03/2019

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Trento, in data 20 aprile 2018, ha confermato la sentenza con la quale, il 28 giugno 2016, il Tribunale di Rovereto aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia M.B. e A.P. per il reato di lesioni personali colpose, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di C.Z., contestato come commesso in Rovereto, presso lo stabilimento della Marangoni S.p.A., il 4 marzo 2014.
Secondo quanto si legge nell'imputazione e nella parte in fatto della sentenza d'appello, lo C.Z., dipendente della Società, stava operando presso il reparto denominato Sala prove per effettuare un test su uno pneumatico a gomma piena, quando - nell'atto di segnare con un gessetto un rigonfiamento formatosi sul battistrada - veniva investito dallo scoppio del rigonfiamento, con conseguente fuoriuscita di gomma liquida ad alta temperatura, che lo colpiva a livello della mano e dell'avambraccio destri, procurandogli ustioni di terzo grado e una malattia guaribile in oltre 40 giorni.
Il reato suddetto é contestato al M.B. e al A.P. nelle rispettive qualità di direttore dello stabilimento della Marangoni e datore di lavoro dello C.Z. (il M.B.) e di dirigente delegato alla sicurezza dell'area ricerca e sviluppo (il A.P.). Quanto al M.B., gli si addebita fra l'altro la violazione dell'art. 28, comma 2, lettere A, B e D del D.Lgs. n. 81/2008, per non avere adeguatamente valutato i rischi connessi alle operazioni di prova delle gomme e per non avere indicato le conseguenti misure di prevenzione e di protezione, le relative procedure e i dispositivi individuali da impiegare a tal fine, non specificando il tipo di guanti da utilizzare e consentendo ai lavoratori una libera scelta sul dispositivo di protezione da utilizzare (occhiali/visiera) così da esporli a rischi di ustioni nelle parti del corpo non protette. Quanto al A.P., l'addebito (art. 77, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 cit.) consiste nell'avere omesso di fornire ai lavoratori dispositivi di protezione individuali adeguati ai rischi da prevenire, nonché conformi ai requisiti di cui all'art. 76, comma 2, lettera A D.Lgs. cit..
I suddetti addebiti, posti a base della condanna emessa dal Tribunale, sono stati ritenuti pienamente confermati in appello, così come hanno ricevuto conferma avanti la Corte di merito le statuizioni sanzionatorie adottate in primo grado, nelle quali le posizioni degli imputati sono state differenziate in relazione alla diversa biografia penale dei due prevenuti.
2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorrono sia il M.B., sia il A.P., per il tramite del loro difensore di fiducia, con unico atto corredato da una premessa riassuntiva ed articolato in tre ampi motivi di lagnanza.
2.1. Con il primo motivo, richiamando il primo motivo di appello, i ricorrenti lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di penale responsabilità degli imputati, ivi compresi i profili relativi all'attribuzione agli stessi della posizione di garanzia e all'abnormità della condotta del lavoratore: nell'appello venivano illustrate la premessa maggiore, costituita dalla regolarità lavorativa (macchina adeguatamente protetta, lavoratore adeguatamente formato e informato, mancato verificarsi di eventi simili in passato); e la premessa minore, costituita dal fatto che per il lavoratore, con esperienza specifica di oltre 15 anni, vi era una procedura di sicurezza prima di avvicinarsi ai pezzi in prova, procedura che peraltro lo lasciava libero di scegliere il momento e le modalità. Nella specie lo C.Z. scelse di non indossare i guanti che pure aveva in dotazione, ritenendoli non necessari nella specie; perciò egli si sottopose a un "rischio elettivo". I suesposti argomenti, enunciati nell'atto d'appello, non sono stati presi in considerazione dalla Corte trentina, che si é limitata a ribadire la portata generale dell'art. 2087 cod.civ. (in riferimento all'obbligo datoriale di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative necessarie per la tutela dell'integrità fisica e morale dei lavoratori) e la non esclusività causale del comportamento imprudente del lavoratore.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno, comprovato da apposita quietanza e ritenuto "adeguato" dal difensore della persona offesa; mancato riconoscimento che la Corte di merito ha argomentato sul rilievo che esso é stato effettuato dalla Compagnia assicuratrice della Marangoni S.p.A., laddove la giurisprudenza di legittimità riconosce che il risarcimento effettuato per via assicurativa deve considerarsi assimilato a quello effettuato personalmente dall'imputato.
2.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, sia sotto il profilo dell'eccessività della pena, sia sotto il profilo del diniego delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena al M.B.. Sotto il primo profilo, la Corte di merito non ha tenuto in alcuna considerazione le lagnanze difensive; sotto il secondo profilo, analoga carenza motivazionale si registra per quanto concerne il diniego delle attenuanti generiche al M.B.; e, quanto alla prognosi di recidivanza dello stesso imputato, attraverso la quale la Corte di merito ha negato al medesimo la sospensione condizionale della pena, essa é stata operata sulla base di precedenti specifici, che però erano stati tutti puniti con pena pecuniaria, e senza tenere conto del fatto che il M.B. é ormai in quiescenza e non potrebbe perciò reiterare in alcun modo simili reati.

 

 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo di ricorso é infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza.
La pur sintetica esposizione della vicenda processuale operata dalla Corte di merito permette di comprendere come, all'interno dello stabilimento della Marangoni, il problema della fuoriuscita di schizzi di gomma fusa in seguito agli scoppi delle gomme era tutt'altro che nuovo e, dunque, era tutt'altro che imprevedibile. In tal senso sono state valorizzate le dichiarazioni rese dalla persona offesa (vds. pag. 9 sentenza impugnata).
A fronte di ciò, da un lato non vi era una procedura scritta e standardizzata, né una formazione specifica dei lavoratori ai fini del test in esame (ne riferisce il teste T.: il riferimento a tale deposizione é anch'esso a pagina 9 della sentenza), ed anzi - per come riferito dagli stessi ricorrenti nel loro atto d'impugnazione, a conferma di quanto specificamente loro addebitato in rubrica - veniva lasciata ai lavoratori la scelta sui dispositivi di protezione da utilizzare, laddove é noto che l'individuazione delle procedure da adottare e l'indicazione delle misure di protezione e prevenzione e dei dispositivi individuali é di stretta pertinenza del datore di lavoro, ai sensi degli artt. 17, lettera A, e 28, comma 2, lettere B e D, D.Lgs. n. 81/2008.
Oltre a ciò, per come riferito dall'isp. lav. M., gli stessi guanti in dotazione, messi a disposizione dei lavoratori - e che lo C.Z., nell'occorso, non aveva indossato - erano inidonei e non adeguati ai rischi da prevenire (cfr. art. 76, comma 2, lettera A, D.Lgs. 81/2008), perché, quand'anche il lavoratore li avesse indossati, gli stessi non avrebbero impedito le ustioni all'avambraccio, perché coprivano solo la mano, fino al polso (pag. 8 sentenza). Sempre il teste M. ha precisato che le procedure di sicurezza sono state cambiate e sono stati forniti dispositivi di protezione idonei solo dopo il verificarsi dell'incidente; fra l'altro é stato espressamente disposto di aspettare due ore prima di entrare in sala prove per eseguire il controllo: disposizione che non era stata data allo C.Z., il quale infatti era entrato senza attendere se non pochi minuti.
Dunque non risponde a verità quanto asserito dai ricorrenti circa la protezione della macchina, la formazione del personale e il mancato verificarsi di eventi simili in passato.
E' noto che il datore di lavoro (come pure il direttore di stabilimento che ne assuma le funzioni) ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale é tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (cfr. Sez. U, Sentenza n.  38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261109); anche di recente la giurisprudenza di legittimità ha, analogamente, ribadito che il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale é tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica e altro, Rv. 267253; Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016 - dep. 2017, Furlan, Rv. 270355). All'evidenza, tale obbligo é stato disatteso dal M.B., che non ha stabilito precise e adeguate procedure e misure di prevenzione, né ha curato la formazione e l'informazione del personale, pur a fronte di un rischio prevedibile ed anzi previsto, come quello nella specie concretizzatosi.
Quanto al A.P., egli, quale dirigente delegato alla sicurezza, condivideva i compiti e le responsabilità datoriali di cui all'art. 77, D.Lgs. 81/2008 (cfr. art. 2, comma 1, lettera D, D.lgs. cit.; e vds. Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio e altri, Rv. 266854).
Non ha pregio, infine, la tesi dell'abnormità del comportamento del lavoratore nell'occorso.
Va al riguardo richiamato il principio, affermato dalla sentenza n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Nel caso di specie, l'infortunio é avvenuto mentre lo C.Z. era impegnato in mansioni a lui pacificamente affidate e già in precedenza espletate. Il comportamento imprudente da lui tenuto, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, non ha nulla a che vedere con la nozione di abnormità, cui si associa, in ambito prevenzionistico, l'interruzione del nesso causale fra il comportamento del garante e l'evento lesivo: ed invero, il titolare della posizione di garanzia (sia esso datore di lavoro o altro garante che ne condivide o assume le responsabilità) é esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
2. Per ragioni logiche viene esaminato ora il terzo motivo di lagnanza, anch'esso infondato, ponendosi anzi anch'esso ai limiti della manifesta infondatezza.
Quanto alla generale dosimetria della pena, basterà osservare che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena. (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
A proposito della scelta fra pena pecuniaria e detentiva, previste come alternative nel caso di specie, l'obbligo di motivazione di tale scelta deve ritenersi soddisfatto sulla base dei richiami, presenti nell'intero percorso motivazionale della sentenza, alla gravità oggettiva della fattispecie e al grado della colpa attribuibile ai due imputati.
Quanto al diniego delle attenuanti generiche nei confronti del M.B., gravato da plurimi precedenti anche specifici, si rammenta che in tale ipotesi non é necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Quanto, infine, alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena allo steso M.B., la prognosi negativa di recidivanza - basata sulla pessima biografia penale del prevenuto, caratterizzata come si é detto da diversi precedenti specifici - non può essere elisa dal fatto che egli é oggi in quiescenza, atteso che, da un lato, tale evenienza non é ostativa all'assunzione, da parte sua, di funzioni di responsabilità anche datoriale in altri contesti produttivi; e che, dall'altro, il diniego dei benefici é del tutto legittimo laddove i precedenti del giudicabile - quand'anche non fossero automaticamente ostativi alla concessione di detti benefici - siano tali da dimostrare l'inidoneità a fini rieducativi delle condanne precedentemente riportate dall'Imputato e delle pene a lui applicate.
3. E', invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
Indipendentemente da ogni valutazione circa la congruità del risarcimento corrisposto allo C.Z., é ormai prevalente, ed é qui condiviso, l'indirizzo secondo il quale, ai fini della sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., il risarcimento, ancorché effettuato da una società di assicurazione, deve ritenersi eseguito personalmente dall'imputato medesimo se questi ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini e altri, Rv. 273587; Sez. 4, Sentenza n. 23663 del 24/01/2013, Segatto, Rv. 256194). Ciò non significa che sia automaticamente riconoscibile l'idoneità del risarcimento operato attraverso compagnia assicuratrice, occorrendo, oltre all'integralità del risarcimento stesso, anche che l'imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria, che abbia contribuito all'adempimento (Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017 - dep. 2018, M V, Rv. 271969); ma neppure può darsi per presupposta l'inidoneità di tale forma di ristoro, come ha fatto la Corte di merito.
4. Limitatamente a quest'ultimo aspetto, ossia alla configurabilità dell'attenuante del ravvedimento post delictum (art. 62, n. 6, cod.pen.), la sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte d'appello di Bolzano per nuovo giudizio sul punto. Nel resto, i ricorsi vanno rigettati.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l'art. 62, n. 6, c.p., e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte d'appello di Bolzano. Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.