Cassazione Penale, Sez. 4, 20 marzo 2019, n. 12390 - Infortunio mortale durante il disarmo delle bocche di lupo. Responsabilità del datore di lavoro


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 06/12/2018

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza resa il 04/04/2017, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Brescia che dichiarava G.Z. responsabile del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. e, concessa l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen. equivalente alla contestata aggravante, lo condannava alla pena (sospesa) di anni uno di reclusione.
2. All'imputato, in qualità di datore lavoro dell'operaio deceduto ed amministratore unico della B.Z. COSTRUZIONI s.r.l., con sede legale in Castelcovati (BS), impresa in subappalto alla società MARTINI COSTRUZIONI s.r.l. in forza di contratto di subappalto del 25/10/2010, sono ascritte la colpa generica e quella specifica per aver omesso di realizzare ed ancorare a regola d'arte le bocche di lupo alla parete laterale dell'interrato, atteso che venivano utilizzati sistemi inadeguati e insufficienti al sostegno delle stesse; per aver realizzato o comunque consentito la realizzazione di un'armatura verticale al di sotto delle bocche di lupo, per il sostegno delle stesse durante la loro realizzazione, non a regola d'arte in quanto di resistenza insufficiente al sostegno del peso complessivo del manufatto e non in grado di prevenire cedimenti dell'armatura stessa o del terreno sottostante, degradato dalle infiltrazioni d'acqua; per aver consentito o comunque per non aver impedito l'esecuzione del disarmo delle armature laterali provvisorie di contenimento delle bocche di lupo, senza verificare preventivamente lo stato dei luoghi e delle opere al fine di accertare la sussistenza di condizioni di pericolo per i lavoratori e senza l'adozione delle cautele necessarie ai fini della sicurezza, in assenza altresì della sorveglianza del capo cantiere.
3. La vicenda. L'infortunio si verificava il 07/12/2010, in un cantiere di Manerba del Garda ove doveva essere costruita una villetta unifamiliare. In cantiere erano esclusivamente presenti ed operavano gli operai della BZ COSTRUZIONI s.r.l., A.C. e M.B., unico testimone dei fatti che così li aveva ricostruiti: nel pomeriggio di venerdì 03/12/2010, il C., con l'aiuto del M.B., aveva gettato il calcestruzzo di tre bocche di lupo, due delle quali erano fra loro unite. Il giorno dell'infortunio i due operai dovevano procedere al disarmo delle bocche di lupo, operazione che richiedeva la rimozione dei pannelli di cassero nei quali il calcestruzzo era stato gettato. Poco prima dell'incidente, i due avevano disarmato la bocca di lupo singola, togliendo la casseratura laterale ma lasciando, al di sotto del manufatto, alcuni dei puntelli verticali che la sorreggevano; precisamente, il C. con l'utilizzo di un martello, rimuoveva i pannelli di cassero e li passava al teste, che si trovava al di sopra dello scavo. I due operai avevano poi iniziato a disarmare la bocca di lupo doppia, togliendo i puntelli laterali. Rimanendo all'interno dello scavo e passando al di sotto del manufatto, il C. si era spostato da un lato all'altro della bocca di lupo. Pochi secondi e questa crollava, piegando i puntelli sottostanti, abbattendosi sul C. e schiacciandolo contro il muro della casa in costruzione. Le lesioni riportate ne determinavano la morte immediata.
4. Le ragioni del crollo erano state ricostruite dai consulenti tecnici in maniera sostanzialmente convergente: il consulente tecnico del pubblico ministero, dopo i sopralluoghi nel cantiere, aveva affermato che erano già stati realizzati dalla BZ COSTRUZIONI s.r.l.- cui erano state appaltate le opere di carpenteria (quindi, le parti in calcestruzzo armato) - le fondazioni, i muri del piano interrato, situati al di sotto del livello del terreno e due bocche di lupo. Una di queste era ancora puntellata e collegata alla parete perimetrale mentre l'altra era crollata contro lo scavo. Le bocche di lupo erano in calcestruzzo armato ossia in calcestruzzo con all'interno ferri di armatura che servivano ad ancorare le stesse alle pareti perimetrali. Il c.t. aveva verificato che i ferri della bocca di lupo crollata, di lunghezza pari a 64 cm. e diametro di 8 mm., erano quasi interamente inseriti nella bocca di lupo e fuoriuscivano dalla stessa (e, quindi, prima del crollo, penetravano nel muro perimetrale) di soli 4 cm. Il medesimo consulente aveva spiegato che lo scavo presente in cantiere aveva raggiunto la quota di posa delle fondazioni anche in corrispondenza delle bocche di lupo e che, successivamente, non era stato riportato terreno in quel punto: la bocca di lupo era, pertanto, sollevata dal terreno per mezzo di puntelli verticali, alcuni dei quali appoggiati su tavole di legno, altri sul terreno stesso. Durante le operazioni di rimozione dei puntelli laterali, quando A.C. si trovava al di sotto del manufatto, alcuni puntelli verticali avevano ceduto facendo venir meno l'indispensabile appoggio, con conseguente crollo della bocca di lupo. I ferri di collegamento tra i tre setti verticali di questa e la parete perimetrale in calcestruzzo della villetta non erano assolutamente in grado di resistere all'azione tagliante e all'azione flettente della bocca di lupo a sbalzo dalla parete, in assenza di un appoggio inferiore e ciò in quanto i collegamenti non erano stati inseriti nelle pareti perimetrali prima del loro getto, ma erano stati realizzati con bare da 8 mm. di diametro ad aderenza migliorata, inserite a secco nella parete laterale preventivamente forata con un trapano con punta da 8-10 m. per una profondità di circa 100 mm. Le azioni sollecitanti sulle armature di collegamento, causate dal peso elevato della bocca di lupo, avrebbero richiesto un maggior quantitativo di armatura ma, soprattutto, un adeguato ancoraggio della stessa. La modesta differenza tra il diametro del foro (8-10 mm.) e il diametro del ferro (8-9 mm.) non aveva consentito il totale inserimento del ferro di collegamento, che era ancorato per circa 30-40 mm. Inoltre, le armature di collegamento erano state inserite "a secco" nella parete, senza l'ausilio di collanti. Il consulente dell'accusa aveva affermato che l'inserimento a secco rappresenta una tecnica non adatta all'ancoraggio delle armature di collegamento tra getti separati in quanto l'unica forza resistente all'estrazione si basa sul modestissimo attrito tra la superficie della barra e la superficie di calcestruzzo del foro. La ridotta lunghezza dell'ancoraggio, ben inferiore alla minima richiesta dalla normativa tecnica quando le armature sono inserite prima del getto di calcestruzzo, avrebbe vanificato anche l'uso di armature di collegamento di maggior diametro. La bocca di lupo era, pertanto, crollata a causa della insufficienza lunghezza di ancoraggio delle armature di collegamento le quali avevano un diametro modestissimo (8 mm.). Il consulente aveva poi precisato che, dai disegni architettonici, risultava che le bocche di lupo dovevano essere appoggiate direttamente sul terreno ad una quota superiore a quella dei muri perimetrali. Tali disegni prevedevano, quindi, uno scavo di circa 3 metri per realizzare le pareti perimetrali e un riempimento parziale di un metro circa fino alla quota di posa delle bocche di lupo e poi l'appoggio delle stesse sul riempimento. In cantiere, invece, era stato effettuato uno scavo sino alla quota di posa delle fondazioni perimetrali anche per l'area sottostante le bocche di lupo e non era stato eseguito il riempimento con terreno in corrispondenza di tali manufatti prima della loro costruzione. Le bocche di lupo erano dunque sostenute da puntelli in acciaio e da una superficie piana di cassero. Inoltre, mentre nel progetto architettonico erano previste tre bocche di lupo, una di lunghezza pari a 2 metri e altre due, vicine tra loro, di metri 2 e 1,70, solo la prima era stata realizzata con le misure indicate nel progetto; le altre due, invece, erano state accorpate in un unico manufatto (quello crollato) con una nervatura centrale.
5. L'imputato, a mezzo del difensore, ricorre avverso la prefata sentenza di appello formulando sei motivi.
Con il primo, deduce erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 18, commi 1 e 3-bis, d.lgs. n. 81 e art. 40 cpv., cod. pen. L'art. 5 del d. lgs. n. 626/1994, oggi riprodotto nell'art. 20 d. lgs. n. 81/2008 prevede che il lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza. Sbaglia, pertanto, la Corte territoriale ad affermare che il preposto non é garante della propria incolumità fisica; non v'è, infatti, un obbligo di vigilanza totalizzante in capo al datore di lavoro in ragione di una presunta incapacità del lavoratore. Così considerando, si va a configurare un profilo di responsabilità oggettiva gravante sul datore di lavoro. Nel caso di specie, la vittima, introducendosi al di sotto della bocca di lupo da poco gettata, appena disarmata ed ancorata dallo stesso C. in modo palesemente inadeguato al muro perimetrale, ha deliberatamente scelto, nell'ambito della sua personalissima sfera volitiva, di porre in essere tale condotta non predeterminabile o prevedibile dal datore di lavoro posta la difformità di esecuzione rispetto al progetto. La condotta del C. si è rilevata pertanto esorbitante rispetto alle mansioni affidategli.
Con il secondo motivo, si eccepisce illogicità di della motivazione con riguardo alla esigibilità della condotta del datore di lavoro in relazione all'art. 40 cpv. cod. pen. ed erronea applicazione della norma sostanziale. Nessun datore di lavoro, si sostiene, sarebbe in grado di adempiere all'obbligo di vigilanza preteso dalla Corte territoriale. È questa la ragione per la quale questi organizza l'attività d'impresa nell'unico modo che consenta un elevato standard di sicurezza. Al riguardo, nel caso di specie, vi è stata la nomina a preposto di cantiere del C., persona dotata dei requisiti di esperienza e professionalità adeguati all'incarico.
Con il terzo motivo, si lamenta l'illogicità della motivazione in relazione alla violazione dell'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui la colpevolezza dell'imputato viene desunta da assunti ipotetici e in assenza di indizi. Quanto alla duplice e alternativa prospettazione operata dalla Corte rispetto alla responsabilità dell'imputato, si osserva che il ragionamento induttivo del Giudice di appello parte da elementi non certi in quanto mai provati nel processo (G.Z. «era pienamente informato e/o era disinteressato rispetto alle sorti del cantiere») per giungere ad un'inferenza finale impropriamente stimata certa oltre ogni ragionevole dubbio. In realtà, l'unico percorso motivazionale capace di fugare il dubbio rispetto all'univoca conclusione cui deve giungere è quello che lega, con un vincolo di logica stringente, una serie di indizi rappresentativi di fatti certi ed inequivoci.
Il quarto motivo attiene alla mancanza di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata non esplicita le ragioni per le quali è stata ritenuta non attendibile l'ipotesi alternativa.
Con il quinto motivo, ci si duole della mancanza di motivazione anche in ordine all'efficacia causale della condotta omissiva ascritta allo G.Z. che deve essere posta in relazione con il fatto che ha determinato l'evento rappresentato non dalla erronea realizzazione della bocca di lupo, bensì dalla repentina manovra posta in essere dal preposto.
Il sesto motivo investe la motivazione sotto il profilo dell'illogicità con riferimento alla valutazione della condotta negligente del preposto e all'interruzione del nesso causale.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
2. L'impugnata sentenza - pienamente recependo la ricostruzione della vicenda e argomentazioni del primo giudice - ha richiamato la prassi operativa, esistente anche all'epoca del fatto, della B.Z. COSTRUZIONI s.r.l. come emersa dai testi che avevano prestato la loro attività alle dipendenze di questa società, per la quale, tutte le sere, i capicantiere, al rientro del lavoro, si recavano nel capannone della ditta per descrivere allo G.Z., che era presente, i lavori eseguiti durante la giornata nonché quelli che sarebbero stati realizzati nei giorni seguenti, ricevendo dallo stesso spiegazioni e consigli sia in tali occasioni che durante l'esecuzione delle opere mediante contatto telefonico. Si apprendeva, in particolare, che i capicantiere non potevano assumere iniziative autonome senza consultarsi preliminarmente con lo G.Z. e che anche A.C., al rientro del lavoro, si incontrava ogni sera, come tutti, con il suo datore di lavoro nell'anzidetto capannone. Osservavano i giudici del merito che, in assenza di alcun elemento dal quale inferire che il C. si fosse discostato dalla prassi descritta, doveva ritenersi che così era anche avvenuto per i lavori eseguiti in Manerba del Garda e che, pertanto, lo G.Z. fosse al corrente del fatto che il giorno 03/12/2010 sarebbero state realizzate le bocche di lupo e, in seguito, che i manufatti erano stati costruiti con modalità difformi da quelle progettate e che il 07/12/2010 il C. avrebbe proceduto al disarmo. Correttamente, le sentenze del merito rilevano come «a fronte di ciò, il datore di lavoro doveva disporre e pretendere che le bocche di lupo fossero costruite in conformità al progetto, impartire specifiche disposizioni in merito, vietare differenti modalità operative, ordinare e verificare la predisposizione di idoneo terrapieno e, a costruzione avvenuta, la correttezza o meno dell'esecuzione dei manufatti, prima che gli operai eseguissero il disarmo».
Evidenziavano, altresì, come fosse del tutto implausibile - alla luce delle convergenti dichiarazioni di tutti i testimoni sulla professionalità del C. e dell'esistenza della citata prassi aziendale - che questi, una volta ricevuti istruzioni ed ordini specifici, che gli imponevano la realizzazione dei manufatti come da progetto, li avesse, senza ragione alcuna, autonomamente disattesi.
Secondo la ricostruzione del primo giudice, condivisa e recepita dalla Corte di appello, unicamente due erano le ipotesi prospettabili: che lo G.Z. avesse ordinato al C. di realizzare le bocche di lupo a sbalzo oppure che non avesse fornito al dipendente precise disposizioni in merito, in entrambi i casi astenendosi poi dal controllare le modalità di esecuzione delle opere, consentendo che i manufatti fossero realizzati con ancoraggi inadeguati e puntellatura verticale inidonea ed insufficiente, tenuto anche conto delle infiltrazioni di acqua nel terreno. Ciò integrava il contestato profilo colposo contemplato dall'art. 141 T.U. n. 81/2008, correttamente ravvisandosi, pertanto, in capo all'imputato, un difetto del dovere di vigilanza e controllo sul proprio dipendente causalmente collegato all'infortunio, escludendosi, per contro, qualsiasi comportamento abnorme della vittima tale da interrompere il nesso causale. Il lavoratore, invero, si era limitato a compiere manovre funzionali allo svolgimento della propria attività lavorativa. Peraltro, sullo specifico punto, la Corte di appello sostiene che non vi sono elementi in atti per affermare che l'operaio si sia, nel caso concreto, discostato dalla precedente prassi assumendosi in solitudine in rischio di procedere nel modo descritto dalle consulenze tecniche, secondo modalità che lo stesso lavoratore ha avvertito come pericolose: questi, ricorda la sentenza d'appello, «si è ben guardato, con riferimento al disarmo della prima bocca di lupo, di rimuovere i puntelli verticali che sorreggevano la casseratura orizzontale, limitandosi a rimuovere le assi delle casserature laterali; certamente nessuna intenzione aveva di rimuovere i puntelli verticali che sorreggevano la casseratura inferiore della bocca di lupo più grande, sotto la quale - a carponi stante l'assenza dei puntelli (alti circa 1 m) - stava transitando non certo con la finalità di rimuovere i puntelli che la sorreggevano ma per portarsi sull'altra parete laterale della bocca di lupo per rimuovere le casserature presenti sul lato opposto. Proprio l'esperienza di cui è accreditato da tutti il lavoratore deceduto esclude che costui si sia volontariamente assunto rischi lavorativi non strettamente necessari allo svolgimento del lavoro che gli era stato affidato. Egli si era reso conto del rischio [...]: il passaggio sotto la bocca di lupo era d'altro canto necessario per raggiungere l'altro lato, e ciò in assenza di altra scala che gli consentisse di risalire e ridiscendere nello scavo dal lato opposto rispetto a quello sul quale aveva già operato».
E comunque una sua eventuale condotta negligente, imprudente, imperita non avrebbe affatto escluso la responsabilità del datore di lavoro, comunque inottemperante ai suoi doveri.
Sul punto, è nota e pacifica la giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. 4, n. 16890 del 14/03/2012, Feraboli, Rv. 252544; Sez. 4, n. 36339 del 07/06/2005, Pistoiesi, Rv. 232227) secondo cui la eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità allorché l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione. È evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che è conseguito, nella specie, dall'avere la vittima operato in condizioni di rischio note all'azienda e non eliminate da chi rivestiva la posizione di garanzia. Chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. È il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui. È da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudènze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa. È stato condivisibilmente affermato in giurisprudenza che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento. Alla stregua di tale principio, la tesi difensiva si appalesa dunque infondata.
Al riguardo la sentenza impugnata ribadiva che era obbligo dell'imputato assicurarsi che i lavori fossero stati eseguiti correttamente e, dopo la realizzazione dei manufatti, pretendere delucidazioni e controllare anche che il C. si fosse attenuto agli ordini ricevuti e, una volta appreso da lui che i manufatti erano stati costruiti a sbalzo, procedere alla verifica della loro stabilità. Una siffatta doverosa attività gli avrebbe consentito di constatare le difformità dal progetto e la precarietà delle bocche di lupo e di accertare l'inidoneità degli ancoraggi. Nel caso di specie, ha dunque fatto difetto il dovere di vigilanza e controllo sul proprio dipendente causalmente connesso con l'infortunio che, qualora esercitato, avrebbe scongiurato l'evento.
La Corte di appello correttamente ha sottolineato come l'imputato rivestisse la posizione di garanzia in quanto datore di lavoro del C. e colui che lo aveva incaricato dell'attività lavorativa nel cantiere di Manerba, nominandolo preposto. Altrettanto ossequioso dei consolidati principi di diritto è l'assunto contenuto in sentenza secondo cui questa nomina non vale ad esimere l'imputato dalla responsabilità colposa con riferimento alla violazione delle norme citate in imputazione, non potendosi condividere l'affermazione secondo cui a fronte delle contestate condotte colpose, il C. fosse garante dell'incolumità fisica di se stesso, «poiché nella situazione accertata una siffatta affermazione contrasta con tutto il sistema securitario così come emergente dalla normativa previgente, dalla costante interpretazione giurisprudenziale come confermata dal nuovo testo unico in materia [...] spettava pur sempre al datore di lavoro la verifica dell'attività in corso e della evoluzione dei lavori, a fronte di intoppi e inconvenienti, sempre possibili nella attività edile nella quale la variante in corso d'opera costituisce una costante. Da alcun atto del fascicolo risulta che l'imputato si fosse recato presso il cantiere a visionare i lavori, nei quali operavano i suoi soli lavoratori», per la realizzazione delle opere subappaltate alla B.Z. COSTRUZIONI, opere preliminari ad ogni altra. Osserva, inoltre, la Corte di appello che «l'ipotesi difensiva secondo cui egli ignorava lo stato di avanzamento dei lavori, il completamento del getto di calcestruzzo con riferimento alle fondamenta, l'avvenuto inizio delle lavorazioni per la realizzazione delle bocche di lupo e le modalità di realizzazione di queste [...], è prospettazione che, qualora fosse veritiera, non lo esimerebbe affatto dalla responsabilità penale, poiché l'eventuale sua inconsapevolezza in ordine a quanto avveniva nel cantiere sarebbe addebitabile a grave e imperdonabile colpa del datore di lavoro, dalla quale costui non può chiamarsi fuori invocando a sua esimente la nomina a preposto del C.».
Al riguardo la Corte territoriale conclude, con motivazione logica, congrua e completa, osservando - con ciò precisando quanto più sopra già accennato - che «le uniche opzioni possibili in merito agli accadimenti sono due: che i lavoratori presenti in cantiere abbiano operato in totale assenza di direzione del datore di lavoro, disinteressato a quanto ivi accadeva, oppure - come reputato da entrambi i giudici del merito - che il datore di lavoro fosse stato pienamente informato, come da prassi, dal proprio preposto su quanto stava avvenendo e, pur tuttavia, abbia consentito la realizzazione dei puntelli verticali al di sotto delle bocche di lupo, il loro getto di esecuzione e, infine, l'esecuzione del disarmo delle armature laterali provvisorie di contenimento delle bocche di lupo, così omettendo ogni verifica preventiva dello stato dei luoghi e delle opere al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di pericolo per i lavoratori e comunque di adottare le cautele necessarie.
La Corte di appello fa buon governo dei principi consolidati in materia da questa Corte per i quali l'imprenditore non va esente dalla penale responsabilità per la sola circostanza di aver nominato un preposto, considerato che costui - pur destinatario delle norme antinfortunistiche - non si sostituisce, di regola, al primo nelle mansioni direttive, ma condivide con il datore di lavoro, secondo le proprie incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza e protezione del personale impiegato (Sez. 4, n. 5510 del 28/01/1982, Liberati, Rv. 154059). Va poi evidenziato che, nell'ipotesi in disamina, le sentenze del merito, richiamando la prassi per la quale l'imputato acquisiva notizie quotidiane sull'andamento dei lavori, hanno dato atto di una costante ingerenza dello G.Z. che vieppiù non lo esime da responsabilità per aver nominato un preposto. In tema di infortuni sul lavoro, infatti, sussiste la responsabilità, dell'imprenditore o datore di lavoro, qualora quest'ultimo, pur avendo nominato un preposto, non abbia riservato a sè soltanto funzioni amministrative, ma abbia continuato ad ingerirsi nella esecuzione dell'opera (Sez. 4, Sentenza n. 2699 del 05/12/1983 - dep. 22/03/1984 - Albano, Rv. 163316).
3. Come si vede, la motivazione della sentenza impugnata é precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e fornisce adeguata e congrua risposta a tutte le doglianze prospettate nel ricorso. Quanto al quarto motivo, il Collegio ricorda che in giurisprudenza è ammessa la motivazione implicita, nel senso che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità, pertanto, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Non è dunque necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere il vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva. Sicché ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, come avvenuto nel caso in disamina, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione (Sez. 2, sent. n. 29434 del 19/05/2004, Candiano e altri, Rv. 229220).
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 6 dicembre 2018