Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 marzo 2019, n. 8300 - Ipoacusia professionale. Presunte irregolarità


 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 25/03/2019

 

Rilevato che
La Corte d'appello di Genova, con sentenza n. 169 del 2013, ha confermato la sentenza del Tribunale giudice del lavoro di Chiavari di rigetto della domanda proposta da G.B. nei confronti dell'Inail al fine di ottenere il riconoscimento del diritto ai benefici previdenziali derivanti dall'aver contratto la malattia professionale della ipoacusia con danni in misura superiore al 7% riconosciuto in sede amministrativa; la Corte territoriale ha rilevato che in appello era stata rinnovata la c.t.u ma che il consulente incaricato aveva omesso di inviare le bozze di relazione ai consulenti di parte, e per porre rimedio a tale omissione, era stato disposta la convocazione dei medesimi da parte del consulente d'ufficio onde rispondere ai loro rilievi, indi, depositata nota di chiarimenti da parte del c.t.u., la causa era stata decisa;
ad avviso della Corte territoriale, non residuava alcuna irregolarità sebbene di fatto il c.t.u non avesse convocato i consulenti delle parti- come disposto dalla stessa Corte- in quanto il consulente aveva esaminato le rispettive note critiche ed aveva espresso le proprie valutazioni tenendole in considerazione;
quanto ai profili di merito di natura medico legale, poi, erano da condividere le conclusioni cui era giunto il c.t.u, di uguale segno rispetto a quanto riconosciuto in sede amministrativa, che aveva valutato nel 7% il danno biologico derivante dalla ipoacusia bilaterale sofferta sino al 2007, anno in cui il G.B. aveva cessato l'attività lavorativa, e non erano presenti i presupposti per ritenere peggiorata tale situazione;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.B. sulla base di tre motivi illustrati da memoria: a) nullità della sentenza o del procedimento per aver omesso il c.t.u di riscontrare nella sostanza i rilievi sollevati non avendo convocato i c.t.p. come richiesto dalla Corte per sanare il vizio del mancato invio delle bozze ai medesimi c.t.p; b) violazione e falsa applicazione dell'art. 196 cod.proc.civ. perché la Corte avrebbe dovuto richiamare il c.t.u; c) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti che si ravvisa nelle carenze diagnostiche, affermazioni illogiche e scientificamente errate degli elaborati medici utilizzati;
resiste Inail con controricorso;
 

 

Considerato che
i primi due motivi di ricorso in quanto connessi vanno trattati congiuntamente e sono infondati, posto che dalla stessa illustrazione dei fatti del processo contenuta alla pagina 9 del ricorso si evince che l'appellante rilevò la nullità della relazione di c.t.u. depositata solo un giorno prima dell'udienza del 12 dicembre 2012, solo alla successiva udienza del 21 dicembre 2012 e non alla prima udienza successiva al deposito della relazione seppure tardivo ed irregolare e che, comunque, la Corte d'appello intese porre rimedio anche all'ulteriore irregolarità del mancato invio delle bozze ai consulenti di parte ordinando al c.t.u. l'esame delle relazioni di parte, previa convocazione dei medesimi consulenti;
tali circostanze integrano gli effetti sananti riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale (Cass. n. 23493 del 9 ottobre 2017; Cass. n. 1744 del 2013) in tema di consulenza tecnica d’ufficio, l’omesso invio alle parti della bozza di relazione dà luogo a un'ipotesi di nullità a carattere relativo, suscettibile di sanatoria se il vizio non è eccepito nella prima difesa utile successiva al deposito della perizia; la sanatoria può avvenire anche per rinnovazione, quando il contraddittorio sia recuperato dal giudice dopo il deposito della relazione, con la rimessione in termini delle parti per formulare le proprie osservazioni, al fine di consentire il pieno esercizio dei poteri di cui all'art. 196 cod. proc. civ.; inoltre, quanto al rilievo che comunque il c.t.u. non avrebbe proceduto all'effettiva convocazione dei consulenti di parte limitandosi ad una formale presa d'atto del contenuto delle relative note critiche, si osserva che il principio fissato dall’art. 159 c.p.c., comma 2, in forza del quale la nullità parziale di un atto non colpisce le altre parti che ne siano indipendenti, trova applicazione anche con riguardo agli atti processuali che siano il risultato di una pluralità di distinte ed autonome attività; pertanto, in assenza di specifiche indicazioni sulle concrete e risolutive circostanze che sarebbero derivate sulle conclusioni della c.t.u. dalla omessa convocazione dei consulenti di parte, va ricordato l'orientamento espresso da questa Corte di cassazione secondo cui sulla validità della relazione del consulente tecnico d'ufficio non incide l'eventuale nullità di alcune rilevazioni od accertamenti compiuti dal consulente medesimo, per violazione del principio del contraddittorio e conseguente pregiudizio del diritto di difesa delle parti, ove tali rilevazioni od accertamenti non abbiano spiegato alcun effetto sul contenuto della consulenza e sulle relative conclusioni finali (Cass. 4981 del 1977; Cass. n. 3893 del 2017);
l'invalidità dell'attività compiuta dal consulente tecnico, perchè svolta in violazione del principio del contraddittorio e al di fuori del necessario controllo delle parti, dunque, qualora la suddetta lesione non si sia riverberata sull'atto conclusivo, consistente nella relazione di consulenza, con esiti che è onere del ricorrente mettere in evidenza, non si traduce in una nullità che possa assumere rilevanza (Cass. 16441 del 2011); il terzo motivo è inammissibile, posto che attraverso l'elencazione di errori commessi dal c.t.u. nell'indicazione delle date di presentazione della domanda di riconoscimento della malattia professionale e di successivi atti del relativo procedimento e la critica alle modalità di accertamento medico legale scelte dal consulente d'ufficio, mira a porre le basi del vizio di motivazione di cui all'art. 360, primo comma, n.5) cod. proc. civ.; questa Corte di cassazione, ha ripetutamente affermato che il dedotto vizio non è riconducibile alla previsione di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, secondo l'interpretazione della norma offerta dalle sezioni unite (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014), che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio;
il presunto vizio, infatti, non è evincibile dal contenuto della motivazione, e la censura, incentrata sulla critica della c.t.u., si risolve, in difetto di allegazione delle fonti attestanti una palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica o l'omissione di imprescindibili accertamenti strumentali, nell'espressione di un mero dissenso diagnostico, cioè in un'inammissibile critica al percorso motivazionale del giudice del merito (in tal senso Cass. n. 1652 del 03/02/2012);
il ricorso va, dunque, rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità devono essere poste a carico del ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza;
sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2019.