Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2019, n. 16220 - Infortunio mortale durante la realizzazione di un ponteggio metallico. Obbligo di vigilanza del datore di lavoro


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 02/04/2019

 

 

 

Fatto

 

 

1. La Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con cui M.M. è stata condannato alla pena di un anno di reclusione con i doppi benefici di legge, previa concessione delle attenuanti generiche, per il reato di cui agli artt. 589, secondo comma, cod.pen. (perché, quale legale rappresentante della F.A.M. s.r.l., cagionava la morte del dipendente C.P., in quanto, in violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, lo adibiva a lavori di realizzazione di un ponteggio metallico ancora incompleto, senza fornirgli i dispositivi di sicurezza individuali e, comunque, senza vigilare sulla loro utilizzazione, così cagionandone la caduta e la morte).
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l'imputato deducendo 1) la contraddittorietà ed incompletezza della motivazione, anche con riferimento al principio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, in ordine alla ricostruzione della dinamica dei fatti ed alle contestazioni formulate in appello, superate col mero rinvio alla decisione di primo grado - in particolare relativamente alle contestazioni in ordine a) all'attendibilità di G.P., il quale ha riferito di aver appreso da C.LR. che, il giorno dell'infortunio, quest'ultimo, su richiesta dell'imputato, aveva ultimato il ponteggio da cui la vittima era caduta, lavorando sino alle ore 21,00; b) all'inammissibilità delle testimonianze degli operai del cantiere sulla completezza del ponteggio al momento dell'incidente (soprattutto di C.LR., che in dibattimento ha smentito le dichiarazioni di G.P.); c) al mancato raggiungimento di una prova certa circa la dinamica del sinistro, in assenza di testimoni diretti ed in presenza della prova della completezza del ponteggio, d) all'alta probabilità che "l'evento sia dovuto ad una negligenza dello stesso C.P. che sceso dal piano sottostrada, ... non volendo ripercorrere a ritroso il tragitto precedentemente seguito (di circa 120 mt e n. 2 rampe di scale) abbia pensato di risalire al piano superiore arrampicandosi esternamente al ponteggio medesimo" (in tale motivo si è evidenziata, anche, la contraddittorietà del passaggio motivazionale in cui si esclude la possibilità di fondare la decisione sulle deposizioni dei testi che non hanno assistito al sinistro, valorizzandosi, tuttavia, la deposizione - peraltro, de relato - del teste G.P., che parimenti non ha assistito al sinistro); 2) la violazione della legge processuale (in particolare dell'art. 195 cod.proc.pen.) ed ii vizio di motivazione in merito alla critiche circa la valutazione della testimonianza di G.P., superate con l'inappropriato richiamo ai poteri di cui all'art. 133 cod.pen., che, anche qualora dovesse essere inteso come rinvio al potere del libero convincimento del giudice, non prende minimamente in considerazione la possibile attendibilità di C.LR.; 3) la contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza del nesso causale, che non si confronta con la possibilità che la vittima si sia sganciata dalla cintura di sicurezza e che presuppone la falsificazione delle firma di C.P., da parte dell'imputato, sul verbale di consegna dell'equipaggiamento, travisando sul punto la sentenza di primo grado, in cui, nel riportare le conclusioni del perito, si riconosce la possibilità dell'apposizione della sottoscrizione da parte di G.P.; 4) l'erroneità della motivazione sulla quantificazione della pena, considerato il riferimento alla non accertata falsificazione della firma del deceduto, da parte dell'imputato, sul già menzionato documento; 5) l'insufficienza della motivazione circa la censura relativa all'illegittimità del rigetto della richiesta di abbreviato, subordinata alla deposizione di C.LR. ed all'acquisizione dei tabulati delle celle telefoniche dell'utenza del medesimo, stante l'assenza di un qualsiasi accenno alla irrilevanza della documentazione di cui si era chiesta l'acquisizione e la superficialità del riferimento alle sommarie informazioni di C.LR., di cui era stata evidenziata dalla difesa l'incompletezza, in quanto "interrotte dagli agenti prima ancora che il predetto potesse fornire una esauriente e completa controdeduzione alle affermazioni de retato che lo interessavano".
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è destituito di fondamento.
2. I primi tre motivi, che possono essere affrontati congiuntamente, si limitano a proporre una diversa valutazione del quadro indiziario ed una ricostruzione alternativa della dinamica dell'incidente rispetto a quella accertata dai giudici di merito, senza, tuttavia, denunciare effettive contraddittorietà o manifeste illogicità della motivazione.
Come lo stesso ricorrente evidenzia i giudici dell'impugnazione hanno desunto la dinamica del sinistro dalle dichiarazioni di G.P. e del dott. P., i quali hanno affermato di aver appreso dagli operai che C.P. è caduto da un ponteggio (informazione riportata anche nel referto del pronto soccorso), ed hanno ritenuto inverosimile le prospettazione difensiva, secondo cui l'incidente si sarebbe verificato in conseguenza della condotta negligente della vittima che, "non volendo ripercorrere a ritroso il tragitto precedentemente seguito (di circa 120 mt e n. 2 rampe di scale)", si sarebbe arrampicata esternamente al ponteggio medesimo. In proposito la Corte di appello ha evidenziato, in modo congruo e logico, che "è del tutto inverosimile che C.P., operaio esperto e di età non più giovane, abbia deciso di arrampicarsi all'esterno della struttura per risparmiare una manciata di secondi", sottolineando, peraltro, che non vi è alcun elemento indiziario idoneo ad avvalorare tale ipotesi, in quanto i testi della difesa non hanno confermato questa circostanza, essendosi limitati - in particolare l'Ing.A. e l'operaio C. PA. - a riferire che il ponteggio era ultimato ed era arrivato in quota, sicché ne era impossibile la caduta. Peraltro, la motivazione esaustiva e logica dei giudici di merito può essere integrata in diritto osservando che la prospettazione difensiva non sarebbe, comunque, idonea ad escludere la penale responsabilità dell'imputato, atteso che l'asserita condotta della vittima non potrebbe, comunque, essere qualificata come abnorme in base all'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 ud., dep. 27/03/2017, Rv. 269603). Pertanto, correttamente il giudice dell'impugnazione ha osservato che "se il M.M. avesse vigilato sui suoi operai, imponendo al C.P. di indossare l'equipaggiamento di sicurezza e ancora prima di fornirglielo - visto che come è emerso nel corso del dibattimento in primo grado il verbale di consegna non è stato firmato dal deceduto - l'evento non si sarebbe potuto verificare, giacché il C.P. sarebbe stato agganciato da una cintura di sicurezza".
In definitiva, da un lato, la dinamica del sinistro è stata ricostruita dai giudici di merito non in base alla sola deposizione di G.P., ma agli elementi probatori convergenti derivanti dalle deposizioni di G.P. e del dott. P., i quali hanno, peraltro, riportato quanto appreso dagli stessi operai e, cioè, che C.P. è caduto dal punteggio, e, dall'altro lato, nonostante l'improprio riferimento all'art. 133 cod.pen., che non è pertinente ai fini della valutazione della prova, gli elementi indiziari derivanti dalla deposizione di G.P. sono stati correttamente ritenuti più significativi degli altri valorizzati nel ricorso, in quanto confermati da quelli derivanti da altre prove (tra cui la deposizione del dott. P. e il referto del Pronto soccorso, oltre che da numerosi testimoni indicati a p. 9 della sentenza di primo grado, che erano presenti alle visite di C.LR. a casa C.P. subito dopo l'infortunio) ed in quanto dai testi della difesa, come osservato a p. 6 della sentenza impugnata, può desumersi con certezza solo che il ponteggio, all'epoca del sinistro, fosse arrivato in quota, ma non anche che lo stesso fosse eseguito a regola d'arte ("Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, non si è raggiunta certezza circa la materiale impossibilità di cadere dal ponteggio .... A nulla rileva l'affermazione della difesa secondo la quale le contestazioni mosse dal PM durante la testimonianza dell'ing. A. circa la presenza di una luce tra il ponteggio e la struttura in cemento .... siano prova di un travisamento del materiale fotografico da parte del primo giudice"). Va, inoltre, sottolineato che le motivazioni delle due sentenze di merito si integrano tra di loro, trattandosi di doppia conforme, per cui le argomentazioni del giudice di secondo grado devono essere lette alla luce di quelle di primo grado, il quale, riguardo alle deposizioni dei testi della difesa, ha evidenziato che "le deposizioni degli operai sono state molto confuse e faticose, largamente segnate da una lunga serie di "non ricordo" hanno dunque confermato solo faticosamente, a stento e controvoglia le dichiarazioni loro fatte in precedenza, in un'evidente rimozione del vissuto che, se non ha giovato alla chiarezza delle deposizioni e alla trasparenza dell'accertamento dei fatti, certamente ha svelato il metus reverentiae nei confronti del datore di lavoro, sempre presente durante la loro escussione" - in particolare, riguardo alla deposizione di C.LR., il Tribunale ne ha indicato le numerose incongruenze, avendo, ad esempio, il teste negato di aver "messo le mani al ponteggio", mentre gli altri testi (C., S. e DG.) hanno affermato il contrario. Allo stesso modo corretta ed esaustiva è la motivazione del giudice di primo grado sulla maggiore attendibilità del teste de relato rispetto a quello diretto e sulla legittimità di tale scelta alla luce del principio del libero convincimento del giudice e dell'art. 195 cod.proc.pen. (cfr. Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014 ud.- dep. 09/01/2015 - Rv. 261793 - 01, secondo cui, in tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e non abbia risposto, ovvero abbia fornito una versione contrastante, il giudice può ritenere attendibile, all'esito di una valutazione improntata a speciale cautela, la deposizione del teste "de relato" in quanto, da un lato, l'art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna gerarchia tra le dichiarazioni e, dall'altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione dei fatti da privilegiare).
Infine, relativamente al nesso di causalità, a prescindere dal soggetto responsabile della falsificazione della firma della vittima sul verbale di consegna dell'attrezzatura infortunistica, la Corte di appello ha ben evidenziato come la morte del lavoratore sia riconducibile proprio all'inadempimento degli obblighi del datore di lavoro - in primo luogo di quello di vigilanza, diretto ad evitare anche le condotte imprudenti e negligenti del lavoratore. Ancora più completa risulta sul punto la motivazione del giudice di primo grado a p. 12 e 13.
Va, del resto, ricordato che in tema di giudizio di cassazione, sono, comunque, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
3. Del tutto generico il motivo con cui si chiede la riduzione della pena, senza tener conto di quanto evidenziato dal giudice della Corte di appello e, cioè, della sua già avvenuta quantificazione in misura "inferiore della metà rispetto al minimo edittale". Del resto, il riferimento al comportamento non esemplare del M.M. - la cui responsabilità per la falsificazione della firma della vittima sul verbale di consegna dell'equipaggiamento antinfortunistico non va intesa quale materiale apposizione della sottoscrizione, ma quale condotta che ha determinato l'inserimento di una firma falsa sul documento, così come descritta dal giudice di primo grado a p. 9-10 - è avvenuto solo ad abundantiam, come confermato dall'avverbio "anche", fermo il giudizio di conformità della pena applicata ai parametri di legge esposti nella sentenza di primo grado (drammaticità dell'evento ed elevato grado della colpa).
4. Neppure l'ultimo motivo può essere accolto, tenuto conto, peraltro, che l'imputato che chieda la riduzione di pena per il rito abbreviato condizionato ad integrazione istruttoria deducendo l’illegittimità dell'ordinanza di rigetto da parte del giudice dell’udienza preliminare, deve allegare ed indicare in modo specifico, a pena di inammissibilità, gli atti con i quali ha coltivato la suddetta richiesta in tutti i gradi di giudizio e di avere dedotto, fin dal primo grado, motivi specifici avverso il provvedimento del giudice (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014 ud. - dep. 23/12/2014, Rv. 261633 - 01). A ciò si aggiunga che quando è presentata richiesta di giudizio abbreviato condizionato, al giudice è demandato il controllo sulla fondatezza della domanda al fine di verificare se l’integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale del rito, ma, all’esito di tale controllo, non gli è riconosciuta soluzione diversa dall’accoglimento o dal rigetto dell’istanza (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014 ud.- dep. 13/05/2014, Rv. 259932 - 01). Nel caso di specie, il giudice dell'impugnazione ha ribadito la conformità del rigetto ai parametri normativi, evidenziando la strumentalità dell'istanza della prova testimoniale di Lo Re alla ritrattazione delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni. Alla luce di tali argomentazioni, del tutto sufficienti, risulta irrilevante che la Corte di appello non si sia soffermata sull'asserzione difensiva, del tutto indimostrata, dell'incompletezza delle sommarie informazioni ("interrotte dagli agenti prima ancora che il predetto potesse fornire una esauriente e completa controdeduzione alle affermazioni de relato che lo interessavano") o sull'acquisizione dei tabulati delle celle telefoniche dell'utenza del medesimo, che, come già rilevato dal g.i.p. non avrebbero consentito l'accertamento degli spostamenti di C.LR. in termini di certezza.
5.In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese di lite.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 2 aprile 2019.